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La mia amica Andy

...
Tornammo a casa a piedi, e del resto non avremmo potuto far altro, considerando che al momento di uscire non sapevamo bene come saremmo rientrate. Era giugno, e la sera era insopportabile rimanere a casa. Quel vecchio ventilatore non ne voleva sapere di funzionare, le zanzare molestavano ogni attimo di quiete, i miasmi di frittura del ristorante giapponese provenienti da basso rendevano l'aria irrespirabile, e su tutta la città era calata una cappa di afa ad acuire tanto malessere. Da giorni, infatti, avevo una tremenda emicrania, dovuta alle incalzanti consegne e alle lunghe ore sulla macchina per cucire. Trascorrevo tutta la giornata fra scampoli di pregiatissimi pizzi e merletti, di broccati e di sete finissime e alla sera ero distrutta. Finché m'impegnavo a cucire o ad abbozzare gli abiti di qualche nuovo allestimento la cefalea rimanava di sottofondo, pulsante, pressante nelle tempie come se nella mia scatoletta cranica stessero tenendo un concertino jazz. Al momento di concedermi un meritatissimo stacco, il dolore si diffondeva fluido in senso sagittale, a condensarsi grave e lancinante sulla nuca. La vista mi vien meno. Tutto perde colore. Pensili e dispense della cucina davanti a me improvvisamente si sformano come in una vecchia pellicola che si brucia. Mi falliscono i sensi e inerme cedo al male in dolcissimo deliquio.
Ero sola la prima volta che accadde. Andy mi trovò bocconi a terra in mezzo al corridoio. Due passi incerti e... giù.
Lentamente.
Avevo cercato di reggermi al piccolo scrittoio sotto allo specchio, ma mi era riuscito solo di rompere una ballerina in porcellana. Non so bene quanto tempo trascorse, era tutto così irreale. Il cervello, meglio che in sonno, in totale standby. Era la prima volta in assoluto.
Tempo due settimane, e giù di nuovo; e poi ancora, e poi ancora.
-"Devi farti visitare, Magda! Tu non stai bene!", mi disse l'ennesima volta più allarmata che mai.
-"Chìssene, a me piace!", le risposi ancora intontita, scioccamente spocchiosa, biascicando le parole col minimo sforzo della lingua, pur consapevole di una sua reazione spropositata.
-Stupida!- e giù uno schiaffo- tu stai male!- e me ne molla un altro- stai male, non stai bene!- continuava a gridarmi scuotendomi.
Sullo stupore delle sberle, mi sembrava di essere più incosciente di poc'anzi, ma prestando attenzione alle sue parole proruppi in una risata ancora più strafottente della mia risposta. Mi parlava come si fa con gli stranieri e con i bambini: affermava la cosa e poi negava il suo contrario... ad un grado molto elevato di decibel: stava urlando in preda all'isteria. Allorché pensai cazzo, se ci tiene a me!
La verità era profonda quanto il mio male.

Quella sera, dunque, mi abbandonai sulla sedia a sdraio che da poco avevamo sistemato sul terrazzo. Chiudo gli occhi, forzandoli nello sforzo di un contadino accecato dal sole. Li riapro sobbalzando nel ritrovarmi Andy ammiccante con un bicchierone di giaccio triturato, zucchero di canna e menta. Non dice niente, mi porge la cannuccia e solleva il sopracciglio imperioso, come a dirmi di bere senza discutere troppo. Ed io non avevo assolutamente nulla da obiettare. Tracannai tutto come acqua fresca. Leccai lo zucchero e masticai le foglie. Cominciammo col Mojito, continuammo con Tequila e Vodka Lemon, il Gin lo lasciavo ad Andy che tollerava il retrogusto del ginepro. Io di tanto in tanto le rubavo una sigaretta e lei starnazzava che se ora si chiamava vizio potevo anche comprarle da me, le cicche.

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2 commenti:

  • Enola Gay il 20/09/2008 13:24
    È solo una sezione di un romanzo in fieri... Leggi il resto su www. myspace. com/czarpaciok
  • TIZIANA GAY il 15/09/2008 11:36
    uno spaccato sulle notti brave!

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