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Paradosso
Sono di fronte al mio quinto bicchiere di Jack Daniel’s e non ho intenzione di smettere.
La pioggia ticchetta sopra i vetri della mia stanza e io non sono ancora abbastanza ubriaco. Cazzo. Sono troppo sconvolto pure per esserlo.
Se fossi ubriaco, probabilmente non potrei scrivere, ma lo sto facendo…in fondo chi cacchio leggerà mai queste pagine? Non ho la minima intenzione di farle vedere a nessuno, né di raccontare quello che io so, figuriamoci se mi metto a pubblicare un libro di memorie.
“I ricordi di Cesare Antini” edizioni Vattelapesca.
Che schifo, mai.
Ma sto divagando. Cosa strana, per me che sono famoso quale lo scienziato più scrupoloso e precisino della Terra…che onore eh? Voi non ci credereste, ma darei qualsiasi cosa al mondo per non aver mai preso la laurea in Fisica e soprattutto per non aver mai inventato quella maledetta macchina.
Il cervello mi sta scoppiando. Se solo penso alle implicazioni di quello che ho fatto…mio Dio…
No, mi spiace, foglio di merda. So che tu ora ti aspetti che io descriva chissà quale scoperta mostruosa che ha portato chissà quale cataclisma all’Umanità. Ma resterai deluso. Il mondo se ne sbatte di quello che ho scoperto, perché riguarda me soltanto. È il mio mondo ad essere distrutto.
Mamma aveva ragione, ma io ho sempre creduto che fosse pazza. Continuava a dirmelo, anche sotto sedativi, in quell’ospedale psichiatrico dove s’è spenta poco a poco…
“Cesare…tuo padre non era di qui, non apparteneva a questo tempo”
E io: “Si mamma, certo mamma”
“Ascoltami, tuo padre mi disse di venire da un posto lontano”
Certo mamma, come no mamma.
“Ha sempre detto di venire dal futuro”
Ah si mamma? Tieni, ecco il Tavor, mamma.
“Ascoltami, sembra assurdo anche a me, ma è cosi”
E io non ho mai voluto ascoltarla. Non aveva una singola prova di quello che diceva. Nemmeno una foto di mio padre. Non un biglietto, non una lettera, non un disegno e nemmeno una ciocca di capelli.
Mamma diceva sempre che mio padre morì poco dopo il mio concepimento, a causa di uno strano malore, e che fu seppellito dal comune nel piccolo cimitero sulla collina, a pochi chilometri dal paese dove ho passato la mia infanzia.
Ci sono andato al cimitero, che credi?
Un milione di volte quando ero bambino, e pure qualche volta da adulto.
Mamma mi indicava una croce di legno, senza foto, con su scritto solo “MAURIZIO” e come data ”N?- M 2005”. Mamma diceva sempre che papà era stato sepolto lì perché non aveva un soldo, e che non era stato possibile nemmeno mettere il cognome sulla lapide perché non aveva documenti. Nemmeno mamma conosceva il suo cognome. Erano stati insieme poco, a quanto pare, molto poco. Roba di giorni. Ma mamma se ne era innamorata perdutamente.
Beh, il risultato del folle amore sono io.
Cesare Antini, cognome gentilmente fornito dal papà di mamma.
A quanto pare, paparino, o Maurizio, come lo chiamavo e come lo chiamerò sempre, credo, anche alla luce dei recenti sviluppi, aveva conosciuto mamma ma si era fatto venire una specie di infarto pochi giorni dopo. Bella fregatura.
Questo whiskey dev’essere annacquato, non mi fa effetto. È già il settimo che bevo.
Dicevo…mamma sosteneva che Maurizio era venuto dal futuro. Diceva che era stato lui a raccontarglielo. Veniva dall’ anno 2059 le pareva…che giorno è oggi? Oggi è il 12 Luglio 2059, e l’Umanità viaggia nel tempo. Da quando? Da quando il sottoscritto assieme ai suoi collaboratori ha inventato una macchina che permette lo spostamento nel tempo. Sfottevano, i signori scienziati, i baroni della medicina e della matematica…ma il tempo è una dimensione, e può essere alterato come le altre. Se io prendo una matita e la spezzo in due ho alterato la sua lunghezza, no? Beh è più o meno lo stesso col tempo, anche se il procedimento è meno grezzo.
Non starò qui a spiegare le basi della mia teoria, ne ho già discusso abbastanza ultimamente su riviste, libri, forum, dibattiti…ti basti sapere, caro foglio, che se si torna indietro l’unico modo per tornare avanti di nuovo è vivere fino alla data in cui si è partiti, perché non è possibile richiamare nessuno se lo si manda indietro nel tempo. Il perché non lo so ma è cosi. E non si può nemmeno viaggiare nel futuro. Deluso, eh? Dammi altri 30 anni di tempo e degli ingenti finanziamenti statali e lo renderò possibile. Ma per ora tant’è. Si va solo indietro, e in quel caso nessuno torna a casa.
Bene, dopo anni di studi ho creato un congegno che permette il viaggio nel tempo, le Nazioni Unite lo hanno preso sotto la loro custodia e lo hanno portato in un bunker superprotetto per evitare che qualcuno cambi la storia, e io sono ricco sfondato.
Solo che non so cosa farmene dei soldi. Ho 54 anni, e sono scapolo. Sono quello che si direbbe un topo di biblioteca, bello e buono. Occhialini, naso adunco e calvizie precoce. C’è tutto. Ma non per questo sono insensibile al fascino femminile, sia chiaro. Ho avuto anche io le mie tacche sul fucile, per cosi dire.
Eliana.
Non dimenticherò mai cosa è successo tra noi due, nemmeno tra cento anni, per vari motivi.
Era una ricercatrice molto carina. È stato tanto tempo fa, ma lo ricordo con chiarezza. L’anno non lo ricordo di preciso.. forse un po’ sono ubriaco, dai.
“Dottore, che fa, non torna a casa stasera?”
“Sto correggendo alcuni dati, Eliana, se stacco ora dimentico tutto”
“Ma il laboratorio sta per chiudere!”
“Dì loro che mi lascino le chiavi…poi ci penso io”
Lei sorrise e disse “Le servirà un po’ di compagnia allora”
E me la diede eccome. Fu incredibile il modo in cui quella brunetta riuscì a farmi dimenticare i miei appunti e le mie ricerche in un batter d’occhio.
Passammo una bella nottata in quel laboratorio, e se non fu una notte prolifica dal punto di vista lavorativo lo fu dal punto di vista personale. La sua pelle era morbida e liscia e mi sembra ancora di sentire le sue carezze sul mio corpo.
Il giorno dopo però sembravamo perfetti estranei.
Buongiorno.
Buonasera.
Non avevo mai notato che portasse la fede. Non ripresi più l’argomento, né mi sembrò che lei volesse farlo. Meglio cosi, dopotutto. Certe cose se accadono sul posto di lavoro possono alla lunga compromettere l’armonia di un team di ricercatori, e in ogni caso sei mesi dopo Eliana accettò un altro incarico e lasciò il laboratorio. Pur essendo il capo dello staff, mi comunicò la cosa con una lettera formale e io accettai.
Fatti suoi, alla fin fine.
Credevo di non rivederla più, ma mi sbagliavo.
E dieci. Dieci bicchieri, e niente sbronza. Fra poco spacco tutto.
Dunque…c’è poi Maurizio della Torre. Brillante ragazzo, davvero. Tagliato per la ricerca. Aveva una laurea in matematica e una gran voglia di fare. Peccato che fosse troppo ambizioso. Era quasi ossessionato dal viaggio nel tempo: dopotutto era giovane, e le mie ricerche, ormai di pubblico dominio in quanto ci avvicinavamo al successo, attiravano una massa di giovani ricercatori in cerca di gloria.
Maurizio era il più qualificato. Le sue intuizioni erano a volte vere e proprie opere della provvidenza, e il nostro lavoro ebbe grande giovamento a causa del suo contributo. Tuttavia, quella luce febbrile che brillava nei suoi occhi mentre osservava i test di laboratorio o mentre buttava giù qualche equazione mi inquietava. Una volta glielo chiesi:
“Ma perché sei tanto preso da questo progetto? Capisco l’entusiasmo, ma non è certo una cosa che si risolverà a breve scadenza.. potranno volerci anni, decine di anni”
“Lo so” rispose lui accarezzandosi il pizzetto castano “Ma se avremo successo lei e io, insieme a tutti gli altri, diventeremo le persone più famose della storia!”
“Se sei tanto in cerca di fama, ci sono altre ricerche più immediate di grande popolarità.. ad esempio il professor Vanzelli…”
“No, capo” mi interruppe lui “Questa è di sicuro la più grande scoperta dell’Umanità.. voglio farne parte.. voglio SAPERE”
Da un lato fui contento, eccome. Era un elemento prezioso. Dall’altro finì di inquietarmi.
Il 6 Marzo 2059 il nostro test finale riuscì, e annunciammo la scoperta al mondo.
Sai cosa facemmo? L’ho raccontato milioni di volte ma dopotutto tu che sei un foglio non hai la possibilità di leggere, a meno che qualcuno non ti scriva sopra…
Che idiota che sono.
Comunque, dicevo…mandammo un topo indietro nel tempo. Già, ma come facevamo a sapere che era arrivato a destinazione? È semplice. Maurizio ebbe la brillante idea di teletrasportare il topo, chiuso in una piccola gabbia di vetro in modo che non potesse scappare, negli archivi della Facoltà.
In quegli archivi raramente qualcuno metteva piede e ormai essendo tutto automatizzato erano destinati più che altro allo stoccaggio dei documenti di carta in attesa di un improbabile distruzione.
A rigor di logica, il topo sarebbe dovuto apparire proprio lì e avremmo dovuto trovarlo invecchiato o morto, a seconda di quanto tempo decidevamo di mandarlo indietro.
Settai il contatore sull’anno 2053. Concordammo tutti sul fatto che l’archivio fosse stato già chiuso al pubblico allora e che nessuno ci avesse messo piede, se non occasionalmente. Decidemmo di far apparire il topo con il contenitore di vetro su un altissimo scaffale, in modo che anche un evento esterno non avrebbe potuto intralciare il nostro esperimento. Ci sincerammo che la scatola fosse ben sigillata affinchè l’eventuale puzza di putrefazione non attirasse operai delle imprese di pulizia troppo solerti e premetti il pulsante. Ci fu un lampo viola e il topo con la scatola scomparvero.
Come un sol’uomo ci fiondammo agli archivi, tra le occhiate sbalordite e perplesse dei colleghi e delle guardie private, e con una scala Maurizio salì sullo scaffale.
C’era.
Un piccolo corpo di topo putrefatto, quasi del tutto scheletro ormai, all’interno di un box di vetro reso lurido dai liquami corporei dell’animale. Il topo era ovviamente morto di fame nel 2053, dopo pochi giorni.
Le successive analisi del DNA confermarono che si trattava dello stesso esemplare e fu un tripudio.
Si tennero feste, comizi, manifestazioni. Divenimmo tutti degli eroi, e i nostri nomi erano conosciuti a memoria da un terzo della popolazione mondiale e persino sulla stazione spaziale permanente della Luna gli astronauti vollero collegarsi in diretta televisiva con noi per farci i complimenti.
Ma Maurizio diventava sempre più inquieto. Il suo comportamento era quasi maniacale, e aveva continui scatti d’ira nei riguardi dei colleghi. Un paio di notti prima che i caschi blu dell’ONU venissero a prelevare su mozione unanime del Consiglio di Sicurezza la macchina del tempo per portarla in un luogo sicuro, trovai Maurizio seduto nel laboratorio al buio di fronte ad essa, con una bottiglia di birra in mano.
“Che ci fai qui?”
“Sto morendo”
“Cosa?” chiesi io inarcando un sopracciglio.
“Ho una malformazione congenita al cuore. Me l’hanno diagnosticata una settimana fa”
“Bere birra allora non ti gioverà”
Lui mi fissò con aria spazientita. “Non credevo che un po’ d’affanno cronico e delle occasionali fitte al petto potessero essere sintomo di questo. Ho sempre creduto di avere l’asma bronchiale”
“Cosa ci fai qui?”
“I medici dicono che potrei morire da un momento all’altro. Basterebbe un nonnulla e crollerei a terra stecchito. Si meravigliano persino che io sia arrivato a quest’età”
“Perché non fai un trapianto?”
“No…la lista è troppo lunga, e poi quanto potrei campare? Dieci, vent’anni di più? Senza contare che dovrei prendere farmaci anti rigetto per tutta la vita…no grazie, preferisco farne a meno”
Scrollai le spalle.
“Non è una bellezza?” mi disse indicando la macchina.
La guardai. A dire il vero, bella proprio non era: un complesso groviglio di cavi e di metallo non può essere definito bello, ma annuii…capivo cosa volesse dire.
“Morirò senza poter sapere cosa di prova a viaggiare nel tempo”
“Le Nazioni Unite hanno proibito l’uso della macchina a chiunque, lo sai”
“Fanculo l’ONU! Quei manichini in doppio petto non sanno nulla! Ci ho sputato io sangue su questi cavi.. le ho corrette io le migliaia di equazioni necessarie al suo funzionamento!”
“Noi, vorrai dire” precisai.
Maurizio grugnì.
“Vieni via”
“Tra poco, finisco la birra”
Quel ragazzo alle prese con un delirio di onnipotenza m’aveva stufato. Così tagliai corto.
“Come vuoi, rimani se ti fa piacere…buonanotte”
“Ciao ciao capo”
Forse se non lo avessi lasciato solo ora non sarei qui, a scolarmi il mio dodicesimo bicchiere di Jack Daniel’s.
La mattina dopo la Facoltà era in stato d’assedio. Caschi Blu da tutte le parti. Elicotteri, polizia, persino un blindato con un uomo alla mitragliera.
Uno zigomoso tenente dell’Esercito mi bloccò all’ingresso e mi disse che era vietato a tutti l’accesso in Facoltà e specialmente nei laboratori.
Alla mia richiesta di spiegazioni, l’uomo mi disse in modo vago che qualcuno aveva tentato di usare la macchina del tempo ed era morto, folgorato da una scarica elettrica non meglio precisata.
Io non avevo dubbi su chi potesse essere il malcapitato: Maurizio. Poteva essere solo lui, e difatti…
La versione ufficiale delle autorità fu che a causa della massa corporea eccessiva del ricercatore, il flusso energetico della macchina del tempo non era stato sufficiente a teletrasportarlo, fulminandolo all’istante. Questo, almeno, secondo il parere della commissione medico-scientifica d’indagine dell’ONU. Non mi fu chiesto alcun parere, anzi mi fu tacitamente fatto capire che era meglio se stavo zitto.
Per carità, lungi da me parlare. Non mi stava nemmeno simpatico. Avevo rinunciato da tempo alla mia invenzione, sapendo che i politici ci avrebbero messo su le mani appena pronta, e non mi curavo di questa ennesima imposizione, tanto più che, presumo in cambio del mio silenzio, la commissione elogiò più volte il mio lavoro e imputò la morte di Maurizio a un errore umano di calibrazione della macchina compiuto da lui stesso poco prima di usarla.
Fu tenuto un funerale di stato, con tanto di bara contenente una salma bruciacchiata.
Fu allora che rividi Eliana. Era vestita a lutto e portava un paio di occhiali scuri. Un po’ più invecchiata, ma era lei, non c’erano dubbi.
Mi si avvicinò e si fermò accanto a me accendendosi una sigaretta.
Due becchini stavano adagiando la bara di Maurizio in un loculo comunale.
“Credo che sia il caso che tu lo sappia adesso” disse lei fumando nervosamente “quello era tuo figlio”.
A rigor di logica avrei dovuto scandalizzarmi, rispondere sgomento e strattonare Eliana gridando perché non me lo hai detto prima, avevo il diritto di saperlo e tutte quelle altre cazzate che si dicono nei film, ma mi limitai ad annuire silenziosamente e a dire:”Come fai ad esserne sicura?”
Lei mi fulminò attraverso gli occhiali. “Sei uno stronzo”
“E tu sei sposata. Chi mi dice che non sia di tuo marito?”
“Quando quella sera…. beh, io e mio marito vivevamo un momento di crisi, lui non viveva più con me da un anno, e tornò solo due mesi dopo a casa. Ero già incinta. Non sono andata con nessun altro oltre te in quel periodo”
“Lui lo sa?”
“No. E ti prego di non dirglielo. Crede che sia suo”
“Non lo farò” misi le mani nelle tasche. “C’è altro?”
“No. Addio”
La guardai andar via. Ero stato anche padre, quindi.
La cosa non mi faceva né caldo né freddo. Alla fin fine, ero il padre di un estraneo, perfino antipatico per giunta. Non provavo nulla di particolare, se non la nostalgia di quella notte passata con Eliana. Tutto qui.
Gran bella donna. Vita intensa, eh?
Tornai a casa con un vago senso di inquietudine, ma non mi seppi spiegare il perché. Forse ero solo stanco.
Mamma perché lo hai fatto? Non potevi lasciarmi in pace?
Mia madre è morta un paio di mesi fa, in ospedale. Collasso cardiocircolatorio, diceva il referto.
Venni a sapere che aveva lasciato un testamento. Mi chiesi cosa mai avesse potuto lasciare mia madre per me, dal momento che non navigava nell'oro, anche se negli ultimi tempi grazie ai proventi del mio lavoro l’avevo fatta sistemare in una delle migliori cliniche per la cura della mente.
A causa di alcuni problemi burocratici, la lettura del testamento è avvenuta solo oggi pomeriggio. Il notaio, dopo la solita solfa giuridica, mi ha consegnato una busta di color beige chiusa con delle spillette dicendo che era “la mia parte” e che potevo scegliere se aprirla in quel momento o a casa. Optai per la seconda soluzione.
Ho aperto la busta nemmeno tre ore fa. All’interno c’erano dei quaderni sgualciti, che si rivelarono essere il diario che mia madre aveva tenuto sin da quando era ragazza fino alla settimana prima di morire. Tutta la sua vita era racchiusa lì. Sfogliai qualche pagina senza soffermarmi su nulla in particolare: erano tutti racconti di episodi quotidiani, descrizioni di me da bambino, o telecronache dei litigi con i nonni. Andai all’ultima pagina e lì trovai la foto.
Non so come mai non sono crollato morto a terra in quell’istante. Neanche adesso mi sento molto bene.
Mi faccio un altro bicchiere.
Lessi febbrilmente una decina di volte la sua ultima lettera del diario…era dedicata a me. L’ho imparata a memoria.
Caro Cesare,
sto per morire, me ne accorgo da sola. Il mio corpo è ormai distrutto dalle cure di questi dottori che mi credono pazza e che mi imbottiscono di farmaci. Ormai mi sono accorta che anche se facessi marcia indietro e dichiarassi che tuo padre non veniva dal futuro non mi crederebbero lo stesso. Sono pazza, ed essere pazzi è un’etichetta, non una condizione passeggera. Persino tu mi credi pazza.
Ma, Cesare, io non lo sono. A maggior ragione data la tua recente scoperta dovresti convincertene. Tuttavia, questo non ha ormai molta importanza, dal momento che sento le forze venirmi meno. Tuttavia, vorrei pregarti di un ultimo favore. Ti ho mentito in passato:ho conservato un ricordo di tuo padre. È una fotografia, ora vecchia e ingiallita. Ci ritrae assieme seduti sulla panchina del paese dove sei nato, il giorno dopo il tuo concepimento. L’ho sempre tenuta sul mio cuore e non ne ho mai parlato a nessuno, né l’ho mai mostrata ad anima viva, forse per paura che si rovinasse o forse per una perversa forma di gelosia.
Dal momento che morirò qui dentro, è quasi certo che quando sarà l’ora questa foto verrà cestinata dai barellieri, e io non voglio. La affido a te, custodiscila. Se ti fa piacere, appendila al muro, o mettila sulla tua scrivania. Oppure chiudila in un cassetto, ma non buttarla, te ne prego. È il ricordo più bello che ho.
Un bacio
Mamma
Ora ho in mano la foto e bevo avidamente dalla bottiglia. L’immagine è vecchia e di pessima qualità. Raffigura mia madre, giovane e con dei lunghi capelli neri, vestita con una maglietta e dei jeans, seduta su una panchina in legno. Accanto a lei, Maurizio della Torre sorridente le cinge le spalle con un braccio.
SONO IL FIGLIO DI MIO FIGLIO.
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0 recensioni:
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- Grazie mille per i complimenti!
- magari l'ultima frase "sono il figlio di mio figlio" si potrebbe anche togliere, ma in effetti a parlare è una persona sconvolta e ubriaca quindi va bene così.
questo racconto è meraviglioso strabiliante stupendo..
è troppo figo!
mi piace un casino! (ah e poi è scritto anche molto bene non solo la trama è favolosa)
- Stupendo racconto... uroborico...
Letto con interesse crescente...

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