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Soviet Superman
Mosca, ore 4 del mattino.
Anatoli si alzò da terra confuso, trovò un appoggio al bordo del lavandino sopra di lui.
Si muoveva frenetico, la testa scattava a destra e sinistra, il collo si contraeva, faticava a deglutire.
Attese una parvenza d’equilibrio tra uno spasmo e l’altro; cercò la tasca dei pantaloni e vi infilò la mano tremante.
Tirò fuori una banconota da cento rubli, l’arrotolò sottile, a forma di cannuccia. I suoi occhi s’incontrarono nel vetro dello specchio. Si perse nel suo stesso sguardo alla ricerca di un particolare, un ricordo: non trovò che il vuoto. Interdetto, abbassò gli occhi; estrasse dal taschino della camicia una piccola scatola di latta, color verde menta; l'aprì.
Posò il contenitore sul ripiano del lavandino, schiacciò con l’indice la narice destra.
I suoi movimenti iniziarono a rallentare. Impiantò un lato della costosa cannuccia nella narice sinistra, l'altro, nella scatola colma di polvere bianca. Tirò su l’aria e la cocaina discese nel cavo orale.
Rapido, con la fronte aggrottata e le palpebre chiuse, cambiò narice. Ancora un lungo respiro. Un dolore acuto percorse il suo corpo, lo sentì scorrere nella testa, insinuarsi nelle viscere, arrivare alle ginocchia. Alzò nuovamente lo sguardo, gli occhi opachi, il volto pallido. Il dolore lasciò il posto a un rilassato torpore e questa volta, nello specchio, apparvero le prime memorie di quella notte.
Ricordò di essere nel bagno della discoteca più cool di Mosca: il Soviet Superman; ricordò di avere una terribile paura di morire.
Anatoli avverti il cuore accelerare i battiti, una grancassa picchiava al centro del petto.
Una fitta alla tempia lo fece barcollare. Si girò, guardò l'uscita del bagno, faticava a mantenere l’equilibrio.
Sinuosa, una figura femminile teneva poggiata la schiena verso la porta d'entrata.
La musica arrivava forte, incalzava fastidiosa come le grida selvagge che si rincorrevano nella pista da ballo. La donna guardò Anatoli e disse:
- Ho bisogno di te. – Si accarezzava i fianchi, lo sguardo languido; aggiunse:
- Non mi lasciare.
Avvolta in un body con la scollatura ampia, indossava un paio di fuseau neri che esaltavano i suoi fianchi; le gambe lunghe sorreggevano un fisico da modella.
Spostò le mani all’altezza delle tempie, impugnò i capelli e li massaggiò sulla testa. I suoi gesti erano sensuali e provocatori. Arrestò il movimento, fissò Anatoli, sorrise e alzò i capelli lasciando le guance scoperte. Il suo volto era ricoperto di sangue che colava denso e putrido.
***
Anatoli arrivò al Soviet Superman poco dopo le due del mattino, dopo aver consumato le dolci pasticche che regalavano alle notti moscovite magiche emozioni.
Entrò in un piccolo portone, attraversò un lungo e umido cunicolo, discese nella discoteca. La pista da ballo era quadrata, cinquanta metri per lato. Al centro dell'enorme stanza pulsava la consolle, illuminata da laser multicolori e continui flash accecanti.
Il dj era il bersaglio di quel gioco di luci.
Ai quattro angoli della discoteca, quattro gabbie tenevano imprigionati altrettanti ragazzi. Trattati al pari di animali feroci, erano legati al collo e alle caviglie da un robusto guinzaglio di cuoio.
Sopra le gabbie, quattro ragazze ballavano mostrando i loro seni enormi e ansimando a ritmo di musica. Il loro unico indumento era una sottile lingua di pelle nera tra le cosce.
La folla era eccitata e in preda a un amplesso musicale.
Sulla parete nord rispetto alla discesa, sistemati alle spalle del dj, due ritratti regnavano sulla sala: Lenin e Gagarin.
Fronte alle due icone sovietiche, sospeso in aria, il simbolo comunista: falce e martello. Agganciato a questo, un Superman d’orato di un metro d’altezza volteggiava attorno all'emblema russo. Oriente e occidente si toccavano e difendevano.
Anatoli fissò le ragazze sopra le gabbie, cercò di scacciare i suoi incubi, sempre in agguato, nell’ombra, pronti ad allontanarlo dalla realtà.
Un giramento di testa lo scosse: il grande Superman, la droga e quei temibili demoni che viaggiavano tra i suoi pensieri, a velocità supersonica, sfuggiti alle catene delle loro prigioni temporali.
Accusò in un solo attimo tutto il peso delle sue paure, di una vita persa e difficile da recuperare.
L'assordante musica si arrestò e una delle ragazze discese nella gabbia. Aveva movenze da felino, girava quatta attorno alla sua preda umana.
Anatoli restò rapito dal suo sguardo, dall’accuratezza con cui leccava il collo dell’uomo, dalla danza delle sue mani che scorrevano veloci sul prigioniero.
Un urlo straziante violentò il silenzio del locale, la ragazza addentò la gola dell’ uomo e bevve il sangue che zampillò fuori. In estasi, torturò con le unghie il viso dello sventurato e quando l'eccitazione generale fu all'apice, gli cavò gli occhi dalle orbite. Osannata, mostrò alla folla i preziosi trofei e li ingerì.
Notte di orrori e morte.
***
Impossibile, è tutto impossibile - sussurrò Anatoli mentre la puzza di urina e fumo rendeva irrespirabile l'aria del bagno.
Decise di non muoversi; stanco, fissava quel corpo attraente, studiava le sue mosse per non farsi anticipare.
- Ho bisogno di te per vivere. - Ripeteva la donna.
- Resta con me.
Il sangue sul suo viso sembrava un'immagine surreale rubata da un quadro astratto.
Anatoli non riuscì a credere agli eventi raccapriccianti appena accaduti.
La ragazza nella gabbia lanciò un acuto che divenne richiamo per tutte le donne della discoteca.
Queste, impazzite, isteriche e senza alcun controllo della ragione si avventarono sugli uomini.
Ricordò la ferocia e la follia perversa di un branco di cagne sopraffatte dalla rabbia, le vide sprigionare una forza disumana: mordevano, azzannavano e uccidevano.
Erano concubine di un demone invisibile affamato di carne umana.
Anatoli riuscì a scappare, inciampò tra le gambe di chi, sfortunato, lottava in un’orgia di sangue. Arrancò fino a raggiungere il bagno dove trovò rifugio dietro la porta di una latrina.
Si accorse presto di essere circondato e nel tentativo di fuggire scivolò a terra perdendo conoscenza.
La conoscenza di ciò che può essere ma che non sarà mai; di quel filo sottile che divide ciò che è reale da ciò che reale può diventare.
Anatoli fissò per l'ultima volta la sua carnefice. Era bella nella sua feroce follia e lui troppo stanco per evitare il suo abbraccio mortale. La vide avventarsi su di lui, sentì penetrare i denti nella carne, avvertì i muscoli del collo lacerarsi sotto i morsi della bestia.
Colse l'orrore del suo corpo straziato. Stremato, percepì l'ossessione della morte.
***
Mosca, ore 6:00 del mattino.
Anatoli si svegliò solo, come solo era nella vita. Riverso a terra, a pochi passi dal cunicolo che collegava la strada alla discoteca. Erano passate due ore dal suo ingresso al Soviet Superman, quando aveva perso i sensi per colpa di alcool e droghe.
Era rattrappito, dolorante, nauseato, con un forte senso di angoscia che gravava sullo stomaco ma, ciò che più importava, vivo.
Con un gesto inconscio alzò le braccia per difendere la testa, attese qualche attimo. Traballando, si mise in ginocchio.
Ancora prigioniero dei suoi incubi, soppesò il silenzio attorno a lui. Nessun frastuono né urla disumane interruppero quella quiete.
Riconobbe il Soviet Superman, lo frequentava spesso e sapeva bene che era un ottimo conduttore per i suoi viaggi allucinogeni. Incuriosito e sempre più lucido, ruotò la testa passando in rassegna le quattro gabbie. Nessuna traccia né di sangue né di cadaveri scannati.
Attorno a lui, alcune donne di servizio tiravano a lucido il pavimento, preparavano la discoteca per la prossima serata.
Chiamò a raccolte le forze a disposizione e si alzò da terra. Ebbe una vertigine, poi un sussulto dello stomaco. Allungò la testa in avanti arrendendosi a un conato di vomito. Strofinò la manica della giacca sulla bocca umida.
Portò la mano nella tasca interna della giacca. Frugò e trovò due pasticche, le guardò.
La droga l’aveva aiutato ancora una volta a sconfiggere le sue paure. Aveva superato la sua cronica difficoltà a comunicare, a farsi comprendere e a interagire con un mondo troppo distante e complicato per essere accettarlo. Nella vita era incapace di affermarsi.
Anatoli non immaginava che le sue fughe dalla realtà avrebbero preteso un prezzo da pagare: le sue prossime pasticche sarebbero state le ultime.
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1 recensioni:
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- Stile di scrittura buono nella descrizione, buono il personaggio principale. Il tema vampirico sa un po' di "già visto" e c'è qualche errore da correggere (Es. fuseau --> fuseaux).

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