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Fuga Da Alcatraz
Libero.
Non avrei potuto trovare un aggettivo che mi si addicesse di più.
È notte fonda, sono steso su due sedili di un treno diretto chissà dove, il viso rivolto al finestrino a cercare di leggere i nomi che di tanto in tanto appaiono sui cartelli blu delle Ferrovie Dello Stato, ascolto musica dal mio Ipod ultima generazione e mi sento libero.
Mi tiro un pizzicotto, nel caso in cui stessi sognando: il dolore lancinante mi fa capire che è la realtà.
Meriterei un premio, dei complimenti e una bella modella in costume che mi regala una fascia con scritto: L'UOMO PIU' GENIALE DEL MONDO. Scommetto che tutti starebbero li ad applaudirmi e a pensarci bene sarebbe piuttosto gratificante.
Ma lasciate che mi presenti: sono Il Figlio Di Mezzo.
Ovvero la Pecora Nera di una famiglia perfetta, colui che da anni reca solo preoccupazione e danni nella vita dei miei "poveri" genitori e parenti. Mio padre è un rinomato insegnante in una delle Università più prestigiose del paese, mia madre gestisce un'attività tutta sua.
I due piccioncini si sono incontrati al liceo ed hanno dato vita ad una delle storie d'amore più strappalacrime che abbia mai sentito, tanto che mia madre ancora si commuove quando la racconta.
Si odiavano, come è giusto che sia, ed erano conosciuti a scuola per i reciproci dispetti, finché un giorno mio padre finì in ospedale perché la mamma con la macchina era passata sopra il suo "amante".
Sensi di colpa di mia madre, il perdono di mio padre, mia madre in ospedale tutto il tempo e scoppiò l'amore. Convolarono a nozze solamente dopo che il babbo ha ottenuto il posto all'Università e vissero tutti felici e contenti.
Fine della storia.
Credo che il vero divertimento sia iniziato quando i due hanno deciso di "darci dentro": la prima è stata Sofia, miss perfezione, la figlia che tutti i genitori desiderano, colei che non è in grado di deludere il prossimo ed è brava in tutto ciò che fa, anche nel portare fuori il cane. Poi è stato il mio turno, ma evidentemente non erano sazi l'uno dell'altra, perché hanno giustamente deciso di dar vita al terzo pargolo; è servito a qualcosa battersi perché ciò non avvenisse?
Ovviamente no, Roberto è ancora a piede libero.
Fin da piccoli siamo stati educati in un modo che oggi oserei definire paradossale: i nostri genitori ci hanno sempre viziato ma proporzionale al vizio sono arrivate le punizioni, per qualsiasi cosa osasse intaccare il loro particolare equilibrio. Quando facevamo qualcosa di storto ci prendevano per un braccio e ci chiudevano nella casetta degli attrezzi.
Inutile dire che ho passato le mie ore migliori li dentro.
Sofia porta avanti, con grande orgoglio dei miei genitori, la grande dinastia: è diplomata al liceo scientifico col massimo dei voti e frequenta l'Università privata più in vista. Ma lei sarà una psicologa di fama mondiale, perché lei può. Roberto ha appena iniziato a frequentare lo stesso liceo di mia sorella, io sto per chiudere questo travaglio che dura 7 anni;si perché, contrariamente a ciò che hanno sempre preteso i due colonnelli, mi sono impegnato diverse volte per farmi bocciare.
Sono da sempre stato uno spirito libero.
Eccoci, primo giorno di scuola.
Mi alzo e sbadigliando scendo giù in cucina dove mia madre e mio padre sono già seduti a tavola per la colazione.
"Le regole quest'anno le stabilisco io: uscita solo il sabato sera, niente internet finché non hai finito di studiare e soprattutto niente uscite con lei!"
Che bel buongiorno, la famiglia del mulino bianco è nulla in confronto.
"Che fai pà, mi minacci con una ciambella?.. Sto per morire di paura"
"Tuo padre non sta scherzando, le regole sono queste e tu sei obbligato a rispettarle". Mia madre come attrice è una bomba, devo ammetterlo.
Sono alquanto infuriato mentre salgo le scale, me ne rendo conto perché mia sorella e mio fratello si sono schiacciati contro la parete pur di non ostacolare il mio passaggio. Entro in camera, prendo di corsa lo zaino e lo riempio.
Di tutto meno che di qualsiasi cosa potesse ricordarmi la scuola.
Faccio per uscire ma mi blocco un attimo sulla soglia. Caspita, potrebbe essere l'ultima volta che vedo queste quattro mura, un minuto di silenzio!
Nella radiografia della stanza mi soffermo sul comodino, dove noto una foto di "noi": me e la mia piccola, splendida, unica dolce metà. Finalmente sorrido, torno indietro, prendo la foto e scappo via.
Per poco non ruzzolavo giù per le scale, dannata fretta.
Credo che i miei abbiano sorriso di fronte al mio rinnovato entusiasmo, senza sapere che forse non mi avrebbero visto più.
Corro nel giardino, apro il cancello e lo chiudo alle mie spalle. Ho ancora la mano su una sbarra quando mi volto, giusto per concedermi un'ultima occhiata alla mia vecchia casa.
Quello che provo dentro è una sensazione che augurerei a tutti: è come sentire le ali sotto i piedi, il cuore che batte per tutto il corpo tanto da farti diventare un unico palpito. Vorrei urlare, ma mi trattengo.
A ripensarci il viaggio da casa mia alla stazione è stato fin troppo breve. Non ho avuto modo né di pensare né di fare altro se non spegnere il mio cellulare, comprare un biglietto diretto a diversi chilometri da li e salire sul treno.
Ora sono circa 6 ore che viaggio e non sono per niente stanco, piuttosto mi sento sovreccitato, quasi febbricittante e la mia euforia sale ancora di più perché finalmente leggo il nome della mia destinazione.
Mi alzo, raccolgo le mie cose sparse per la cabina di cui avevo preso possesso ed esco.
Faccio appena in tempo a mettere un piede sull'asfalto quando una goccia fredda colpisce il mio collo: perfetto.
Tre passi e posso considerarmi ormai fradicio fino al midollo, tant'è che il mio zaino ha cambiato colore e le mie scarpe sono tornate della loro tinta originaria. Mentre esco dalla stazione riflettendo sull'azione della pioggia nel rinnovare i colori mi dirigo senza accorgermene alla mia destra. Per strada scontro un anzianotto che fuma la pipa sotto il suo ombrellino a fiori mentre cammina curvo sulle mattonelle del marciapiede: lo fermo.
"Scusi, per via dei Gigli?"
Dal modo in cui si guarda attorno mi passa per la mente il dubbio che quest'uomo non sappia minimamente dove si trova;improvvisamente alza il braccio e lo tende alla sua destra, indicando la strada da cui era venuto.
"Da quella parte, ad una di queste vie gira."
Ma che diavolo di lingua parlano in questo posto?!
"Ok grazie"
Fra tutte le cose che mi sono portato dietro, per quale motivo non ho pensato di fregarmi una cartina geografica?
Riprendo il mio cammino con la sensazione di farlo sotto il getto continuo di una doccia; ogni tanto alzo lo sguardo, cercando di leggere attraverso il buio i nomi delle vie, ma dopo tre incroci ho di nuovo il dubbio che il nonnino mi abbia detto la direzione sbagliata.
Agli anziani non deve essere permesso di andare a piede libero, sono criminali.
Continuo a camminare senza neanche a capire come, visto che i piedi sono diventati due cubetti di ghiaccio, ma finalmente riesco a leggere grazie ad un lampione che illumina la lastra in marmo, il nome tanto agoniato: Via dei Gigli, alleluja.
Mi volto e noto una grande scalinata che scende fino ad una piazza: sinceramente non me la ricordavo così.
Consapevole che sto per perdermi inizio a scendere e tanto per distrarmi dalla pioggia continua, conto gli scalini.
A duecento tocco il marmo della piazzetta.
Mi domando come facciano le persone normali a farsi questa scalinata tutti i giorni. Magari quando arrivano in cima si voltano e alzano le braccia al cielo, con le loro tutine grigie tutte bagnate di sudore.
Raggiunto il centro della piazza (oddio ma questa fontana da quanto tempo è qui?!) mi guardo attorno e finalmente scorgo l'oggetto dei miei desideri: una casa che credo sia bianca quando colpita dalla luce del sole.
O almeno così mi sembra di ricordare.
Corro, entro nel vialetto e busso al campanello: la porta si apre e sulla soglia c'è una signora piuttosto anziana con addosso una camicia da notte e tra i capelli dei bigodini;le guardo la mano alzata: è armata di mattarello.
Senza neanche domandare chi diavolo io sia me lo tira in testa, facendomi un male atroce.
Cado seduto ai suoi piedi e per puro caso la luce del corridoio mi colpisce il viso: dall'espressione sbalordita della mia anziana assassina capisco che mi ha riconosciuto.
"Chicco! Che ci fai qui?!?!"
Capisco che non mi vedi da tempo, capisco che con il rumore della pioggia non ci senti molto bene, ma non credo ci sia tutto questo bisogno di urlare.
"Buonasera nonna".
Ora sono a casa.
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