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DATEMI TEMPO

Datemi tempo di pensare.
Vedo immagini confuse, solo dei lampi dolorosi che dipingono immagini astratte sulla mia retina.
Ho avvertito un urto proprio sulla coscia.
Subito dopo ho sentito lo sparo... e poi quel bruciore insopportabile alla gamba. E subito dopo la percossa violenta al viso... una botta travolgente!

Bartolomeo era piuttosto rispettato, tra i bambini che trascorrevano i pomeriggi nei pochi metri di strada che univano viale Serao alla scalinata che scendeva al porto e che gli urbanisti della città avevano battezzato “vicolo Sponda”, mentre per i bambini era semplicemente “la vietta”.
Ad essere impietosamente sinceri incuteva più timore che rispetto; Bartolomeo ne era cosciente e, a dirla tutta, la situazione gli piaceva. Quel senso di autorità che riusciva ad imporre ai suoi coetanei era dovuto al suo metro e quarantasette per cinquantanove chili che gli davano di diritto i galloni di capo branco tra i “lupi della vietta”, il gruppo dei dodicenni del quartiere che si riunivano per giocare a pallone o per menarsi proprio nella “vietta”. Il luogotenente storico di Bartolomeo era Nando, suo compagno anche a scuola, lungo e magro, che tutti in sua assenza, chiamavano “il coniglio”, sia a causa degli incisivi gialli ed evidenti da roditore che per l’approcio timoroso che aveva nei confronti della vita.

Oltre ad essere grosso era anche bastardo, Bartolomeo:
- Nando, vedi quel tizio, lì all’angolo, col giornale? Facciamo che se lo becco alle gambe col pallone mi paghi un pralinato, se no te lo offro io...
- Perchè dobbiamo rompergli le palle, scusa? Tanto non ho soldi, oggi...
Bartolomeo inarcò le labbra in un sorrisetto diabolico, poi, stringendo il pallone al petto, diede una spinta a Nando, urlandogli:
- Vaffanculo... ce l’hai!
La sfida era partita, ora Nando doveva per forza rincorrere Bartolomeo e restituirgli la spinta, pena il disprezzo del branco, cosa che nemmeno un coniglio può tollerare.
Rincorrendosi i bambini arrivarono proprio alle spalle del signore con giornale. Bartolomeo, sempre col sorrisetto ad increspargli le labbra, mise a terra il pallone e lo calciò. Una pallonata piuttosto violenta andò a stamparsi sulla coscia destra dell’uomo cho intanto stava dando un’occhiata ai necrologi. Un’esplosione assordò l’isolato.

Ragioniamo un attimo.
Qualcuno deve avermi urtato e poi ha sparato, e mi ha colpito ad una gamba!
Ho sentito distintamente lo sparo, dopo la spinta, sicuramente una pistola, lo conosco quel rumore, ce l’ho anch’io una Beretta. Mi serve, se voglio proteggermi, giusto?

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2 commenti:

  • Margherita Ghirardi il 22/05/2007 12:25
    Bello! Complimenti...
    Scritto con una buona forma e grande ritmo. Ti sembra di essere lì e di assistere a tutta la scena.

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