L’orologio a muro mi indicava l’ora della colazione.
Quindi presi posto ed iniziai ad immergere i biscotti nella tazza colma di tè caldo.
Uno dopo l’altro lasciai cadere i miei biscotti nel liquido verde, vedevo che si gonfiavano e che oscillavano a destra e a manca e poi toccare il fondo.
Il cucchiaino, guidato dalla mia mano, provvedeva a fare il resto.
Tutto proseguì con ordinata calma, finché l’ultimo biscotto cadde nel tè.
Poi … il silenzio.
Restai venti minuti aspettando che il biscotto si sciogliesse nel tè.
Non riuscivo a capacitarmi come un biscotto del tutto uguale agli altri, si comportasse in modo così diverso.
Mi sembrava una vera e propria stranezza, priva di una spiegazione logica che andava risolta con decisione incidendo con la punta del cucchiaino la superficie del biscotto ribelle.
E così feci, ma notai che il biscotto non si frammentava.
Ero disperato! Un biscotto galleggiava da oltre venti minuti nella mia tazza di tè, come se fosse una scialuppa di salvataggio.
Un’idea m’illuminò la mente! Perché invece di usare le maniere forti, non mettevo in atto morbide forme di persuasione?
Fu così che iniziai a cantare il miglior repertorio che avessi a disposizione, sperando che il biscotto
sopravvissuto si sciogliesse.
Nell’ordine cantai: “O sole mio” “Nel blu dipinto di blu” “Questo è il ballo del qua! Qua!” “Sono un italiano” “Vincerò” ma lui niente! Non ne voleva proprio sapere.
Mi collegai ad internet per inoltrare un fax di protesta alla fabbrica produttrice che assicurava la morbidezza dei suoi prodotti in qualsiasi condizione di utilizzo.
Prima del fax, diedi un’ultima sbirciatina in cucina e … incredibile!
Il biscotto ribelle era sparito, portando con se anche la tazza!