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Chirurgia Uomini
“Signori per cortesia uscire…non è permesso restare in reparto a quest’ora.”
“Mirella hai controllato il 24? Deve fare il prelievo.”
“No signora, deve chiedere al Professore. Si, va bene, se mette una firma qui domani mattina può uscire, ma sarebbe meglio che restasse altri due giorni. Ieri aveva ancora la febbre.”
Fa freddo.
Non arriva mai la primavera. Se il tempo è incerto, lo sono pure io. Sono sempre stata ciclotimica, metereopatica, instabile. Però una cosa è sicura, non mi lascio influenzare dal tempo quando lavoro. Ah, no! Quando sono qui il tempo è ininfluente. Qui dentro non mi interessa il tempo meteorologico e neanche quello che passa. Lavoro e basta. Penso ai miei malati di là , dopo il corridoio.
In reparto le ore sembrano fermarsi sospese nel momento in cui entro e metto la divisa. Lo sento scorrere, il tempo, certo che lo sento, scandito dalla luce, dal via vai dei parenti, dalle visite, dall’odore dei pasti, dai lamenti nella notte, dai pavimenti bagnati al mattino. Sento il rumore delle porte degli ascensori che cominciano a prendere vita. Alle sette in sala operatoria, il martedì e il venerdì e poi via uno e un altro e ancora altri e i soliti visi, le domande, le ansie di chi aspetta. Ma non mi lascio coinvolgere. Convivo col dolore. Lo accetto, lo guardo negli occhi.
A volte guardo pure la morte. La vedo che si ferma accanto a qualche paziente, l’aspetta tranquilla, si siede lì vicino e attende. E loro, i malati, pare che la percepiscano, quando, sfiniti dalle sofferenze, non chiedono altro che riposare.
Non mi fa paura. La conosco. Arriverà di certo. Per qualcuno, come una madre pietosa, per altri come un giudice ingiusto. Non bisogna aver paura della morte perché quando c’è lei, non ci sei tu e quando tu ci sei, lei ancora non è arrivata.
“Buonasera dottoressa, ancora qui? Si, dia a me la cartella. Il professore ha detto che può andare. No, tutto tranquillo. Stanotte c’è Vincenzi, arriva a momenti, vada pure.”
Fa freddo.
Sono uscita di casa e ho sentito il vento di tramontana che mi ha graffiato la faccia. È arrivato improvviso quando già credevo che sarebbe venuta la primavera. Volevo mettere via il cappotto e aprire le buste con i vestiti leggeri. Volevo rifarmi la tinta. Volevo fare i colpi di sole. E invece quel raggio pallido di primavera è durato un attimo, solo un’illusione.
Però mi sa che domani andrò lo stesso dal parrucchiere. Ho voglia di cambiare un po’, di darmi una sistemata. Vorrei farli scalati. Quando vado dal parrucchiere mi sento bene. Il fatto è che bisogna stare bene per andare dal parrucchiere, e allora, dico, grazie che mi sento bene, se ho deciso di andare a farmi i capelli vuol dire che già sto bene! Perché a volte, quando mi gira male, passano anche mesi senza rifare la tinta o il taglio. Mi vengono le doppie punte e si vede la ricrescita ma io non mi guardo allo specchio e così non me ne accorgo.
Ti ricordi quando mi dicevi: sei stata dal parrucchiere? Io ti fissavo ridendo ed ero contenta. Non c’è niente di più deprimente che uscire dal parrucchiere, entrare a casa, e capire che nessuno se ne accorge. - Noti niente? - E lui neanche ti guarda. - No, perche’? Aspetta… e si sforza di osservarti. Guarda bene, gli dici, noti niente? - Non mi sembra… dai… Mi arrendo! Cosa c’e’ di nuovo? - Lascia stare, non fa niente - . E la prossima volta che vai dal parrucchiere ti tagli i capelli corti corti.
“Chi ha fatto l’anamnesi al 26? Non vedi che è una cistifellea? Controlla la terapia. Si, alle ventidue e alle quattro. Intramuscolo.”
Mi sa che mi faccio lo stesso i colpi di sole. Domani sono di riposo.
Da quando sei qui ti posso vedere e controllare.
Mi hai chiesto di farti ricoverare nel mio reparto e ho fatto di tutto per accontentarti. Da me potevi restare, lo sai. Ma ora ho capito perché. Me lo hai detto l’altro ieri, mentre mi prendevi la mano. Non farlo sapere a Rita, lei non capirebbe, mi hai sussurrato con un filo di voce.
Non avrei mai creduto che fosse possibile decidere una cosa simile. Ma lo vuoi tu e te lo devo. Per tutto quello che hai fatto per noi e per ciò che avresti voluto.
Quando mamma se ne è andata ci sei stato tu. Mi chiamavi il mio Angelo. Ora il tuo Angelo deve decidere per te, o meglio, deve eseguire le tue volontà.
“No, signora, deve uscire adesso. Non è permesso restare qui la notte, almeno quando sono di turno io. Mi dispiace ma così vuole il professore.”
Anche oggi mi dicono che non hai mangiato. Già, a cosa servirebbe?
È deciso per dopodomani.
Dio mio sarò in grado di farlo?
Il dottor Vincenzi sa tutto. Mi aiuterà. Lui mi ha capita. Ma io capirò? Si crede sempre di dover giustificarsi davanti agli altri, ma è davanti a se stessi che non si trovano giustificazioni, se non l’amore o l’obbedienza incondizionata.
Andrò lo stesso dal parrucchiere? E chi mi dirà più che ci sono stata? Ormai è troppo tardi. Tu non te ne accorgerai.
Rita non lo saprà. Lei ha accettato che venissi al reparto e non sapeva cosa mai mi avresti chiesto.
Chissà come se la cava tutta sola. Almeno non discuterete più… La vorrei vedere serena, senza più risentimenti. Siamo state unite per tanto tempo, stessi amici, stessi interessi, forse anche troppo. Mi sembra impossibile non vederla più come prima.
Ti interessava tutto di me, ricordi Rita? Pure quello che non ti avrebbe dovuto interessare. Lui diceva che si confondeva tra noi due e che eravamo uguali, a me sembra che giocavate coi miei sentimenti. Dove sta scritto che due sorelle devono dividersi tutto? Credevo che non sarei riuscita a perdonarti, eppure è passato pure quello. Siamo gemelle, dicevi, siamo uguali in tutto e per tutto, mentre ridevamo davanti lo specchio e facevamo le facce per cercare di assomigliarci di meno. Tu ci riuscivi meglio di me. Storcevi l’occhio destro che sembrava che guardassi in su mentre l’altro fissava dritto lo specchio e con due dita, mentre ridevi, ti allargavi la bocca, così! Quanto eravamo sceme! Uguali in tutto e per tutto eppure di segno zodiacale diverso. Io dei gemelli, tu del cancro. E non mi hai perdonato di essere nata due minuti dopo di me a cavallo della mezzanotte. Come se fosse stata colpa mia. Casomai di mamma. Già, lei non vuoi neanche che si nomini.
Andrò davvero dal parrucchiere domani? Non credo ne sarò capace.
Metterò il fiocco azzurro?
Il fiocco azzurro… quante discussioni per quel nastro! Lo avrei voluto di un altro colore, ma niente, solo il fiocco azzurro per me, mentre Rita poteva cambiar colore quando voleva. Anzi, quando volevi tu, papà! Perché noi abbiamo fatto tutto quello che volevi tu papà.
Niente altro che quello che tu hai voluto, dal primo all’ultimo giorno, papà.
Ti amo padre mio e stasera ti odio. Per quello che sei stato, per l’amore che ci hai dato e che ci è piombato addosso come un peso insopportabile.
Ti odio eppure tra due giorni farò quello che mi hai chiesto, e sopporterò su di me il peso della morte che verrà a prenderti senza essere stata ancora invitata. La sedia vicino al tuo letto è vuota, papà, perché lei ancora non ha deciso ma tu hai deciso per lei e io per te.
Guarderò i tuoi occhi infilando per l’ultima volta l’ago nelle tue esili e fragili vene come una spada affilata che trafigge il cuore. Vedrò il liquido mischiarsi al tuo sangue pallido, scendere ed entrare dentro di te e il tuo volto rilassarsi e distendersi senza più quella smorfia di dolore che cercavi da mesi di mascherare, terminando in un lungo sonno senza risveglio.
E finalmente troverai il riposo che desideravi tanto.
Che sarà la mia dannazione.
Il mio ultimo regalo per te.
A me rimarrà una nostalgia dolce e amara come quando finisci di leggere un libro che ti ha appassionato e tenuto compagnia. Quando leggi l’ultima parola e vorresti non dover posare quel volume, a prender polvere in uno scaffale.
Che Iddio mi perdoni.
Domani taglierò i capelli. E farò i colpi di sole. E te ne accorgerai ancora.
Ti amo padre mio, riposa in pace.
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0 recensioni:
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- Un viaggio senza ritorno nei meandri di una coscienza umana e professionale...
Molto bello, complimenti
- Bene. Tempi ottimi e scrittura corretta. Linguaggio ricco e commozione.
Ogni tanto qui si trova qualcosa di sincero.
L'apicoltore
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