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Pecora Nera (1a parte)

Non vedeva l'ora di uscire da quella dannata macchina. Sua madre parlava velocemente e lui nemmeno la stava ad ascoltare. Roteava le bacchette di legno in mano, spazientito, triste e desideroso di andar via il più presto possibile.
Fuori faceva freddo! Un freddo cane, troppo anche per i suoi sottili guanti di lana, eppure non resisteva più. I suoi pensieri erano ovunque, tranne che in quella macchina.
Robert era cambiato. Da piccolo era un bambino modello, bravo a scuola, intelligentissimo, lasciava esterreffatto chiunque, con il suo parlare fin troppo arguto per un bambino della sua età. Eppure adesso era cambiato. Era svogliato, triste, prendeva brutti voti a scuola, e non trovava soddisfazione in nessuna cosa. Ultimamente arrivava anche a considerarsi la pecora nera della famiglia. Era il primo ad essere stato rimandato in matematica di tutta la sua famiglia, e non riusciva più a sopportare le occhiete che i suoi parenti gli lanciavano. All'ultima cena di Natale, come al solito sua madre aveva iniziato a parlare del professore di recupero che seguiva Robert, e sua nonna meravigliata aveva esclamato: "Ma come?!? È sempre stato così bravo. Mi ha pienamente deluso!"
Robert si era alzato di scatto, imbronciato, quasi sul punto di piangere, ed era corso nella stanza da letto a leggere uno dei suoi libri preferiti:Furia Omicida!
Gli piaceva leggere di tutte quelle persone squartate, impiccate, mangiate vive da tutti quegli squilibrati. Sognava che un giorno avrebbe trovato il coraggio di farlo anche lui. Ma purtroppo quel giorno era ancora lontano. La routine continuava come tutti i giorni da quindici anni a questa parte.
Senza rendersene conto si era ritrovato di colpo seduto sullo sgabellino della batteria a eseguire tutti quei movimenti che ormai gli risultavano meccanici. Era l'unica cosa che lo rilassava. Guardare quei muri tappezzati di confezioni per le uova, parlare con il professore e dare colpi fortissimi sul crash. Era l'unica cosa che desiderava fare in verità!!!
Ma sapeva che quando sarebbe tornato a casa sarebbero stati lì ad aspettarlo, e ad assillarlo come al solito.
Da tempo Robert sognava quella scena: un bel ceffone secco di suo padre, e lui fermo lì, a guardare il vuoto, con un'espressione quasi spenta. E poi un pugno secco di rimando, sul naso, tanto tanto forte.
Purtroppo era solo un'utopia.
Dopo la sua ora di lezione, tornò a casa e di corsa mise su quella canzone, l'unica che gli trasmettesse un vero messaggio.
Sing for the moment di Eminem.
E stette lì, per almeno mezz'ora, con il tastino di repeating sempre premuto, che gli permetteva di ascoltarla ininterrottamente. Che sollievo!

D'un tratto sua madre lo chimò. Lui scendette, con il solito passo strascicato, lento, quasi assonnato se non fossero state le 7 di pomeriggio del 30 dicembre.
"Che palle!" pensava Robert. Di nuovo quegli urlacci di sua madre e suo padre, che tagliavano quasi più di un coltello a serramanico, ma molto più letali di esso.

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