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Il giovedì, una città.

Miriam cammina rapidamente  lungo via Giolitti. Un'andatura a zig zag fra le vetrine che si guardano dai marciapiedi opposti. Marco la segue da dieci minuti, da quando ha lasciato il bancone del bar Dolceamaro a Guido, per il  cambio. Gli ha chiesto il favore di anticipare il turno perché sa di poter intercettare Miriam all’uscita dalla  clinica privata.

Guido è il padrone ma anche un amico, un vecchio amico e non è stato difficile convincerlo. Solo sette anni fa  Guido organizzava i turni dello spaccio nel quartiere dove Marco si procurava da vivere per sé e per la madre. Poi Guido puntò più in alto,  passò alle staffette di coca  tra la Turchia e Brindisi. In tredici mesi era riuscito a mettere da parte un discreto capitale ma non ancora sufficiente per aprire un’attività pulita. Serviva almeno il doppio, per un anticipo ai fornitori e per una garanzia  in banca. Non fu difficile per Guido legarsi a doppio filo con quelli dello “strozzo” che facevano incetta di capitali sporchi e li riciclavano nel giro d’usura. Bastava solo aver pazienza e rispettare le regole. Se dopo due mesi ti abbassavano la percentuale di qualche punto, con la scusa che il commerciante non era stato puntuale, si doveva tacere e soffocare i moti di rabbia, specie quando sapevi per certo che il commerciante, quello, aveva pagato fino all’ultimo soldo il debito e gli interessi. 
Adesso è fuori, Guido, fuori dal giro ed il bar va bene anche grazie a Marco che non l’ha mai deluso per come rispetta le regole e l’amicizia. Fu lui stesso a proporre alla madre del ragazzo il lavoro al bar sapendo che gli avrebbe anche risolto i problemi con l’assistente sociale per la relazione finale. 


Quella sfasatura di dieci minuti fra i turni di marco e Miriam,  li  ha sempre costretti a chiedere piaceri ai colleghi per anticipare o posticipare  il cambio, di lei o di lui. Ma stamattina Marco l’ha chiamata poco prima delle undici, per dirle  che si sarebbe trattenuto al bar, dandole appuntamento a casa, per la sera. Il primo  pomeriggio, liberata  Miriam dagli obblighi di cucina,  si riempiva  con l’impegno dal parrucchiere, più volte rinviato dalla ragazza nell’ultimo mese.

Il bar Dolceamaro abbraccia l’ultimo angolo della  via che è un rettifilo pedonale dal mare alla stazione. Una delle due  pareti, quella a sud di fronte all’ingresso,  è una grande vetrata  che  di primo acchito potrebbe scambiarsi per  un dipinto naif in tema di mare, di barche e di albeggi  rosa-fuxia. Se solo è bonaccia e le onde non tormentano i frangi flutti, sembra di ammirare un grande quadro. C’è una strana  quiete sulla via a quell’ora, rotta solo dal brusio di fondo destinato ad infittirsi più tardi,  nella confusione della sera,  col chiacchiericcio  delle compagnie di giovani dabbene, capannelli sistemati  ad ogni angolo della strada, dai giardini in su, verso il mare. Prima, le facce sono molto diverse e più varie, per età e per origini. Nei vialetti dei giardini adiacenti la stazione, e nella stessa via Giolitti che li divide in due, diverse etnie si contendono spazi utili ad  attività di soggiorno e  di incontro o per esporre mercanzie. Ultimamente, un folto numero di gente proveniente dalla ex Unione Sovietica e dalla Polonia, ha arricchito i  suoni  alle parole, infittito gli accenti e le cadenze, ristretto un po’ gli spazi. Quella diversità di lingue e colori a quell’ora è più vistosa e mette allegria. Contrappunto all’altra parte della strada,  moscia e silenziosa con i negozi serrati.

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