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La questione del rapporto fra mio padre e mia madre
La faccenda fra loro, alla fine della fiera, era solo una questione di soldi. Intendiamoci, non come ce si la immaginerebbe di solito; ma al contrario.
Poiché nessuno dei due ne aveva, ci si poneva il problema di come procurarseli, ovviamente però non di comune accordo, come avrebbe fatto persino la nota coppia di gangster dei film della tivù, cioè non come Bonnie Parker e Clyde Barrow per farla breve, ma l'uno contro l'altro. Vi devo raccontare un aneddoto che mia madre spesso mi ha riportato ripensando a quel periodo, forse per farmi capire quanto brava madre fosse lei.
Sappiate che mio padre, e solo fino a qualche giorno fa pensavo che lo avesse fatto per megalomania (ma sui propri padri non si finisce mai d'imparare, nemmeno dopo che sono morti!), mi aveva iscritto alla famosa scuola internazionale di Varese, una scuola, per quei tempi, praticamente per ricchi. Erano gli anni '60-'70, io ero una bimbetta confusa e sballottata da un posto all'altro e i miei genitori gestivano in toto quelle che erano le decisioni sulla mia vita. Io non avevo voce in capitolo, punto. Mai che mi venisse chiesto qualcosa, un parere, una idea, che so qualcosa... Domani tu vai a scuola là, io e la mamma abbiamo deciso, stop. Dove, come e perché lo avrei scoperto l'indomani. Sto uscendo dai binari, scusate, ritorno al punto. (Voce narrante e protagonista, non c'è male per il primo racconto, sic!). Insomma, credevo che mio padre avesse manie di grandezza, per lo meno mia madre lo diceva sempre, ma il motivo suo era molto più subdolo di quanto lei si sia immaginata sino a questo momento. Sì, perché mio padre era subdolo e incredibilmente bugiardo. Non che non fosse affascinante, non dico questo, ma aveva l'aurea del dark-man, non so se avete presente. Non bad-man intendiamoci, ma dark-man o deep-man, una categoria assai pericolosa. Prima vi espongo il motivo, che è la ragione stessa del mini-racconto e poi vi spiego la differenza tra i due.
Poiché non aveva soldi e non sapeva come procurarseli, mio padre si ingegnava con ogni trucco possibile, non per far vivere decentemente sua moglie e le sue figlie, ma al contrario per privarle di tutto ciò che per loro era vitale. Padre cattivo? Non direi, non nella fattispecie almeno. Lo scopo suo ovviamente non era quello, anzi si ingegnava nell'intento di diventare ricco o di fare soldi alla svelta, per coprirci d'oro e poterci comperare tutto quello che meritavamo. Nella realtà, siccome da qualche parte doveva ben incominciare, cominciava col derubare mia madre e poi anche noi.
Poiché farlo direttamente era troppo evidente, ed aveva probabilmente già promesso di non farlo più, decise che un modo veloce di raggranellare un bel po' di soldi era iscrivermi ad una scuola privata. Che c'entra direte voi? C'entra, c'entra.
L'idea era questa, fare bella figura con la moglie, la figlia e tutto il parentado: "Wauu, tua figlia maggiore in una scuola privata!" Non s'era visto mai! Considerando il fatto che tutti sapevano che non navigavamo in buone acque, altrimenti non avremmo vissuto nei casoni popolari, che più popolari non si può! Ma tant'è che la fermata dell'autobus era vicina, la scuola si trovava fuori città in una località in collina in quella direzione, e anche se lui a casa non c'era mai per potermi accompagnare (mia madre non ha mai preso la patente), io mi sarei tranquillamente potuta arrangiare, alla veneranda età di 5 anni, di poter fare da sola la pendolare per 15 km. ogni santa mattina. Cosa avrei imparato? Ohhh, tante cose belle: matematica, italiano, tedesco, inglese, francese, spagnolo, colorare e dipingere, fare musica, geografia e storia, poi ginnastica e così via, un intero programma da Star Trek universitario condensato nelle elementari. La bambina è intelligente, ce la fa.
Sennonché per i primi giorni, mi era anche andata bene, mio padre (chissà come mai?) era a casa dal lavoro e mi accompagnava lui. Io mi ingegnavo ad imparare in un mondo di cosmonauti, proprio io che venivo dal far-west italiano. Non eccellevo, avevo una media appena sufficiente in quasi tutte le materie, ma in francese beh, quello proprio non andava! Credo che mi avesse dato 1 all'ultima prova orale davanti a tutta la classe. È sì perché già in prima elementare facevamo le prove di verifica apprendimento. E da quando c'ero io in classe se ne facevano ancor di più. Almeno questa era la mia impressione. Ricordo ancora oggi come mi umiliò davanti a tutti in quella prova, credo proprio che mi odiasse, anche se non avevo fatto nulla per farmi odiare, anzi. Mi faceva salire su una sedia posta davanti alla cattedra, di modo che ci salissi in piedi di fronte a tutta la classe, se sbagliavo gli alunni avevano il permesso di ridere di me, per farmi sentire un asino-cretino, nel mio caso un ciuccio-cretino o meglio un asina, ma non finiva lì. Il supplizio cominciava quando lei con fare sprezzante tirava fuori il famoso "metro di legno", quello che una volta usavano i sarti, e te lo falciava sui polpacci ogni volta che ti incalzava con una domanda e la risposta non la soddisfaceva. Io provai in tutti modi di pronunciare correttamente quella parola, ma probabilmente il mio "rouge"(rosso) non si confaceva alla situazione. Ovviamente a 5 anni soltanto, non potevo associare il significato della parola ad un termine comunemente usato in contabilità per indicare che il mio conto scolastico era in rosso! Che ne sapevo io di fatture e conti da pagare? Ero lontana mille miglia da quella materia, erano faccende che di solito sbrigavano (o litigavano) mio padre e mia madre.
Pensavo semplicemente che la mia insegnante di francese era una gran snob antipatica e basta e io la odiavo! (da quel momento). Ma la Française (signorina francese, sic!) non era ancora soddisfatta. Mio padre ogni volta che la vedeva (conoscendolo, ora sto lavorando di fantasia...) si prodigava in complimenti nei suoi confronti e si dilettava a parlare con lei un poco di francese. Eh, sì perché mio padre oltre che bugiardo era pure poliglotta. Un uomo dall'istruzione sicuramente medio-alta, in grado di conversare con il postino, il mercante ed il Re. Fino a che punto poi lo capissero davvero resterà per sempre un rebus, fatto sta che lo trovavano tutti molto istruito, cosmopolita, affabile e a volte anche simpatico. Insomma aveva un suo carisma. E sapeva parlare in molte lingue, tranne che l'italiano! Infatti per quanto io lo correggessi di continuo, lui si ostinava a ripetere quella parola storpiata, usare il plurale al posto del singolare, a coniugare i verbi all'infinito e così via. Quindi non posso immaginare con quale esattezza parlasse le altre lingue, delle quali si prodigava a vantarsi, perché il mio livello era decisamente da principiante.
Insomma dopo la farsa dolorosa del "rouge", arrivò quello che secondo me, mia madre e la stessa insegnante di francese ritenevamo un colpo basso. Era lei che al finire della giornata scolastica, che credo terminasse intorno alle 16. 00 del pomeriggio, mi accompagnava alla stazione degli autobus vicino alla scuola e mi indicava l'autobus da prendere per tornare a casa. Fatto sta che quel giorno si fermò a chiacchierare con l'insegnante di tedesco e la cosa andò molto per le lunghe. Quando rientrai nell'edificio per dirle che non sapevo quale autobus prendere, lei mi accompagnò alla stazione, poi mi fece scendere dalla macchina e mi piantò lì in mezzo al parcheggio, ma senza verificare se il mio autobus fosse già partito oppure no. C'erano ancor due ultimi autobus in partenza, mentre solitamente quando arrivavo alla stazione ce n'erano sempre una decina o forse più. Considerate che non erano pulmini per lo scuolabus, ma vere e proprie autocorriere extraurbane, che solo per salire sui gradini ci voleva Messner! E mi avvicinai a quello che per ultimo ancora faceva salire dei ragazzi. Chiesi al conducente se andasse nella zona di mio interesse, lui mi rispose no, mi disse che quell'autobus era già partito. Poiché era autunno inoltrato, a quell'ora cominciava a fare buio. Mi ritrovai sconsolata in mezzo alla stazione deserta nel buio più pesto. Dovete sapere che a quei tempi i cellulari ancora non esistevano e io non credo fossi capace di usare nemmeno quello a gettoni, ma comunque anche volendo, lì non ce n'erano. Era solo un enorme parcheggio in collina in completa oscurità. Non mi persi d'animo, mi avvicinai al bordo strada visto che almeno lì era illuminato. Aspettai ed aspettai, non so cosa aspettai. Cominciai a piangere sommessa-mente e mi sedetti su un paracarro, quelli belli di una volta fatti col granito.
Avevo in dotazione un orologio da polso, regalatomi dalla zia in America (che il Natale precedente ci aveva inviato in plico tramite posta aerea). Ad un certo punto, una macchina invece di oltrepassarmi come le altre, dopo avermi abbagliata con i fari, si fermò vicino a me, dal finestrino uscì la testa di un omone che tutto incuriosito mi chiese: "Ma cosa fa una così bella bambina, sul ciglio di una strada di notte, tutta sola?"ed io fra i singhiozzi, ormai molto accentuati, visto che era già passata più di un ora da quando la Mademoiselle mi aveva scaricata, con qualche difficoltà gli spiegai che avevo perso l'autobus e che volevo tornare a casa. Per fortuna di Dio, mia mamma era stata molto previdente, e quando lui mi chiese dove abitassi, io potei indicargli la targhetta sulla mia cartella che riportava nome ed indirizzo completo. "Dai salta su, che a casa ti ci porto io!" Io pur essendo molto intimorita da questo estraneo, non vedevo altra via d'uscita che accettare il suo passaggio. Il mio primo autostop!
Allora, per fortuna o per disgrazia a quei tempi ancora non si parlava di rapimenti di bambini o di pedofili, sennò col fischio sarei salita, ma sarei dovuta anche rimanere lì a dormire per tutta la notte fino al mattino dopo e la cosa non è che mi attirasse molto! E se lui fosse stato un malintenzionato?
...(Suspence! ta.. ta.. ta♫)
Questo signore, perché bisogna chiamarlo proprio signore, è stato il mio salvatore! Mi riportò diritta, diritta a casa, dove antistante all'androne condominiale già mi aspettava una mamma tutta preoccupata e agitata. Prima di farmi scendere lui si sincerò: "È la tua mamma, quella lì?" Davanti al mio scuotere forsennato della testa, capì di avermi condotta in salvo. Corsi fra le braccia della mamma e concitata le spiegai cosa era appena successo. Il mio salvatore se ne andò salutando dal finestrino con un grande sorriso, compiaciuto del fatto di aver appena commesso una buona azione. Mia madre presa da un insolita agitazione mi chiese "Chi era quell'uomo? Lo conosci?" "No, di certo, è la prima volta che lo incontro". Incamminandoci verso l'entrata mi prese per mano e la sentì sospirare sollevata.
"Come faceva a sapere l'indirizzo? Io stavo per allertare ormai la polizia, dopo averti cercato dappertutto dalla solita fermata di arrivo del pullman fino a casa e dintorni, da tutti i vicini e le amichette! Non c'era traccia di te da nessuna parte e nessuno ti aveva vista!" fermai il suo fiume di parole con un sorriso e le risposi: "Sai mamma? Hai fatto bene a mettere il nostro indirizzo sulla mia cartella!" Lei in quell'istante si illuminò, ricordandosene. "Ahhh, ma che bravo! E brava anche tu!".
Il giorno dopo era sabato e a scuola non si andava. E quando arrivò il lunedì, con mia enorme sorpresa mia madre decisa mi disse: "Tu in quella scuola non ci torni più!", so che c'era stata una forte discussione fra lei e papà al telefono in quei giorni.
La mattina del lunedì mi accompagnò alla nuova scuola elementare, quella semplice, dove andavano tutti i bambini che vivevano nel nostro quartiere. Fui accolta benissimo sia dall'insegnante, che era molto carina, che da tutte le mie compagnie di classe (era una classe solo femminile, mentre quella di prima era una classe mista).
Insomma la mia disavventura per fortuna finì più che bene.
E mio padre? No, non si separarono, rimasero insieme ancora tanti anni. Troppi.
Morale della favola? Mio padre con la scusa di dover pagare la retta (molto alta) della scuola si faceva dare i soldi da mia madre che aveva ripreso a lavorare, dopo aver dato alla luce e svezzato tre bambine, dicendole che andava lui personalmente a pagarla mentre mi accompagnava in auto. A scuola però ogni volta li prometteva soltanto. Mia madre era tranquilla e non pensava nulla, non andava a verificare i conti, anche perché la fattura della scuola arrivava solo a fine trimestre o semestre. I soldi però lui se li era già mangiati fuori, girovagando come al solito nei suoi falsi tentativi di trovare un lavoro (promesse!), con l'idea di fare soldi in fretta, recuperandoli velocemente, prima che mia madre se ne accorgesse. Fatalmente ogni volta il giochino gli andava male, i soldi che uscivano erano sempre maggiori di quelli che riusciva a racimolare con i suoi "affari" di agente di commercio.
(vedi note)
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0 recensioni:
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- grazie @vincent corbo per il commento lasciato al mio racconto, mi è venuta spontanea una sana risata perchè hai proprio ragione anche se io non me ne ero nemmeno resa conto. Non saprei a dire il vero con quale altro ritmo raccontarlo, visto che le cose da raccontare sono tante e il tempo è poco, il finale lascia a desiderare e vorrei cambiarlo un po, anche perchè non mi sembra che chiuda bene il cerchio... consigli?
- Il racconto sembra un fiume in piena, è bello e scorrevole ma si legge la tua fretta di scrivere e questo spinge anche il lettore a leggere velocemente.
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