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il cielo sotto berlino
Prima di vedere il tuo appartamento raso al suolo, hai accuratamente chiuso la porta a chiave. Come al solito. Non c’è più niente, dentro, tranne la televisione, nell’angolo del salotto, accesa. C’è Costanzo che insulta…non si sa chi, e nemmeno per cosa. Fra poco daranno il telegiornale.
La casa, dentro, è calda e pulita.
“È calda, questa casa”, disse Valerio, appena entrato. Aveva sei anni, sembrava felice: aveva appena cambiato casa. Da un isolato, all’altro. Non c’era niente, non un mobile, neanche una finestra, dentro. Però, è vero, era calda, quella casa.
Pulita, nonostante l’incessante lavoro di rifinitura dei muratori.
Tutto era già in ordine, pronto per accogliere la sua famiglia. I suoi genitori confabulavano: le stanze da letto sarebbero andate in fondo, divise dal bagno grande. L’altra stanza, in fianco all’entrata e al bagno piccolo, era destinata ai giochi?"ed alla ginnastica del padre. Col tempo, Valerio avrebbe acquisito il diritto ad una camera tutta sua, non più in comune con la sorella. D’altronde, il padre si sarebbe stufato della ginnastica.
Trotterellò un poco, qua e là, incurante di mamma e papà. Poi si fermò, davanti ad un angolo del salotto. In fianco c’era un buco nel muro: la finestra per il balcone.
“Qui ci andrà la televisione”, indicò dritto avanti a sé. Squadrò bene suo padre, poi la sorella, ed infine la madre.
Poi si girò, assorto, ad aspettare che loro comprendessero la portata della sua decisione. Anche i muratori si erano fermati, a guardare.
In televisione, a quell’ora, davano “il pranzo è servito”, con Claudio Lippi però, non con Corrado.
“Ora andiamo, i nonni ci aspettano per mangiare” intervenne la madre, Tiziana, stringendo le spalle del figlio al suo ventre.
Stringi le spalle nel cappotto, c’è molto freddo.
“Abitava da molto qui, giovine?”. È una signora anziana, anche lei ha una grossa valigia, per terra, di fianco.
Fai un po’ i conti.
“Beh, si. E lei?”, indichi con la mano la valigia.
“Oh, io era una vita, stavo di là in fondo, nelle case rosse. Si può dire che l’ho vista nascere, questa casa”, sorride.
“A dire il vero anche noi”. Ti senti un po’ vecchio, nel dirlo.
La signora sospira, prende fiato.
“Ora vado a stare al Ceo, da mia nipote…”
…
“…e lei?”
“Scusi”, tossisci, ”vado a Berlino, dal…dalla mia nuova famiglia. Sono professore, all’università. Mi piace, là. Sto bene. E con il rimborso avuto dal comune per…” giri lo sguardo ad abbracciare il luogo dove, prima, c’era la tua casa “…credo di poter disporre di un po’ di soldi solo per me, sa…”
Passi il palmo della mano sul viso, a lisciarti la barba. La signora ti ha ascoltato attentamente. È ancora li, si aspetta qualcos’altro. Si, ma cosa?
“E la tua famiglia? Sa, prima ha detto nuova…”, chiede, finalmente.
“Ha ragione. Vede, i miei genitori sono morti. Tre anni fa, incidente d’auto. Non prima di aver finito di pagare il mutuo della casa, intesi. In questo, mia madre ha avuto torto: avremmo finito di pagarlo noi, io e Martina, il mutuo, diceva”
Silenzio.
“Martina, lei è a Padova. Ha uno studio privato, è psicologa. È brava. Si è appena sposata…”
Fai di si con la testa, piano, come ammonimento.
La signora guarda dall’altra parte, saluta da lontano una ragazza, molto carina, afferra la valigia.
“Devo andare”, dice, ”in bocca al lupo, Valerio…”, dice.
Ti porge la mano, quella libera dalla valigia.
“Auguri, signora…”
Non ti lascia il tempo di capire chi sia, è già là che abbraccia e bacia la, presumi, nipote.
Strano. Non l’avevi mai vista prima.
Nessuno aveva mai visto l’appartamento del primo piano, dentro. Ogni porta aveva una targhetta, dorata. Su tutte le porte c’era una scritta: recava il nome della famiglia che vi abitava. Sopra ad una al terzo piano, per esempio, c’era scritto “Silanos”: era casa di Luca, amico d’infanzia di Valerio. Su quella di casa sua invece, al primo piano, c’era scritto “Damini-Adami”.
Sulla porta di fronte, sempre al primo piano, non c’era niente: cosi per tredici anni. Tanto ci misero ad affittare quell’appartamento: troppo piccolo per una famiglia, troppo costoso per una coppia di anziani.
Il primo a vedere l’appartamento fu, ovviamente, il suo abitante: Alessandro. Piccolo, magro ed elegante, gli occhiali piccoli e tondi: tutto, in lui, era li a dirti che lui la sapeva lunga e te la faceva pesare, quando necessario. Il giovane si presentava bene.
Arrivò di mattina presto, il venti di luglio, con l’espresso del Brennero. Fu per caso che per le scale incrociò Valerio, di corsa.
Andava a Genova a contestare il g8. Indossava una maglietta bianca, con su scritto “voi g8, noi 6. 000. 000. 000”. Ad Alessandro piacque quella maglietta. Sorrise, poi, nel cavar fuori di tasca le chiavi della sua nuova casa, si passò l’altra mano sul viso, a sistemare i baffi.
A Valerio sarebbero piaciuti da subito, quei baffi scuri, perennemente accennati, quasi a non voler disturbare.
“Scusi, disturbo?”. Una faccia ti guarda, interrogativa: il tuo
sguardo perso, fisso verso qualche punto avanti a te, disarma, un poco.
La conosci quella faccia: è tua sorella.
“Ma tu…”, farfugli, e le poni la mano sulla spalla.
“Bravo, facciamo progressi”, ti sfotte, ”cosa vuoi, mica potevo lasciarti andar via senza salutarvi, te e quell’ammasso di pietra in cui abitavamo.”
La scruti un attimo, divertito. Osservi quel suo dolce giocherellare con la fede all’anulare: lo fa girare col pollice, un giro completo, poi di nuovo.
Sta bene, con i capelli corti.
“Sai, qui davanti” gesticoli, ti rivolgi ancora una volta avanti a te, al luogo dove prima c’erano delle case “faranno tutto un nuovo parco, con gli alberi, le panchine, e tutto il resto?"il verde, ad esempio. Vecchi e giovani tutti insieme, felici, contenti ed in armonia con la natura. Piano di recupero ambientale urbano, l’hanno chiamato.”
Taci. Guardi l’asfalto, in basso. Sbatti le suole delle scarpe.
“Sotto qui” prosegui “sotto, invece, un centro per la salute pubblica: palestre, piscine, sale di riabilitazione psico-motoria… Faranno congressi, fiere, dicono, per informare la gente su come stare in salute e campare cent’anni. Verrà data alla gente la possibilità concreta di stare in pace con il proprio io interiore! Il tutto, sarà finanziato e diretto dalla GlaxoSmithKline: come dire, sinonimo di efficienza e trasparenza…
È una questione di civiltà: Verona è sempre stata all’avanguardia, dicono.”
Ansimi. Ti calmi, poco a poco: non hai mai riposto tanta fiducia nelle tue sfuriate moralistiche, in fondo.
“Lo sapevo già”, dice Martina.
“Ora lo sai meglio.”
Tua sorella non replica: sarebbe inutile.
Ti chiede invece come sta Alessandro.
“Oh, bene, bene. A breve uscirà il suo primo romanzo, L’Estate: sarà un nuovo caso Cèline, dice. È immerso nella parte: il medico di città, della grande neu-berlin, che arriva e sbatte in faccia a tutti la Vita. Appena tornato da Lanzarote, dove ha incontrato Houellebecq, mi ha detto che lui l’adora. Voglio dire, Houellebecq ad Alessandro.”
Guardi il sole, socchiudi gli occhi e sorridi.
“Dice che dovrei essere geloso: Houellebecq prima o poi piomberà, a Berlino, per derubarmi del mio amore -ovvero lui. A parte gli scherzi, l’ho letto, il romanzo, e devo dire che è notevole come lavoro. Ho realizzato uno dei miei sogni, grazie a lui: è come fosse anche un poco mio, questo suo libro.” Lei ti guarda ancora?"lo stesso sguardo di anni fa, quando era sull’altalena, e aspettava che papà le desse l’ultima spinta.
È curiosa di sapere qualcosa su te: non avete avuto molto tempo per parlare, al matrimonio.
“Ti racconterò nell’andare in stazione”, le fai.
Prendi il cappello che stava appoggiato sulla valigia, poi afferri quest’ultima.
Lei ti blocca, delusa.
“Ma sono solo cinque minuti di macchina” dice, accennando alla Fiat Tipo parcheggiata nello spiazzo all’angolo, fra via Gramsci e via Curiel.
“Infatti. Andiamo a piedi.”
Si rincontrarono in centro città, a piedi. Valerio stava andando ad una riunione del Movimento Studentesco?"l’ennesima.
Alessandro no, lui stava semplicemente esplorando la città, non come un turista, però. Non aveva voluto portarsi appresso una carta topografica della città, cosi si era perso. Ma non voleva darlo a vedere.
Quando vide Valerio, e lo riconobbe, sospirò di gioia. Si avvicinò con discrezione, senza farsi notare.
“Ciao.”
Valerio non si scompose: dopotutto, di matti ce n’erano tanti, a ‘sto mondo.
“Salve”, rispose, come faceva con qualsiasi persona che avesse almeno un anno più di lui.
Alessandro ci rimase male, un pò: non credeva di sembrare cosi anziano. Anche se gli faceva piacere, che qualcuno notasse la sua maturità. Valerio invano cercò di spiegargli come arrivare a castel S. Pietro. Si arrese, e andarono insieme: in realtà, ne fu lieto. Da lassù, osservarono l’Adige, sinuoso amante, circuire le dolci fattezze della città. Poi, scesero a pendere il the presso la caffetteria al Duomo.
La giornata fu piacevole: ottobre, il cielo terso e il tepore di un pomeriggio autunnale, in cui le foglie degli alberi sono rosse e sorridono al vento.
Il vento ti libera una piccola ciocca di capelli, rimasta impigliata nella montatura degli occhiali. Martina è li che domanda, e domanda: ti senti come ad una seduta. Glielo fai presente?"almeno per poterti regolare sulla parcella. Le dici un po’ in generale come stanno le cose: la tua cattedra in filosofia teoretica, le notti berlinesi…che tu e Alessandro vorreste adottare un bambino…
“Di colore?” ti chiede.
“Non lo so, un bambino.”
Si sentiva un bambino, Valerio, di fianco ad Alessandro. Ovunque. E non solo per questioni anagrafiche. Soprattutto al laboratorio di scrittura creativa del Malacarne: anche perché, si può dire che gli unici due che scrivessero, li dentro, erano lui e Mimì ?"cioè, il Maestro. Gli altri, loro cercavano di scrivere: la cosa è diversa.
Quell’anno particolare, Valerio lo ricordò sempre cosi: particolare. L’anno dei suoi diciott’anni, un anno come tanti altri. Un anno, con dei fatti: ad esempio, che un ragazzo di Pavia decidesse di studiare medicina a Verona per un anno, in attesa di entrare alla Freie Universitat di Berlino. Insomma, tali decisioni, che portano a tali situazioni: è normale, nella vita. Forse. Perché c’era qualcosa di diverso, pronto per Valerio?"e allora per lui non sarebbe stato più, un anno fra molti altri anni.
C’era Alessandro, e questo sarebbe già bastato.
C’erano quei baffi, che lo penetravano, nel midollo. C’era un’amicizia prima strana, poi esclusiva, asfissiante, infine qualcosa che amicizia non era.
Perché era attrazione: semplice, minimale. Era la consapevolezza di sapersi necessari, l’uno all’altro. Era una questione etica ed estetica?"e Valerio era, come dire, per lo meno impaurito.
Non era amore. Era qualcosa di più.
Forse qualcosa di troppo.
C’è un che di troppo, lo noti, quando prendi posto sul sedile del treno: sarà il tuo posto, prenotato, prima classe, accanto al finestrino. Sarà.
Al di là del vetro c’è tua sorella. Come l’altra volta?"come la prima volta. Tutto sembra quadrare: due vite compiute, con tutto quello che vuol dire. Certe cose sono andate, certe altre arriveranno, è naturale: nessun rimpianto, ovvio.
Saluti Martina attraverso il vetro, non la guardi neanche, mentre scende le scale del sottopassaggio. Controlli un attimo, che sia tutto a posto: la stazione è quella di Verona, il binario è il sette, quello giusto, e l’orario… Mancano dieci minuti alla partenza: vale a dire venti, ti suggerisce il buon senso comune?"d’altronde, quando mai si sono visti treni in orario, in Italia…
Cerchi a tentoni nella tascapane qualche cosa da leggere. Lo trovi: è l’ultimo numero del Mucchio Selvaggio, te l’ha prestato Caterina. Leggi un po’ a caso, c’è un’intervista ai Marlene Kuntz, sul loro ultimo album. Senza peso, s’intitola. È Cristiano Godano che parla, il cantante.
…“Anche la copertina, presumo, ha qualcosa a vedere con il concetto” recita la domanda, di Federico Guglielmi. La conversazione è stata fatta al telefono.
“Infatti” risponde Godano “il paesaggio rovesciato si potrebbe immaginare come <il cielo sotto Berlino>. Mi piace veramente pensare che quella sia la prospettiva di un personaggio completamente catapultato per aria, senza peso e distaccato dalla pietrificazione del mondo. Una sorta di emancipazione…o anche, il punto di vista di uno di quegli uomini che Chagall ha chissà perché dipinto per aria nei suoi quadri.”
Rileggi bene la domanda, poi la risposta. Chiudi la rivista, cerci di nuovo a tentoni nella tascapane: è un po’ come i calzoni magici di Eta Beta. Prendi in mano il lettore cd e te lo accoccoli in grembo: schiacci play, e aspetti. Vuoi vedere se “senza peso” sia veramente conforme al titolo.
Rivedi la tua vita alla rovescia, e anche se non sai bene cosa voglia dire, ti piace la sensazione che ne segue. Ti sembra di vedere una macchia bianca, informe, avviluppata su se stessa, che si staglia sul cielo situato sotto le case di una grande città: ah no, è la copertina del disco, quella, che ti rigiri fra le mani.
Ti sistemi la barba, i capelli quasi lunghi, assesti bene gli occhiali sul naso aquilino: gesti ripetuti infinite volte, sempre identici, sempre nuovi. Hai in tutto e per tutto l’aspetto di un professore di filosofia, uno di quelli “pesi”, hai proprio tutto l’aspetto d’un professore di filosofia di un’università tedesca.
Chiudi gli occhi, fiducioso del fatto che li riaprirai solo quando il cartello bianco e blu fuori del finestrino non recherà più la scritta Verona P. Nuova, ma Berlin-Friedrichstrasse. Allora potrai svegliarti.
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