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La collina del Tramonto

“Perché conoscere l’umano è anzitutto situarlo nell’universo, non toglierlo da esso”

C’è bisogno di serenità, lo senti? C’è bisogno di una brezza fresca tra gli alberi carichi di profumi, c’è un forte bisogno di parole calde e pacate, che irradino luce ed umanità, c’è tanto bisogno di un tempo infinito.
Tanto tempo fa, individui oziosi si trovarono talmente liberi da potersi permettere di sedere all’ombra degli ulivi centenari, per discutere a lungo, nell’ebbrezza dell’odore estivo del sambuco, tra le rocce aspre di una terra martoriata dalla storia. I loro sandali di corda grezza, le loro sottili vesti formavano un quadro armonioso con la bianca schiuma del mare calmo sui sassi, rilucente nell’incendio del sole in congedo. Una sera, uno di loro, placato l’ansimo del fiato stanco dalla lunga camminata, sedutosi su un masso bianco, screziato da conchiglie e fili d’erba secca, dopo essersi schiarito la voce, profonda e sognante, iniziò a parlare…

“Già vedo?" disse l’uomo, perdendosi nella prospettiva chiara dell’Egeo?" la fine del mondo così come voi ed io lo conosciamo. Sento inaridirsi le fonti, e vedo le dolci naiadi piangere mute la fine della loro era. Mnemosine e Clio non passeggeranno più insieme sotto lo stesso cielo, già sento gli strepiti della loro lite, li sento dentro me, che non riconosco le mie stesse orme sul sentiero che mi ha condotto sin qui.
Siamo giovani?" eh si, sorridete, sono più vecchio di voi, ma ogni misero sassolino conserva in se mille delle nostre vite?" ma questo tramonto silenzioso è araldo dell’autunno, e poi verrà l’inverno freddo, e la guerra, e l’oblio di ogni nostra ragione d’essere. Ma voi, verdi arbusti che non conoscete la morsa del gelo, dormite…chiudete gli occhi, respirate la purezza di questo giorno che muore, in quest’ora tarda che racchiude in sé tutta la mestizia del futuro. Perché domani dovrete esser forti, tra pochi attimi dovrete inseguire il sole, che si dimenticherà di voi, privandovi del vostro inalienabile diritto al riposo…”

Detto ciò, l’anziano sollevò gli occhi che già da un pezzo vagavano umidi dentro una realtà sconosciuta ma possibile, privata eppure trasparente attraverso la parola, e guardò i due giovani, uno alla volta, incrociandone gli sguardi attoniti e frustrati nell’incapacità di comprendere appieno ciò che il vecchio vaticinava.

“Ricordate?" disse egli allora?" per voi non dovrebbe essere difficile…Ricordate quando, ignari delle cose del mondo, correvate nudi e bruciati dal sole, sempre allegri, con l’anima incosciente e leggera? Chi di voi può ancora ricordare il profondo mistero, lo stupore alla vista del mare che riflette la luna piena, chi di voi ricorda ancora la gioia della frescura dell’acqua di un ruscello, che rinfresca il corpo spossato dalla calura di Luglio? E?" ditemi ancora?" ricordate la limpidezza dell’amore inconfondibile che trapelava dal sorriso di vostra madre? Ci sono diamanti di incomparabile bellezza, sparsi sulla superficie delle cose e da lì nascosti nell’abisso remoto della nostra innocenza, e l’occhio del sonno, nelle notti serene, può scendere sino a tali profondità, per regalarci un frammento di armonia che non è morto, non è falso, ma che non riesce a parlare, come un cucciolo tra la folla.

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2 commenti:

  • carlo degli andreasi il 18/11/2008 14:52
    un otre gravido di contenuti, vino nero forse lo stesso che stordito il ciclope l'ha fatto sognare ignaro... notevole