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Quattro amici

Eravamo quattro amici al bar...
Che volevano cambiare il mondo
Destinati a qualche cosa in più
Che a una donna ed un impiego in banca...

Questi erano gli amici di Gino, altro contesto, altri sogni, altre miserie. La nostra vicenda si svolge in un paesino dell'Emilia Romagna, a pochi chilometri dal mare, a pochi metri dal Po. Una terra difficile, insidiosa, affascinante.

* * * *

Quattro amici che da oltre vent'anni si ritrovano per trascorrere le ferie al paese, un'abitudine consolidata, un appuntamento che nessuno ammetterebbe mai di organizzare puntigliosamente per non mancare a quella che tutti definiscono una noia mortale.

Federico, medico chirurgo, 43 anni, sposato con Donatella, conosciuta ai tempi della scuola, liceo lui, ginnasio lei, un matrimonio annunciato. A quei tempi lei era bellissima, snob e ovviamente ricca, qualche chilo in più ne avevano attenuato il fascino, lasciando intatto il resto. Roberto, laureato in giurisprudenza, praticantato lasciato a metà, ultima occupazione: store manager in un centro commerciale di prodotti Hi-Tech, da sempre, stando ai si dice, innamorato di Donatella, un matrimonio alle spalle con una finlandese che lo aveva lasciato dopo pochi mesi, dimostrando che i nordici sono davvero intelligenti come dicono. Lui in quel buco ci abitava, non si era mai trasferito in città, nonostante possedesse uno splendido appartamento in centro storico a cui non aveva mai rinunciato, nemmeno nei momenti difficili, superati soprattutto grazie a Francesco che aveva acquistato alcuni terreni tutt'altro che appetibili, per lo più pioppeti in golena, eredità di famiglia. Maurizio, amministratore delegato di una società che si occupava di logistica a livello internazionale, probabilmente l'unico ad aver realizzato il suo sogno, anche se non amava sentirselo dire. Single più per pigrizia che per vocazione, aveva accumulato una fortuna investendo in terreni agricoli ai margini della città, per poi rivenderli non appena un piano urbanistico o una variante li avesse destinati ad area fabbricabile. Di umili origini, aveva abbandonato eskimo e rivoluzione per dedicarsi a qualcosa di più redditizio, si era tenuto distante dalla politica, non dai politici con cui intratteneva rapporti piuttosto stretti, senza distinzioni di appartenenza. Viaggiava molto, spesso all'estero, viveva in un appartamento nel quartiere più prestigioso della città, al paese non lo si vedeva quasi mai, sebbene avesse acquistato e ristrutturato una vecchia costruzione, che gli esperti facevano risalire al periodo estense, riportandola al suo antico splendore.

Francesco, non si era mai mosso dal paese, due figli, una moglie perennemente scontenta, qualche centinaio di ettari di terreno che gli permettevano di vivere senza affanni. Non aveva terminato gli studi, a vent'anni coltivava progetti che sapeva non avrebbe mai realizzato, aveva cominciato ad occuparsi dell'azienda dopo la morte del padre, in attesa di decidere il da farsi, non aveva più smesso. In gioventù aveva avuto problemi con la giustizia, era stato fermato durante una manifestazione, aveva reagito a quello che secondo lui era un sopruso e l'avevano arrestato, se l'era cavata con poco, abbastanza però per imparare la lezione. Erano trascorsi quasi venticinque anni, ogni tanto la storia saltava fuori, la politica era rimasta la sua passione, ma l'aveva sempre tenuta a debita distanza. Era lui ad ospitare la loro notte bianca, una cena luculliana consumata in quello che una volta era il fienile a ridosso dell'abitazione, la ristrutturazione lo aveva trasformato in una meraviglia. Al piano terra una cucina che non aveva nulla da invidiare a quella di un ristorante stellato: friggitrice, griglia, piano cottura con piastre modernissime, non mancava nemmeno il forno a legna. Tutto intorno un parco ricco di ogni tipo di vegetazione a poche centinaia di metri dal fiume che tagliava a metà l'azienda. La laurea in architettura di Delia si percepiva in ogni dettaglio, nessuno sfarzo, una sobrietà studiata ed elegante che faceva sentire tutti a proprio agio. La cena durava quasi tutta la notte, la preparazione era difficile perfino da descrivere. I compiti erano definiti, ognuno portava a termine il proprio senza interferenze, il menù veniva deciso collegialmente, quasi sempre da Zia Concetta, che per l'occasione preparava il suo pregiatissimo risotto con le rane, preceduto da un tortino di zucca con rosmarino, per concludere con rane in guazzetto e la sua celeberrima crostata di prugnoli, la vera attrazione della trattoria. Roberto che si vantava di avere uno zio nel team di Luigi Veronelli, aveva il compito di occuparsi dei vini, nessuno aveva mai verificato, ma si era sempre dimostrato all'altezza delle aspettative.

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