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Notte d'inverno
Era finita.
L’ultima volta che la vide fu una lontana notte d’inverno.
Una notte d’inferno.
Piovosa e lenta, ne avrebbe ricordato per sempre il profumo dell’umidità e le pozzanghere che si allargavano sui marciapiedi sporchi. La luce dei lampioni si muoveva in esse, in una danza triste e seducente, un andamento sinuoso. Un ballerino che, solitario, sfoggia il suo ultimo tango.
Furono anni di batticuore, anni di oblio, anni in cui dimenticò se stesso, perso nelle sue mani e nelle sue labbra, nel suo profumo di rose. Solo più tardi comprese che le spine, quelle spine che non vedeva, lo avrebbero punto. Il sangue fuoriusciva ormai copioso dalle vene deluse dal tempo, dai sospiri inutili e vellutati, dai singhiozzi duri e patetici.
Non conosceva più quella donna, compagna di mille giorni ed amante di altrettante notti. Luci sempre spente, Amanda, per assaporarti nel silenzio del nulla.
Il vecchio Burke lo conosceva bene ma non lo riconosceva più. Un uomo diverso, assecondato, ammaliato. Inconsapevolmente ammaestrato. I suoi occhi vivi e lucidi, nonostante l’età, lo misero in guardia. Gli disse che il serpente, prima o poi, ti stritola, dopo averti delicatamente avvinghiato. La iena ti sorride, amico mio, ma solo per cibarsi di te.
Lo mandò al diavolo, a quel vecchio inutile e ridicolo. Pensasse a scavarsi la fossa quell’idiota.
Quella notte d’inverno la pioggia si mischiava al fumo, il vento al dolore.
Faccia a faccia, volto duro contro un viso di paura, parole dure come il ghiaccio, mattoni pesanti per il tuo cuore che ha troppo sofferto. Era felice, davvero, ma lei aveva cambiato strada. La strada del destino vorresti sempre sceglierla da te. C’è chi preferisce la più comoda, un’autostrada assolata, circondata da fiumi di fiori. Altri decidono per vie scoscese, dure ed impervie. Quella donna aveva scelto per lui.
Quella notte virò verso una strada di perdizione e violenza, la strada che porta dritta all’inferno.
Una notte d’inferno.
Lei, fredda e distante, lo salutò gelidamente, occhi vitrei. Un tempo così caldi ed amorevoli, vero Amanda? Erano tutti per me, vero Amanda?
Distaccata, feroce, altera, vitrea, sprezzante, severa, altezzosa, insolente. Ma chi diavolo è questa donna, adesso, qui davanti a me? Non è ciò che era. Si, un angelo, delicato e dolce, lo uccise col suo forcone, con la sua coda di fuoco prima sapientemente nascosta. Il tuo posto, allora, è l’inferno, Amanda. O forse è il mio?
Quella notte d’inverno per strada non c’era nessuno. Solo un gatto tremante ed un barbone ubriaco, perso nei suoi perché.
Fu un attimo. Un momento lungo una vita. L’uomo indossava il cappotto, scuro e pesante come la sua anima. Le mani in tasca, fredde come il cuore. ‘Addio’ fu l’ultima parola che sentì pronunciare da quella bocca morbida e carnosa, da quelle labbra volitive e turgide. La vide voltarsi e divenire sempre più piccola, nel suo incedere superbo. Il respiro gli si fece affannoso, palpitava, le tempie e le braccia si fecero pulsanti. Un moto di gelida, programmata rabbia lo avvolse come un mantello.
Lei si allontanava, sempre più piccola, per non tornare mai più.
La mano gli scivolò con durezza dalla tasca, il braccio si allungò.
Lei aveva deciso, ancora una volta, il suo futuro. Sofferente e solitario, nudo ed inutile. Almeno così pensava.
Un lampo squarciò la notte, veloce come un ratto affamato. Un boato interruppe il silenzio e si mischiò al placido ticchettio della pioggia. Una donna cadde a terra esanime.
Il barbone si svegliò, cantò distrattamente una canzone d’amore e si girò dall’altra parte, raggomitolandosi sotto un cartone fradicio.
L’uomo infilò di nuovo la mano in tasca, tenendo ben salda la pistola. Il sospiro fu liberatorio, catartico, si sentì svuotato. A volte sono gli altri a decidere il nostro destino. Tu, Amanda, hai sempre scelto le mie strade. Fino ad ora.
Tornò a casa lentamente, ascoltando i suoi pensieri che scandivano i passi illuminati dalle luci dei neon che stridevano come zanzare dispettose. Ma quella fredda notte d’inverno non era ancora finita.
Un tavolo. Una sedia di paglia sopra di esso. Una corda tesa ad un gancio del soffitto. Una lettera, calligrafia morbida e pulita, salutava amici sognati e mai esistiti.
Scalciò la sedia, le gambe convulse si contrassero alla ricerca di un appoggio. Il gancio tremò ma restò saldo. La corda ringhiò. Più tardi, un vecchio dagli occhi vivi e lucidi, entrò in casa. Alzò gli occhi. Vide e li abbassò subito dopo. Il vecchio Burke riprese la sua pistola, l’avvolse nel giornale e l’infilò nella borsa. Sapeva a cosa sarebbe servita, benché l’avesse prestata malvolentieri. Ma fu meglio per tutti; per lei, un’inutile puttana, e lui, troppo buono e perdente per meritarsi un posto in paradiso.
Era finita.
Era una lontana, fottuta notte d’inverno.
Una notte d’inferno.
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