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Pausa pranzo
Una pioggia leggera iniziò ad imperlare la vetrina del bar Cristallo che dava su Via Magenta. L’intensità andava aumentando gradualmente, producendo un rumore simile a un lievissimo tamburellare di dita. Irene, smise per un istante di riordinare i tavoli. Guardò le gocce che, sempre più numerose, scendevano verso il bordo inferiore del vetro, formando minuscoli fiumiciattoli che s’intersecavano e si separavano.
«Piove» esclamò laconicamente, rivolta a Giada, l’altra cameriera. La ragazza si voltò a guardare.
In quel momento, entrò in sala Alberto, dal retro. Squadrò le due ragazze, con aria interrogativa.
«Che cosa hai detto?» domandò.
«Che piove» rispose Giada, prima che lo facesse l’altra.
«Perché qualcuna di voi due non va a tirare giù la tenda di fuori, prima che inizi a diluviare?» esclamò lui.
«E perché invece non ci vai tu?» ribatté Irene.
«Non è compito mio» disse l’uomo, con sufficienza.
«Non è compito tuo? E quale sarebbe la ragione che vossignoria non deve fare queste faccende come noialtri?» sibilò sarcasticamente la ragazza.
«Magari perché sono il più anziano qui dentro» rispose lui.
«Ma fammi il piacere. Sei arrivato una settimana prima che iniziassi io» cercò di zittirlo lei.
Un rumore metallico, proveniente dall’esterno, pose fine bruscamente alla discussione. I due si voltarono per vedere quale fosse la causa di quel suono improvviso. La tenda stava lentamente scendendo. Soltanto in quel momento, si resero conto che Giada non era nel bar. Alberto allargò le braccia, assumendo un’espressione da vittima.
«Adesso penserà che l’abbiamo fatto apposta per mandare fuori lei» disse.
«Per quello che riguarda te, non avrebbe torto. Potevi andare senza fare tutta questa polemica» rispose Irene.
«Piantala. Mi sembra di sentire mia moglie» esclamò risentito.
«Una basta e avanza» aggiunse, dirigendosi dietro il bancone.
Giada rientrò poco dopo, bagnata. Senza dire una parola, andò nel retro. Si avvicinò ad un armadietto, chiuso con un lucchetto e il suo nome su un cartoncino, scritto col pennarello. Lo aprì. Prese una camicia di ricambio, che teneva lì in caso di necessità, e andò nel bagno. Tornò in sala che Irene aveva appena finito di apparecchiare i tavoli, in vista dell’arrivo dei clienti per pranzo. Alberto stava preparando delle ciotoline con patatine, olive e altri stuzzichini, da abbinare agli aperitivi.
«C’è qualcosa che posso fare?» chiese la ragazza.
«No. Qui è tutto a posto» rispose l’uomo. Non la guardò neanche. Forse si sentiva un po’ in colpa per quello che era successo poco prima. Giada andò di nuovo nel retro, uscendone qualche istante dopo, con in mano un accendino e una sigaretta.
«Allora io mi fumo una sigaretta, qui fuori» disse, guardando Irene.
La collega sorrise, annuendo con un lieve movimento della testa. La ragazza si diresse verso l’entrata. La porta automatica si aprì, senza emettere altro rumore, se non un lievissimo fruscio.
Un ultimo tocco. Mauro si spostò all’indietro di un paio di passi, per esaminare la parete che aveva appena finito di tinteggiare. Gli parve di aver fatto un buon lavoro. Guardò l’orologio. Mezzogiorno e mezza. Il tempo era volato.
«Bisogna andare a mettere qualcosa sotto i denti» pensò.
Ripose il pennello dentro un secchio pieno fino a metà d’acqua. Spostò la scala davanti alla parete di fianco. Prima di uscire, si diede qualche pacca decisa sui vestiti. Lo avvolse una nuvola di finissima polvere biancastra. Tossì. Scese. Giunto all’esterno, vide che stava piovendo. Non aveva con sé l’ombrello. Si abbottonò per bene, tirò su il collo del giaccone e si incamminò, passando rasente al muro, in modo di rimanere sotto i cornicioni. Giudicò che così si sarebbe bagnato il meno possibile. Il bar Cristallo era a circa duecento metri. Un paio di incroci più in là. La strada era piena di gente indaffarata. Faceva freddo. Accelerò il passo. Trovò l’entrata del locale già aperta, per il passaggio di un altro cliente. Giunse al centro della sala e si fermò. Occhi curiosi lo scrutarono. Bisbigli. Soltanto un istante. Poi, ciascuno tornò a quello che stava facendo. Vide che era rimasto un solo posto libero. Andò a sedersi. Le cameriere non si avvicinarono subito. Alberto stava servendo due flute di prosecco. Notò il ragazzo seduto. Fece un cenno a Irene. Lei indicò che stava già servendo. Al tavolo del ragazzo arrivò Giada.
«Buongiorno. Ha già scelto qualcosa?» esclamò.
«Non c’è il menù» rispose lui, tamburellando le dita sul tavolo.
«Ha ragione. Gliene porto subito uno» disse la ragazza.
I due si guardarono. Lei sorrise. Si allontanò. Il ragazzo, rimasto di nuovo solo, osservò le sue mani. Grandi, ruvide, sporche. La tinta, sulla pelle e sotto le unghie, è difficile da togliere. Non importa quanto stai lì a sfregare. Non viene mai via del tutto. Come l’odore di solvente sui vestiti. A volte, si sentiva come quelli che lavorano il pesce, e si annusano continuamente dappertutto, per paura di sentirne l’odore. La cameriera tornò con un pieghevole in mano. Lo appoggiò, aperto, davanti a lui. Il ragazzo ringraziò.
«Vuole che ripassi tra qualche minuto?» chiese lei.
«Si. Grazie» le rispose.
Scorse la lista velocemente, soffermandosi qua e la su qualche piatto, per leggerne gli ingredienti. Quando alzò di nuovo gli occhi, la ragazza era lì, con in mano taccuino e penna.
«Che cosa le porto?» esclamò sorridendo.
Notò che la cameriera aveva una spilletta appuntata sulla camicia. Curioso non se ne fosse accorto prima. Pronunciò mentalmente il nome che c’era scritto sopra. Gli parve avesse un bel suono.
«Ti dispiace se ci diamo del tu, Giada?» rispose.
La ragazza si mostrò sorpresa. Lui indicò la spilletta con lo sguardo.
Lei, vincendo il suo iniziale imbarazzo, annuì.
«E tu?» chiese.
«E io che cosa?» le rispose.
«Tu sai il mio nome. Il tuo?» ribattè lei.
«Che scemo. Mi chiamo Mauro» disse.
«Allora Mauro, vuoi ordinare?» esclamò.
«Non posso stare qui tutto il giorno» aggiunse.
«Si, scusa. Vorrei un primo. Che mi consigli?» replicò lui.
«Vuoi rimanere leggero?» gli domandò.
Ci pensò un attimo su.
«Direi di sì» esclamò.
Giada si avvicinò.
«Spaghetti alle zucchine» disse, indicandoli sul menù.
Le mani di lei e quelle di lui si sfiorarono. Istintivamente, il ragazzo fece scivolare le sue sotto il tavolo. Se ne vergognava. Arrossì. Giada si sollevò. Sorrisero entrambi. Scrisse il numero del tavolo sul blocchetto e quindi la portata.
«Per dopo?» chiese.
«Soltanto un’insalata» le rispose.
«Da bere? Acqua, birra, vino?» aggiunse lei.
«Acqua naturale» disse.
Giada andò al bancone per passare l’ordinazione. Lui la seguì con lo sguardo, passo dopo passo. Non riusciva a credere che proprio lui, così timido e impacciato, fosse stato tanto sfrontato. Irene si avvicinò alla collega.
«Non ti ha staccato gli occhi di dosso» le disse.
«Ma chi?» rispose lei.
«Come chi? Il ragazzo che stai servendo» ribattè Irene.
«Sarà una settimana che viene. E ogni volta è la stessa storia» continuò.
«Non è neanche male. Se non ti va ci penso io» aggiunse.
Giada rise.
«Veramente questa cosa l’ho notata anche io» esclamò Alberto, all’improvviso.
«Voi avete troppa fantasia» sentenziò Giada.
Un cliente fece un cenno per richiamare la sua attenzione. Lei andò speditamente. Tornò con la richiesta del conto. Lo portò in una cartellina di pelle nera, con il nome del locale impresso in oro. Si aggirò tra i tavoli, per controllare che tutto fosse in ordine. Fece una domanda a ciascuno dei clienti, elargendo sorrisi di cortesia. A tutti, tranne uno. Mauro provò ad incrociare il suo sguardo più volte. Ogni volta lei lo eluse. Arrivò al suo tavolo, con la bottiglia dell’acqua e un bicchiere. Li posò e andò via, prima che lui riuscisse a dire una qualsiasi cosa. Il ragazzo si guardava intorno. Il suono di un campanello avvisò che c’era una pietanza pronta sul bancone. Giada andò a controllare. Anche Mauro fu attirato da quel suono. Un minuto più tardi, la vide arrivare con il piatto che aveva ordinato. Fumante. Glielo porse sorridendo. Lui restò a fissarla.
«Non mangi?» chiese lei.
«Sì, sì» rispose lui, imbarazzato.
Abbassò gli occhi sul piatto e iniziò ad avvolgere gli spaghetti. Dopo il primo boccone, ne preparò un secondo. Rialzò la testa. Lei era ancora lì. Rimase con la forchetta a mezz’aria.
«È buona?» domandò la ragazza.
«Buona. Sul serio» le rispose.
Giada, soddisfatta, ricominciò il giro nella parte di locale di sua responsabilità. Uno ad uno, i tavoli si svuotarono. Dopo aver preso il caffè e pagato il conto, il ragazzo estrasse dalla tasca del giaccone un libro. Poche pagine. Aveva la copertina rovinata e gli angoli piegati. Dal colore della carta, si capiva però che era nuovo. Soltanto un po’ maltrattato. Iniziò a leggere, muovendo le labbra, come se stesse effettivamente pronunciando le parole. Di tanto in tanto lanciava un’occhiata, per vedere se lei lo stesse guardando. Improvvisamente non la vide più. Smise di leggere. Con atteggiamento che a lui parve discreto, cercò di scoprire dove fosse finita. Lei gli bussò su una spalla.
«Sono qui dietro» esclamò, con un’espressione tra il corrucciato e il divertito.
Lui avrebbe voluto fuggire lontano mille miglia. Si voltò.
«Ma tu mi stai spiando?» gli chiese.
«No, no. Dai, non dire queste cose» rispose lui.
«A me pare proprio di sì invece» continuò la ragazza.
Si guardò intorno.
«E poi mi metti in imbarazzo. Io qui ci lavoro» disse.
Mauro non si era mai vergognato tanto e istintivamente nascose di nuovo le mani sotto il tavolo.
«Siediti, per favore» le disse. «Forse non ti sei accorta che non è la prima volta che vengo in questo bar» aggiunse.
«Me ne sono accorta, eccome. E anche i miei colleghi. La discrezione non è proprio cosa tua» lo interruppe lei.
«A me non sembrava» cercò di scusarsi lui.
Per un istante evitò lo sguardo della ragazza.
«In ogni caso, credo tu abbia capito….» continuò, ma si interruppe.
«Capito che cosa?» domandò lei.
«Non sono tanto bravo con le parole. Se poi mi chiedi le cose in questo modo non mi aiuti di certo» rispose.
«Sono troppo dura?» chiese.
«Un po’, forse» disse, abbozzando un sorriso.
Giada comprese l’imbarazzo del ragazzo. Sorrise anche lei.
«Che cosa stavi leggendo?» disse, in tono più disteso.
«Un libro di poesie» rispose.
«Di chi?» domandò lei.
«Non lo conosco. Ho chiesto consiglio in libreria. Mi hanno dato questo» disse. «Volevo trovare delle belle parole. Quelle giuste» continuò.
La ragazza prese il libro.
«Ma è il mio autore preferito» disse. «Io sono laureanda in lettere» proseguì.
«Lo so. Ne discutevi ieri con la tua collega » la interruppe lui.
«Ma bravo. Ascolti anche le conversazioni degli altri?» gli chiese.
Rise. Mauro la guardò senza riuscire a dire una sola parola. Rise anche lui.
«Ti va di leggerne una per me?» chiese, porgendogli indietro il libro.
«Quale?» le rispose.
Lei girò le pagine finché non trovò quella che ritenne giusta.
«Questa» disse.
Il ragazzo si schiarì la voce.
«Il più bello dei mari» iniziò.
Proseguì con tono incerto, tremante, non soltanto per l’imbarazzo della situazione.
«E quello che vorrei dirti di più bello, non te l’ho ancora detto» disse tutto d’un fiato.
Alzò lo sguardo, con le mani che non volevano proprio saperne di star ferme. Provò a sorridere ma non ci riuscì.
«Perché quella faccia triste adesso?» domandò lei.
«È così bella. Vorrei saperle inventare io queste parole. Per te.» rispose lui.
Giada mise le sue mani su quelle del ragazzo. Mauro avrebbe voluto ritrarle, ma lei glielo impedì. Si guardarono, senza che ci fosse bisogno di aggiungere nulla.
«Grazie per la poesia» disse e aggiunse «Tornerai domani?»
Mauro annuì. Si alzò. La porta emise un leggero sibilo, per poi richiudersi silenziosamente.
La ragazza guardò il libro rimasto sul tavolo. Il ragazzo l’aveva dimenticato distrattamente, o forse lasciato di proposito. Lo raccolse. Ebbe la sensazione di percepire il calore di chi lo aveva tenuto fino a poco prima.
«A domani» esclamò sottovoce.
Si avvicinò alla vetrina. Continuava a piovere ma a lei, non importava.
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0 recensioni:
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- che bello! si legge con curiosità e scorrono con piacere le parole, i dialoghi, le immagini...
direi un ottimo primo capitolo per un libro...
: )
Terry
- Trama accattivante, scrivi molto bene... complimenti, a presto...