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IL VIAGGIO
Neppure ho comprato una valigia nuova. Come al solito le situazioni precipitano nonostante cerchi di preparare con cura ogni cosa. Questo viaggio è in programma da un paio di mesi, non ho scuse. Se la cerniera fa i capricci, è la volta buona che l’apro con le forbici questa vecchia valigia, Dio quanti ricordi! E poi mi toccherà tirar fuori la roba come da un vasetto di melanzane. Meglio calmarsi, ho i soldi contati e qui a Milano per una borsa appena decente ti sfilano cento €uro, forse più. Il posto sembra pulito, decoroso. A parte quei triangolini tutti identici di plastica satinata che sembrano inseguirsi lungo il bordo alto della parete e che vorrebbero ricordare un improbabile rametto di edera. Dico, almeno metteteci un vaso da qualche parte, magari collegato al ramo, così, ecco, ci si sente anche meno stupidi e si riesce persino a credere per un attimo che tutto sia vero e naturale. Però il resto dell’ambiente pare curato. D’altra parte la personalità meticolosa e precisa del mio fratellone non delude mai, perlomeno in questo senso. Ivan ha prenotato la pensione circa venti giorni fa, su insistenza di mamma. Quando in casa gira, sia pur solo accennata, la possibilità che qualcosa di nuovo sta per accadere, l’eccitazione li avvolge in un unico lenzuolo, mia madre ed Ivan. Sono identici, ed a me tocca il ruolo di sponda per entrambi. Da quando questi di Milano mi hanno scritto che il mio curriculum è risultato “interessante” ed è stato “attentamente e positivamente valutato”, e fissato un colloquio, a casa non si dormiva più. Li conosco i miei!, Avrei voluto annunciare la notizia solo qualche giorno prima. Ma figurarsi, la lettera fu intercettata da mamma in mia assenza. Era un giorno di pioggia, cercò di allungarmela al mio rientro in casa già sull’uscio, quando ancora tentavo di riporre da qualche parte la giacca fradicia, sorpresa sotto l’inatteso acquazzone di marzo.
- hanno risposto, guarda che dicono.
- Mamma un attimo, per favore! Aprila… aprila, leggila tu.
Non ci fu verso. Da quel momento l’impegno principale della famiglia ha preso a girare attorno al “viaggio”, “all’appuntamento di Milano” per il sette di maggio. Bisognava prepararsi, organizzare, comprare abiti per l’occasione. Mia madre era già in ansia, teneva quella corda emotiva da un capo mentre Ivan ne raccoglieva l’altro. Ognuno la giocava sul territorio della propria competenza e della personale inclinazione caratteriale. A dire di lei, l’aspetto sarebbe stato decisivo, prima ancora che aprissi bocca. Una bella cravatta sobria sotto un abito grigio di lanetta fredda, avrebbe già fatto metà del compito. Poi, ormai, il curriculum l’avevano già valutato positivamente, e, a suo parere, si trattava solo di riempire uno spazio vuoto, già pronto lì per me. Un’eterna sognatrice. A sessantacinque anni non riesce ancora a poggiare i piedi per terra contemporaneamente. È forse il suo modo involontario per stanare nel figlio il miglior senso di responsabilità possibile, a contrappeso di quella sua ingenuità. Oppure soltanto una personalità incagliata nella fantasmatica rappresentazione della realtà. E lì restava, anche quando, per evidenza e prove, si faceva luogo assolutamente pericoloso ed infrequentabile. Una specie di nicchia ecologica alla quale certe specie animali restano devoti, fino all’estremo limite del rischio di estinzione. Un’eccezione, assieme eroica e romantica, dell’istinto di sopravvivenza.
Non le veniva in mente che quella stessa lettera, con tutta probabilità, era stata inviata a decine di persone sparse per l’Italia, mutato solo il destinatario. Che tutte aspiravano allo stesso modo a quel posto, e che ognuna avrebbe giocato ogni possibilità per spuntarla, lecita o meno. Altro che cravatta! È un periodo di magra, il lavoro è sempre più raro e, quando c’è, mostra il volto della precarietà. Il posto fisso “a tempo indeterminato” è una rarità tale che quella specificazione nel testo dell’annuncio letto sul corriere, mi parve un refuso di stampa. Tanto che volli sincerarmene subito telefonando per chiedere conferma. Con sorpresa, la giovane voce di donna lo fece, confermò, e con un sorriso mi svelò anche la numerosa compagnia che quel dubbio accompagnava. La mia era la ventinovesima telefonata, le aveva contate. Il sorriso, ovviamente, fu condimento di mia fantasia.
La posta diventava alta, il gioco duro, ed i colpi bassi. Così esordì mio fratello Ivan non appena ebbe tutte le informazioni per inquadrare perfettamente la situazione. Dall’alto della sua affermazione professionale, faceva il coro a mia madre, dall’argine della razionalità.
Per un mese intero Ivan mi ha bombardato, con le sue raccomandazioni tratte dal manuale del concorrente perfetto. Egli era il frutto, l’esempio conclamato di quella indiscutibile razionalità che ripaga puntualmente. Già commercialista avviato alla mia età, era adesso ormai professionista affermato. Dopo ventidue anni di dedizione e scrupolo, poteva permettersi ben due ragionieri per seguire le contabilità dei clienti in studio, e dedicarsi, egli, a delicate consulenze, professionalmente più esigenti.
Riusciva sempre a trovare il modo per presentarmi davanti esempi pressoché insormontabili. Dopo la morte di mio padre, resse la famiglia. La modesta pensione di reversibilità toccata alla mamma non era neppure sufficiente a pagare la rata del mutuo rimasto. Aveva dedicato tutto a me ed alla mamma. La situazione reale non consentiva di abbandonarsi ad altro se non ad una intransigente razionale modalità di vita. Così raccontava. Ogni qual volta un velo di scetticismo pendeva dalle mie parole, circa un progetto o sulla realizzazione di un programma, quasi mai voluti da me, replicava con l’esempio ammonitore. D’altro canto, ventidue anni di differenza dovevano pur dargli qualche vantaggio. Mi sentivo incastrato, psicologicamente ed emotivamente costretto ad un atteggiamento che assumevo per riconoscenza, per debito, ma che sentivo non mio. Forse era giusto, sì, ma non mio. Anche adesso, col passare dei giorni e con l’approssimarsi della data del colloquio, sento quell’appuntamento come un impegno comune, della famiglia, più che mio. Quasi ne fossi soltanto il materiale protagonista. Una sensazione che m’investe di maggiori responsabilità più di quante ne avrei elaborate autonomamente. Una consegna alla quale non posso in alcun modo sottrarmi. Eppure si tratta della mia vita, ma sento forte l’impotenza a giocarla in modo individuale ed autonomo dalla loro. Ed il dubbio che in questa pensione ci sia arrivato come una raccomandata, mi assale impertinente e scomodo. Non si concilia con l’esigenza di concentrazione che la situazione di domattina pretende sin d’ora. Devo distrarmi, ho bisogno di cambiare registro a questi pensieri. Chiamo Sergio, quello scansafatiche sin dai tempi del liceo che da sei mesi si è sistemato a Praga. Avrei bisogno di aria pulita.
Ci sono sempre stato di passaggio qui a Milano. Tra un treno ed un aereo, o per il cambio tra due treni. Non ho mai sentito una grande attrazione per la città, a parte qualche evento culturale. Nel curriculum ho indicato le poche esperienze importanti, quelle presso il settimanale locale di cultura e spettacolo e l’altra di correttore di bozze. In effetti cercano un “giovane laureato con esperienza nel mondo editoriale”, e di certo i due anni spesi in giro per l’Europa a pulire cessi e servire in luride locande boccali di birra a ruttanti vichinghi avventori, avrebbe forse pregiudicato quell’immagine di me che mamma ed Ivan hanno stampato nella mia mente in due mesi di duro ed intenso lavoro e che io adesso dovrei traghettare in azienda. Mi sento il Caronte di me stesso. Dal treno I. C. notte Roma - Milano - Zurigo, ci ho messo un bel po’ prima di scendere a Lambrate. Premeva nelle ossa una gran voglia di rimanere attaccato alla poltrona fino a Zurigo. E poi di là, chissà, allungarsi fino a Praga, e domattina sorprendere Sergio con un paio di scoppole dietro la nuca mentre infila i due occhiali spessi nella prima pagina del giornale alla fermata del Bus. Ma davvero leggerà un quotidiano Ceco con lo stesso interesse di uno italiano? Secondo me finge per darsi un tono. E divago, e non riesco a concentrarmi su questo colloquio. Lo voglio questo lavoro? Sono qui per me? Ecco, ci mancava il cellulare con quella suoneria ebete. Mettere la IX di Beethoven in un cellulare è come seppellire Karl Marx al pentagono. Marisa quando s’impunta sulle cose va assecondata o sopportata nella sua insistenza per giorni interi. Per temperamento cedo subito anche perché vorrei capire bene se questo nostro rapporto tiene e non lasciarmi influenzare da impennate emotive per questioni secondarie. Sacro e profano si possono anche mischiare, ma nei momenti in cui le cose ti appaiono chiare e puoi concederti al declino della confusione che magari stana anche il verso allegro delle situazioni. lì a Bolzano Marisa ci è andata per una supplenza che magari a cercarla l’avrebbe trovata anche a Roma o nelle vicinanze. A me è parsa una fuga o almeno la volontaria costruzione di una situazione concreta che evita ed un po’ nasconde il solito luogo comune “stiamo un po’ lontani, voglio capire, devo elaborare”. Ecco, così almeno mentre uno capisce ed elabora magari fa anche qualche esperienza professionale e di vita e rinfoltisce il curriculum. Certo, un viaggio in Polinesia per quanto più allettante, ed il clima sia decisamente diverso da quello di Bolzano, ti costa un anno di lavoro e perdi pure il punteggio in graduatoria. E magari dimentichi il motivo per cui ci sei andato.
- Ciao… sì sono a Milano. L’albergo non è male, sembra. Non ho ancora avuto il tempo di provare il lettone…. Sì, il lettone, non c’erano singole e chiedere che si dividessero i letti mi sembrava un’esagerazione visto che sono da solo…. Ecco, sì, hai ragione, con te mi accade come con nessuno di trovare battute di spirito in momenti tragici…. Certo, hai sempre ragione tu, nulla di tragico, io qui tu lì, la nostra vita a Roma, tutto mi pare perfetto…Ecco, sì, hai ragione, polemizzo inutilmente “come al solito”. Che faccio tento di aprire la valigia o ti lascio parlare ancora?…Sì buonanotte, ciao, a domani, sì… ciao, nott…cosa? …come è finita, in che senso scus…come?…e non potevi dirmelo subito?…io non ti lasciavo parlare? Senti, se ti va potremmo discuterne domani, vengo su da te, ti va?…hai lezione? Magari dop…compiti da correggere? Potrei fermarmi per uno due giorn…Dove? Tua madre, arriva tua madre?
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