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L'Imperatore di Piazza del Popolo

C’è un uomo che cammina per strada, ed in questa notte maligna di Gennaio è forse l’unico che attraversa la piazza.
Viene da Via Ripetta, e se qualcuno potesse vedere il suo volto non ostante l’oscurità, si accorgerebbe che non appena entrato nel perimetro di Piazza del Popolo, il suo volto sofferente si è disteso, come quello di uno che ha molto camminato, ma alla fine è riuscito a tornare a casa.
Ed è proprio così che si sente Tano, a casa, perché quella Piazza, con quelle due chiese gemelle che innumerevoli volte hanno ascoltato i suoi discorsi da ubriaco, dagli scalini di quell’obelisco fino a cui si è trascinato sorridente col suo passo alticcio e sfasato, sono davvero casa sua, sono davvero una sua proprietà.
E mentre Tano si accascia ai piedi dei ventiquattro metri dell’obelisco Flaminio, gli sembra che dalle nebbie del tempo i Faraoni Ramesse II e Mineptah, ed Augusto che lo portò a Roma, lo stiano aspettando per vegliarlo in questa sua ultima notte.
Tano sta morendo, e lo sa, e mentre le pupille si dilatano ancora e le palpebre sembrano ad ogni battito un po’ più collose, egli si rende conto che quella piazza lo stava aspettando, e che a lui tocchera’ morire in una delle più belle tombe del mondo.
Allora si rilassa, non ha paura della morte, hanno fatto tanta strada insieme, ed ora è giusto che lei sia lì, in quel particolare momento. Tano spera solo che lei abbia il rispetto di lasciargli ancora qualche attimo, per ripensare al suo passato.
Si, lo sa’, è un po’ borghese come desiderio, ma dopo una vita trascorsa eternamente “contro”, o meglio, “fuori”, un piccolo pensiero borghese può anche concederselo, e poi sarà l’ultimo no?
Un modo anche questo per essere ancora “fuori”.
Si conoscono da tempo, da quando suo fratello Francesco si era suicidato all’interno dell’Unite’ d’Habitation di Le Curbusiere, no, anzi… da prima, da molto prima, almeno dai suoi diciotto anni, da quando aveva scritto quella poesia:

E non c’é luogo / nella mia memoria, di quel litorale / Solo i giochi vedo chiari / e la palla che s’ alza verso il sole / Il nome dei miei compagni / ed il mio / fu scritto sulla sabbia / poi lo cancellò il mare / In quale oceano sta annegando / ora la mia infanzia / e chi di noi é morto per primo?

Ed a pensarci bene, anche il fatto che era nato il due Novembre era un segno.
Da allora un approccio metafisico pervaso da un suo personale intimismo lirico aveva segnato il resto della sua esistenza, e di conseguenza delle sue opere, dei suoi oggetti posti sempre come confine, le sue finestre chiuse, esibite alla Biennale e che lo segneranno per il resto della vita, a far intuire l’esistenza possibile di qualcosa che vive oltre, che si intravede attraverso le imposte, ma che non è possibile raggiungere, soffocati dal quotidiano, dagli oggetti che ci affanniamo ad usare ed ammassare, e che inesorabilmente ci sopravviveranno.

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13 commenti:

  • francesco gallina il 08/04/2010 13:34
    ritorno sul sito dopo tempo immemore, grazie.
  • Rocco Burtone il 10/07/2009 15:32
    Un abbraccio e un complimento a Francesco. Mi piace la tua anima
  • Ivan il 30/06/2008 17:16
    L'avevo già letto, ma in mancanza di inediti. Bravissimo.
  • francesco gallina il 06/09/2007 08:06
    Grazie Giuliana, bentornata.
  • francesco gallina il 28/08/2007 12:19
    Ciao Cri, ti ringrazio. Per la cronaca un buon 90% di quanto scritto è vero.
  • Isaia Kwick il 19/08/2007 16:37
    Gradevole.
  • francesco gallina il 17/08/2007 20:03
    grazie
  • Claudio Amicucci il 17/08/2007 16:12
    Non conosco l'opera di Tano Festa, purtroppo manco da Roma da 15 anni. Ma ho abitato a Vicolo del Bologna dal 1974 al 1992 e di personaggi come Tano ne ho conosciuti tanti: Trastevere ne era piena. Ci sono ripassato qualche mese fa, ma ho avuto l'impressione che quell'aria culturale, spesso alternativa di quegli anni, non c'è più. Cmq un buon racconto, ben scritto. Ti leggerò ancora volentieri. Ciao Claudio
  • francesco gallina il 13/08/2007 14:00
    Grazie, come ho già detto a Gioacchino tengo molto a questa storia, non perchè ne sono l'autore, ma perchè descrive brevemente la vita di quello che considero il più grande artista italiano del dopo guerra: Tano Festa.

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