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Storia di una chiamata - Capitolo 4°

… e sono, ancora una volta, sul pullman nei primi giorni di Luglio del 1980 e viaggio verso Assisi alla ricerca della mia “identità”, quella nuova, perché la prima è durata appena dieci anni, quanto è durata la mia splendida comunità catanese.
Comunità, parola “innervata” dentro il mio essere, realtà meravigliosa, prima intravista, poi “assaporata” a Catania, ma ora svanita nel nulla, quale spuma che si perde nel mare sconfinato della vita.
Realtà che resta sempre iniziale e mai definita e quando sembra chiara e sicura si trasforma, diventa “struttura” con regole precise, con confini definiti da paletti di proprietà: “Vietato l’ingresso ai non addetti ai lavori” e la comunità sparisce!! Ma io continuo a chiedermi, nell’oggi storico, in questo spazio e in questo tempo in cui io vivo, perché non è più possibile realizzare lo spirito fraterno delle prime comunità cristiane? Perché la metodologia diventa quasi un fine e non si pensa che la testimonianza di uno sparuto gruppo che vive nell’amore fraterno è l’unico fine della credibilità della nostra fede?
I pagani di ieri del mondo romano potevano dire per i cristiani di allora: “Guardate come si amano!”. I moderni pagani d’oggi: gli atei, gli agnostici, gli indaffarati, gli indifferenti, gli oppressi che cosa possono dire di noi cristiani “Guardate come scrivono bene, guardate come parlano bene, guardate la sala dei loro “convegni” è zeppa di … competenti!”.
Tutti questi perché mi “pulsano” dentro, ma no, è solo “l’assordante” musica che l’autista ci propina per tenere su il morale della “comitiva” in cui mi trovo.
Tutto ciò non basta, perché l’altro malefico dubbio (alimentato dalla presenza di alcune famiglie) mi riaffiora insidioso: “Ma ho sbagliato chiamata? Dovevo seguire la comune strada del matrimonio se volevo vivere l’amore?”
Mi disturba ora questo pensiero, perché ogni volta che sono in crisi diventa “certezza”. Mi alzo e mi siedo da sola all’ultimo posto dell’autobus, volgo un rapido sguardo a Margherita, che è seduta tranquilla vicino alla sorella Rosalia.
Forse la monotonia della strada suscita in me “monotoni” pensieri?
Improvvisamente il panorama cambia.
Ora appoggio la fronte al vetro del finestrino chiuso e provo come una piacevole “frescura”, allontano la tendina e all’improvviso ti vedo nel tuo cielo e nel tuo lago Cormaro, così leggo nel cartello. Fisso lo sguardo sulle spumose nuvole bianche che danzano nel cielo e mi sento “libera e leggera”, quasi mi distacco e mi sembra di “danzare” con Te nel tuo cielo fra le bianche nuvole e posso lodarti e benedirti sempre, o Trinità beata, prima, unica, eterna comunità amata e amante! Grazie perché riesco ancora (nonostante delusioni cocenti) a riposarmi in Te o Trinità!
Ecco ora il grande-piccolo rilucente e vibrante lago abbracciato dalla terra feconda di verdeggianti, stupende colline. Il lago luccica con i raggi del sole che, brillando, formano delle lunghe strisce di luce: una di esse sale e, formando una rilucente “lama di luce” arriva nel mio stanco, pesante cuore di pietra e improvvisamente lo rende di carne, capace di nuove speranze.

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