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fratelli
L’ecografia era stata chiara sin dalla prima volta: uno dei due bambini stava schiacciando l’altro. Non è che mancasse lo spazio, là dentro: no, è che lo occupava quasi tutto uno solo uno dei due.
Il dottore aveva assicurato che questo non avrebbe dovuto creare complicazioni per il parto: semplicemente si doveva passare all’intervento. Elena era quasi al sesto mese, le cose sembravano procedere normalmente. Il parto cesario non avrebbe comportato particolari problemi.
“Ma l’altro bambino…come nascerà?”, aveva chiesto preoccupata Elena.
Il dottore era rimasto un po’ a guardare le strisce blu e rossastre sullo schermo.
“Frignando”, sorrise.
Marco prese in mano il giornale: avevano cercato di ammazzare il papa, senza esserci riusciti. Guardò la moglie attraverso la veranda della cucina.
“L’acqua sta per bollire, fra poco arriva la tua camomilla”, le disse, alzando la voce per non dover ripetere.
Elena si rilassò nel vecchio divano marrone: agitò un po’ le braccia, stava per sprofondare. Piccole gocce di sudore le segnavano la fronte.
“Secondo te stanno soffrendo?” gli chiese, non appena lo vide apparire in sala.
Lui posò delicatamente vassoio e bicchieri sul tavolo: soffiò via il fumo dalla tazza. Non tutt’e due, almeno, pensò.
“Voglio dire…il secondo…così schiacciato, che resista?”.
Marco sorrise perplesso: si chiedeva dove volesse andare l’altro bambino. Sembrava insaziabile.
Si riprenderanno nell’incubatrice, vedrai.
Voleva tranquillizzarla.
“L’importante è che non soffra tu” fu invece la sua risposta.
Si era scottata le labbra nel tentativo di consumare nel più breve tempo disponibile quella bevanda calda. I suoi occhi scorrevano veloci sulle loro mensole piene di libri. Le ripetevano in continuazione che non c’era niente che andasse storto: si stava oramai convincendo che le cose stessero proprio così.
Marco era scomparso nella stanza da letto, per poi ricomparire in soggiorno con il suo quaderno degli appunti. Avvicinò la poltrona al tavolino e si sedette. Era buffo: sembrava che stesse per decidere qualcosa che avrebbe cambiato tutto. Elena strofinò le mani sulla vestaglia e si sistemò i capelli.
“Ho pensato ai nomi da dare ai bambini…era una questione da affrontare” esordì sbarrando le pupille. Si tolse gli occhiali.
Lei stava già aspettando le sue conclusioni.
“Bene…che ne dici di Antonius?” fece, scimmiottando una stupida pronuncia inglese.
“Certo Antonio è un bel nome…di una certa importanza”. Elena un po’ cominciava a stufarsi.
“Per il secondo suggerisco Paolo” lo anticipò.
Marco portò in avanti la destra, poi si frenò un attimo: non gli andava di farle vedere di essere così entusiasta.
“Era esattamente quello che avevo pensato…” disse “…deriva da Paulum, no? Vuol dire povero…”.
Cercava di cavare fuori della bocca qualcosa di espressivo.
“Mi piace la sua storia: è cosa biblica…sai, la conversione…”.
Si zittì: Elena aveva una faccia strana. Sbuffò più volte.
“È come se stessero premendo per uscire il prima possibile…” rantolò.
“Forse uno dei due non ne può più…” sussurrò Marco.
“Non capisco”, protestò.
Marco le si mise a fianco per abbracciarla. Poggiò una mano sulla sua pancia. Si comportarono come avevano insegnato loro ai corsi pre-parto: lui restò calmo, lei inspirò profondamente considerevoli quantità d’aria a ritmo costante. Ci misero del tempo i dolori ad andarsene. Elena buttò indietro la schiena e si distese. Aprì leggermente le gambe.
Si voltò supplichevole verso Marco: gli chiese di farle un caffè.
“È meglio se ti riposi” rispose.
Si fece amorevolmente trasportare sotto le coperte. Non era ancora sera. Lui guardò fuori la finestra: gli sembrò stesse nevicando.
La mattina seguente Marco si svegliò riposato. Era sudato: non vedeva l’ora che Elena partorisse, non ce la faceva più a tenere acceso il riscaldamento durante tutta la notte. Non riusciva proprio a sopportare maggio: il suo corpo sentiva costantemente troppo caldo o troppo freddo. Con un colpo secco si tirò su a seder: nella parte sinistra del letto c’era vuoto. Scivolò in cucina a preparare la colazione. Nel silenzio si udiva un fischio sordo e continuo.
Trovò Elena in bagno: era seduta in vasca che tentava di farsi una doccia. Sotto di lei si apriva bianca e schiumosa una chiazza di acqua. Il rubinetto era ancora chiuso. Lei alzò il suo sguardo corrucciato e glielo piantò negli occhi.
Si ritrovarono a fuggire pericolosamente in mezzo al traffico in direzione dell’ospedale. Ad un semaforo Marco aveva legato un lungo fazzoletto bianco allo specchietto retrovisore: Elena non resisteva più di due minuti nel tenere il braccio fuori dal finestrino della macchina.
Quando arrivarono lei era ormai svenuta. Non si rese conto che fu suo marito a portarla, fra le braccia, fino in sala operatoria.
Il dottore si stupì poco di vederla già lì: però gli pareva di non aver sbagliato quando aveva valutato le condizioni ottimali per l’operazione.
Avvertì gentilmente Marco di aspettare fuori.
Si mise al lavoro.
Quando nacquero i due fratelli non avevano neanche la forza di frignare. Paolo venne cacciato fuori per primo. Il primario esitò a prenderlo in braccio. Lo fece l’infermiera, cercando di non turbare oltre quella creatura innocente ed impura. Antonio se la prese comoda: sembrava docile. Quei primi mesi in incubatrice sarebbero stati fra i più benevoli della loro vita.
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