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A fior di Labbra

Si sorprese a sorridere.
In bocca aveva il sapore amaro dell’epilogo e del tentativo mal riuscito di non cadere nella bottiglia. Era un uomo finito. Era un uomo, questo era certo. Rideva con il gusto della delusione e con gli occhi lucidi del padre ferito.
Si sorprese a riflettere, lui che era stato abituato a decidere prima di vagliare le possibilità. Si guardava intorno come se per la prima volta si trovasse ad analizzare le pareti della sua stanza. Gli occhi si fermavano su ogni dettaglio; la foto di New York su legno Ikea, quella della casa di “Ernest” a Key West, lo specchio regalo di nozze, le crepe sui muri ingialliti. La mente però sorvolava, i percorsi del suo ragionare erano ben altri.
Si sorprese ad afferrare la sua Beretta e a stringerla talmente tanto da disegnargli sul palmo le righe dell’impugnatura. Era calmo nell’animo, calmo nella mente ma con il corpo sudato e freddo per l’agitazione. Non era più un ragazzo. I suoi sessantuno anni lo giudicavano dall’alto dell’esperienza che in quel momento non trovava dentro al suo cuore.
Un carabiniere lo si esige freddo, pronto, scaltro. Lo si chiama e lo si desidera reattivo, di ghiaccio, per nulla turbato dagli eventi. Risolutivo. Lui non era tra la gente. Era a casa sua, nel suo regno e poteva permettersi una qualsiasi debolezza. Poteva perfino permettersi di piangere, di gridare, di mandare a quel paese l’Arma e la sua divisa. Gli era concesso di sciogliersi, di tremare, di puntare la pistola verso la parete, verso se stesso.
Un padre in divisa è chiamato inconsapevole sul luogo del delitto di suo figlio. Un uomo nudo, di spalle, riverso nel suo stesso rosso, in un angolo di città che non avrebbe mai collegato al sangue del suo sangue. Aveva riconosciuto quel tatuaggio, immediatamente, ed aveva sentito pietrificarsi le gambe, respirare il cuore, scoppiare i pensieri, piangere quegli occhi di ghiaccio. Aveva odiato gli scarabocchi con cui il “piccolo” amava fregiasi durante i suoi viaggi. Quei disegni però parlavano inequivocabilmente di lui e gli era bastato uno sguardo.
Si sorprese padre, indifeso, sguarnito. Non era più comandante, non era più un esterno. Non era più risolutivo. Erano stati i secondi più lunghi ed intensi della sua carriera. Si era appoggiato alla spalla del suo giovane collega e lo aveva pregato con un cenno di non dire niente, di non esitare, tentennare, di non soffrire per lui. Era entrato in quella stanza ed aveva scoperto il figlio morto ed omosessuale. Non ne sapeva niente. Lo avrebbe accettato forse. Ne avrebbero parlato. Ci avrebbe riflettuto. Ed invece il suo lavoro aveva deciso di fargli un ulteriore regalo. Aveva deciso di svelargli così le debolezze di una vita spezzata, di colpirlo al petto più e più volte. Il corpo era lì, sdraiato tra foto squallide e compromettenti, tra sperma e sangue.
Si sorprese improvvisamente solo. E fragile. Certezze? Fino a quel momento. Poi più. Osservava i segni dei gomiti appoggiati sulle cosce e continuava a girare con gli occhi gli angoli della sua casa. Ogni cantone gli parlava dei suoi errori, delle sue mancanze, dei suoi orrendi sbagli di padre. Quali responsabilità avrebbe dovuto affrontare? Quelle di genitore? Quelle da maresciallo dei carabinieri ad un soffio dalla pensione? E che senso aveva arrestare il colpevole? Gli avrebbero restituito in premio il figlio accoltellato? Un articolo di giornale e una stretta di mano lo avrebbero fatto rinsavire?

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1 commenti:

  • Anonimo il 23/01/2013 09:27
    i miei complimenti. davvero ben scritto.

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