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Il custode del foro

Era il difensore della tradizione, al Dopolavoro ferroviario dove andavamo con gli amici a giocare a tennis. Non era Villa Lloyd, non era lo Junior club, ma inizialmente solo un campo di cemento in mezzo ad un prato di fianco alla ferrovia.
Ci facevamo dare le chiavi, quando andavamo a prenotare e pagare, per aprirlo la mattina presto visto che al tempo la custodia era inesistente. Le chiavi venivano date al primo che prenotava alle 7, 30 e poi ritirate quando non c'erano più subentri.
Durante l'estate prenotavamo un paio di ore ma ce ne passavamo anche tre anticipando l'entrata visto che avevamo la chiavi.
Col tempo sono sorti altri campi e il vecchio, scalcinato campo è stato lasciato senza manutenzione.
Quando la struttuta si è ulteriormente ampliata sono sorti spogliatoi ed un campo nuovo in terra rossa, il fiore all'occhiello del circolo dopolavoristico, col suo bel custode che presidiava gli impianti di via Bengasi.
Sul nuovo impianto con diversi campi, sorgvegliava il custode con particolare cura per quello in terra rossa che aveva precise regole sulle calzature da indossare per non sciupare la meraviglia rossa.
La cosa più bella era che nello stesso campo c'erano regole di abbigliamento che sugli altri non vigevano. Compreso il nostro vecchio campo in cemento.
Non si poteva giocare in costume da bagno, o solo con la maglietta, od a torso nudo ma neanche con canottiere o con pantalocini multicolori.
Praticamente mancava il bianco obbligatorio a Wimbledon ed eravamo a posto.

Immagino oggi il nostro solerte custode che impedisce l'accesso ai giocatori ATP in canottiera tra uno sferraglio di treni il cui transito non può essere fermato.

 

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1 commenti:

  • Miu il 28/06/2025 14:13
    Un affettuoso, divertito ritratto di provincia, questo ricordo. Il tono è lieve, quasi da racconto orale, e alterna nostalgia e ironia con equilibrio.
    Il testo scivola tra passato e presente come su un campo da tennis un po' sgangherato ma carico di memoria. L'autore ci porta in quel "Dopolavoro ferroviario" con un realismo da cartolina scolorita, ma con un cuore vivissimo: le chiavi consegnate all'alba, le ore "rubate" al regolamento, l'arrivo del campo in terra rossa come una rivoluzione. Il "custode solerte" diventa figura quasi comica, a metà tra sorvegliante e paladino del decoro tennistico, come un McEnroe in versione capostazione.
    La chiusa è ironica e ben riuscita: la collisione tra l'ossessione per le regole del campo e l'ineluttabilità dei treni - immagine perfetta per dire che la vita corre comunque, anche se non indossa il bianco di Wimbledon.
    Un testo che sa raccontare, con tenerezza e garbo.

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