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Terapia
L'uomo si levò a sedere sul letto. Sudava. "Perché sudo?". Non faceva caldo. Era eccitato, per quello stava sudando. "Perché sono così eccitato?". Sentiva il suo organo genitale più sveglio di lui. Forse un sogno. "Perché continuo a sognare quelle grandi ed enormi tette bianche?". Gregorio pensò tra sé e sé che quella storia doveva finire. "Sono pazzo". Necessitava di una donna. "Non sono pazzo". Gregorio Battesimo non ce la faceva più. "Sono un uomo". I suoi problemi erano ovviamente di natura psicosomatica anziché organica. "Sono un uomo con sani istinti sessuali". L'organismo funzionava bene, finché non interveniva un blocco emotivo che lo portava ad interrompersi nel momento in cui riusciva a convincere una donna a frequentarlo. "Ma d’altronde uomo non è un concetto? Chi siamo davvero? Siamo gli sperimentatori di noi stessi? Chi osserva il nostro osservare? Siamo noi stessi dio?". Natura introspettiva, non quantizzabile in termini di non linearità. Gregorio per giunta era un medico. Un bravo medico. Uno psicoterapeuta. Buffo concetto guarire gli altri per cercare la cura a sé stessi. Certo, l'istinto animale l'aveva portato più volte ad accostarsi ai marciapiedi la notte, ma più che constatare l'ovvio rigonfiarsi del desiderio, non ce la faceva. Il pensiero non lineare di un concetto terapeutico non ecologico lo bloccava. Negli androni dell'ospedale in cui lavorava, una nuova terapia non atomistica stava creando scalpore tra gli utenti, clinici e pazienti ne parevano beneficiare tutti. Egli stesso volle sottoporvisi. Prese appuntamento e il giorno deciso si recò nella stanza H 323.
L'uomo pigiò il bottone rosso, una voce metallica gli ordinò di leggere le parole che uno schermo avrebbe visualizzato. Esperimento, fotografia, consapevolezza, arredamento, terapia, soggiorno, caos, freddo, dolore, colore e via di questo passo. Il computer memorizzò i fonemi dell'uomo. Quindi la porta si aprì e una voce lo invitò ad entrare. Sinapsi elettriche fruirono velocemente all'interno di un grande macchinario. La voce dell'uomo venne sminuzzata, tagliuzzata, perforata. Analizzata. L'uomo entrò. La stanza era buia. "Entra" udì da un punto che pareva provenire dal centro della stanza. Gregorio era rimasto semi paralizzato dallo stupore, ascoltando la propria voce provenire dall'interno. "Entra, entra pure, non temere". La sua voce lo invitava ad accedere. Egli entrò, la porta si richiuse alle sue spalle e le luci si accesero.
La stanza era quadrata, cinque metri per cinque. Le pareti erano coperte di specchi. Quattro pareti, compresa quella da dove l'uomo era entrato e che ora nascondeva la porta. La luce che illuminava la stanza proveniva dal soffitto, luminoso e bianco. Il pavimento era pure lui bianco, ma non era luminoso. Al centro della stanza si trovava un lettino d'ospedale. Con un lenzuolo pure lui bianco. "Entri, entri, si avvicini al letto". La sua voce che gli parlava lo intimoriva un poco, se devo dirvi la verità. L'uomo in maniera circospetta si avvicinò al lettino. La voce tacque. L'uomo si osservò attorno. La sua immagine veniva riflessa all'infinito perdendosi chissà dove in quell'universo bianco. Anche il lettino rimbalzava la propria immagine sulle superfici riflettenti, ma probabilmente ci era più abituato. "Cosa devo fare?" provò a chiedere l'uomo. “Fare”, ripeté come eco l’altra voce, la sua voce, perfettamente calibrata, equidistante. La macchina creava l'illusione che la voce provenisse dall'apparato vocale del paziente al centro della stanza. Se il paziente si muoveva, i sensori cibernetici ricalcolavano l'ampiezza e la portante, ricalibravano la sorgente, diminuivano i volumi e proiettavano il suono affinché desse al paziente l'illusione che stesse parlando lui stesso. "Cosa devo fare?" chiese ancora l'uomo che iniziava a sudare. La voce parlò "Osservati, e dimmi cosa vedi, poi osserva ancora e continua così finché non ti interrompo". La voce non gli dava più del "Lei", parlava come se fosse egli stesso a parlare, quasi una sua secondo coscienza. "Dove mi trovo", la voce ripeté "Dove mi trovo...". "Questi sono specchi", e la voce subito dietro "Questi sono specchi...". "Se è uno scherzo è uno scherzo di cattivo gusto", la voce disse "Non è uno scherzo". L'uomo tacque. Si sentiva osservato, ma ciò che osservava era solo lui stesso. Confondere per fondersi, sperimentando consapevolezze interiori. Iniziò a muoversi per la stanza, camminando attorno al lettino, guardando per terra. Di tanto in tanto gettava uno sguardo agli specchi. "Parla! Devi parlare ad alta voce!". "Và bene ho capito!", l'eco ripeté "capito..." in tono quasi scherzoso. L'uomo pensò: "Oramai sono qui, non sono pazzo, ho un problema, vediamo che succede" e così iniziò l'esperimento. "Il mio problema è di natura sessuale", "sessuale" rispose l'eco. "Ho desiderio di avere una donna", "avere...". "Faccio strani sogni", "sogni...". "Non che io debba necessariamente riprodurmi, cerchi di capire, è solo che desidero sfogare normalmente la mia sessualità", "sfogare... sessualità...". "Perché non riesco a trovare una donna?", "trovare...". "Ce ne sono a bizzeffe, ma io mi blocco", "blocco...". "Mi blocco, mi intimorisco, eppure il mio organismo funziona alla perfezione", "ezione...". E poi l'uomo iniziò ad agitarsi. "Ma perché ho questo problema?!" si avvicinò ad uno degli specchi, osservandosi. Poi cominciò a fare delle smorfie e delle boccacce. "Io sono io, tu chi sei? Io ti vedo, io ti percepisco, parlami, chi sono? Da dove vengo? Cosa significa esistere? Cosa sto osservando? Me stesso? Chi osserva chi? Con cosa lo percepisco?..." e via di questo passo. La voce intervenne perentoria "Si spogli". L'uomo che a questo punto non aveva più nulla da nascondere a sé stesso, si spogliò e rimase nudo nella stanza degli specchi. Non provava alcuna vergogna. Anzi, sembrava compiaciuto del suo corpo. "Ecco! Com'è possibile che io sia all'interno di questo involucro di carne! Guarda... bene è fatto bene, ogni cosa al suo posto, due gambe, due braccia, un torace, e che torace! Sono un bell'uomo!". "Bene, ora si sdrai sul lettino e si rilassi". L'uomo obbedì a sé stesso. Si distese nudo sul lettino. "Ora chiuda gli occhi, si rilassi, e respiri lentamente". L'uomo inspirò profondamente, si rilassò, sentiva il freddo del lettino e nonostante avesse gli occhi chiusi percepiva la luce bianca provenire dal soffitto. Un ronzio flebile si diffuse sonoramente per la stanza. Ritmico. Ipnotico. L'uomo si addormentò. E sognò. Sognò di essere una donna.
La donna si levò a sedere sul letto. Sudava. "Perché sudo?". Non faceva caldo. Era eccitata, per quello stava sudando. "Perché sono così eccitata?". Sentiva il suo organo genitale bramare un caldo tepore interno. Forse un sogno. "Perché continuo a sognare quelle grandi ed enormi braccia bianche?". Milena pensò tra se e se che quella storia doveva finire. "Sono pazza". Necessitava di un uomo. "Non sono pazza". Milena Riccasana non ce la faceva più. "Sono una donna". I suoi problemi erano ovviamente di natura psicosomatica anziché organica. "Sono una donna con sani istinti sessuali". L'organismo funzionava bene, finché non interveniva un blocco emotivo che la portava ad interrompersi nel momento in cui riusciva a convincere un uomo a frequentarlo. "Ma d’altronde donna non è un concetto? Chi siamo davvero? Siamo gli sperimentatori di noi stessi? Chi osserva il nostro osservare? Siamo noi stessi dio?". Natura introspettiva, non quantizzabile in termini di non linearità. Milena per giunta era un medico. Un bravo medico. Una psicoterapeuta. Buffo concetto guarire gli altri per cercare la cura a sé stessi. Eppure quella mattina qualcosa non quadrava. Si alzò dal letto e si guardò allo specchio. "Io sono una donna" si ripeté più volte. Si osservò completamente nuda. Poi, presa da una irresistibile voglia di toccarsi iniziò ad accarezzarsi dappertutto. La pelle liscia e calda era piacevole al tatto. Aveva delle enormi e grandi tette bianche. "Ma che sto facendo?!" pensò tra sé e sé. Sentiva qualcosa di indefinito, qualcosa di diverso. Come una nuova consapevolezza che stava germogliando intimamente. Si guardò allo specchio come se fosse la prima volta, come se non si fosse mai davvero accorta della sua bellezza femminile. Poi guardò l'orologio. Era già in ritardo. Si vestì velocemente e si recò di corsa all'ospedale. Stanza H 323. Dietro lo specchio. Il paziente di oggi era già arrivato. Stava programmando la macchina di sintesi vocale. Esperimento, consapevolezza, terapia... Appena in tempo. Soggetto maschile. Anni trentadue. Un metro e ottanta, di bell'aspetto. Il problema del paziente non veniva fornito come dato informativo al medico. La stanza era progettata ciberneticamente per far prendere consapevolezza del proprio sé. Era un lavoro semplice. La dottoressa doveva limitarsi a ripetere qualche parola che il paziente avrebbe comunicato, qualche frase di circostanza e capacità di osservazione. Avrebbe usato un interfono collegato ad un impianto acustico altamente ecologico. Le sue tre lauree, filosofia, psicologia e psichiatria le servivano a ben poco, o forse le erano proprio servite per arrivare fino a quel punto della sua vita. La ricerca epistemologica non è forse la più meritevole di sperimentazione? Cos'è la cosa che percepisce? E come fa a percepirlo? E come fa la cosa che percepisce, a percepire che sta percependo? Domande ricorsive, non lineari, l'epistemologia sperimentale nel contesto del processo di cambiamento per mezzo di tecniche analitiche sempre più raffinate. Ovviamente riconosceva il grande lavoro di illustri ed esimi colleghi, Bateson, Erikson, giusto per citarne un paio. Menti brillanti, geniali percorsi introspettivi che avevano progettato, istituito e costruito la stanza degli specchi. Era la fase della sperimentazione. Ma cosa nella vita non lo è? Siamo perennemente alla ricerca di esperienze, per sondare i nostri intimi processi neurofisiologici. Chi siamo, perché siamo qui, e altre profonde meditazioni sui generis. L'uomo di chiamava Gregorio, Gregorio Battesimo. Che nome buffo, pensò Milena. L'uomo aveva un problema sessuale. Milena vedeva tutto, essendo posta dalla parte dello specchio che era trasparente. L'uomo si spogliò. Era proprio un bell'uomo. Milena nonostante la sua professionalità si stava eccitando. Quel corpo maschio, quell' uomo così solo e abbisognoso di affetto, di calore. Ah! Se solo avesse potuto rompere quella barriera psichica tra medico e paziente. Barriera psichica ma anche reale, di cui lo specchio ne forniva metafora di vita. Essere un uomo. Chissà cosa si sarebbe provato, quali sensazioni. Ma noi chi siamo? Perché siamo divisi? Perché eternamente alla ricerca di un'altra metà? Poi l'uomo si sdraiò sul lettino. Un rumore metallico, simile ad un ronzio si propagò per la stanza. La donna dimenticò di togliersi le cuffie per non subire l'influsso ipnotico. La spia rossa lampeggiava pericolosamente. Milena Riccasana si addormentò. E sognò di essere un uomo.
L'uomo si levò a sedere sul letto. Sudava. "Perché sudo?". Non faceva caldo...
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