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Non è proprio la stessa cosa
Mi dice mio cugino, con lo sguardo imperativo di chi la sa lunga, ammiccando verso la distesa nevosa: “Ma dai, guarda che sciare è tutta una questione di equilibrio, e tu quello ce l’hai! ”.
Tendo a fargli notare che mi sembra un po’ poco come prerequisito.
“Non è vero - insiste - è la sola cosa che conta alla fine. E poi tu hai fatto pattinaggio. E artistico per giunta! ”. Calca la voce sull’aggettivo ‘artistico’ come a sottolineare che per me dovrebbe essere facile come bere un bicchiere d’acqua. E che se non ci provo sono un cacasotto.
“Ma quando ho fatto pattinaggio avevo dieci o undici anni” cerco di rispondere io, che non sono esattamente Caroline Kostner.
“Sciare è come fare sesso. Una volta che hai imparato non ti scordi più”, ed ha il tono di un giudice della Cassazione. Il problema, che forse non è abbastanza chiaro, è che io non mi posso dimenticare, perché non ho mai imparato. A sciare, dico.
Alla fine mi convince.
Mi presta un paio di scarponi ed un paio di sci, appartenenti credo al fratello, insieme a una tuta da neve di un colore inquietante, tra il verde vomito ed il giallo malattia, e ci avviamo verso le piste.
Gli scarponi hanno la sinistra caratteristica di essere rigidi, per tutelare la caviglie, e con un’inclinazione fissa in avanti. Il risultato è che la camminata con quei cosi implica, per bilanciare, il piegamento delle ginocchia all’indietro e della schiena in avanti, mentre le braccia si mantengono larghe per equilibrare il tutto. E poi ho i pantaloni della tuta stretti e la giacca larga; risultato: sembro il mostro di Frankenstein. Il mio sguardo vacuo conferisce credibilità all’insieme.
Scegliamo la pista blu, che per chi non lo sapesse, è il colore che designa le piste per i principianti, che di solito sono bambini. Ed infatti ce ne sono una marea, che mi sfrecciano intorno come tanti piccoli Alberto Tomba. Io mi sento simile a loro, ma solo nel cognome.
Prima tortura: lo skilift. E’, questo, un aggeggio che consta di una piastra tonda da infilare in mezzo alle gambe, tenute strette, ed un cavo collegato ad un argano, che ti tira sulla sommità della pista, facendoti scivolare dolcemente sugli sci. La gioia dei testicoli.
Afferro la piastra al volo, la infilo dove deve andare e dopo un metro mi cappotto all’indietro. Impianto fermato dall’addetto per evitare di farmi travolgere, fra le risatine generali dei bambini. Credevo che il cavo avesse un qualche sistema di bloccaggio: mi sbagliavo.
Torno in fila mugugnando.
Seconda tortura: ancora lo skilift. Conscio del pericolo di cappottarmi all’indietro mi concentro per tenere la schiena diritta, e ci riesco.
Evvai, penso. Dopo due metri mi cappotto. Ma questa volta in avanti: mi piace variare. Il problema è che mi si erano sovrapposti gli sci. Ancora una volta l’impianto si ferma e io mi sposto e mi rimetto in fila, mentre la mia dignità chiede il divorzio.
Il terzo tentativo è quello buono: arrivo in cima e mi libero senza particolari patemi dello skilift, con grande sollievo dei miei ammennicoli, già strizzati dai pantaloni troppo stretti.
Ecco. Adesso giro e sono pronto a scendere.
E vado diritto.
Occhei, ora mi giro e mi posiziono.
E infatti vado diritto.
Porca miseria, ma come si gira?
Mi stampo a quattro di bastoni sulla rete di protezione che delimita la pista. Però almeno mi fermo.
Terza tortura: le curve. “Non ti ho spiegato come si curva? ” mi domanda il carnefice. Cioè mio cugino. La mia risposta mi ha quasi portato ad una scomunica ufficiale da parte della chiesa.
“È facile, basta che sposti il peso del corpo verso la direzione verso cui vuoi svoltare e la curva verrà da sé. Gli sci ti seguiranno. ”, mi spiega.
Proviamo.
Mi avvicino all’inizio pista, tiro un bel respiro e mi lancio.
Però, non è malaccio!
C’è un ostacolo davanti a me: un altro sciatore, che ignaro del pericolo incombente (io) sta zigzagando in beata solitudine. È il momento di curvare e sposto il peso sul lato destro. I miei sci però, per una serie di fottute leggi fisiche o forse animati da una propria coscienza, continuano nella direzione di prima, mentre la parte superiore del mio corpo, quella attaccata al cervello, che nel frattempo sta completando i documenti per l’espatrio, si è pericolosamente inclinata da un lato. A questo punto sarebbero potute accadere solo due cose: o il mio intero corpo subiva una scissione definitiva - gambe da un lato e torso dall’altro - come nei cartoon di Willy il Coyote, oppure il mio corpo nella sua interezza, dopo una piroetta degna di una standing ovation, si spatasciava a pelle di leone sulla neve. Secondo voi che è accaduto?
Bravi.
A titolo di curiosità, faccio anche notare che, pur essendo la neve una materia molto soffice, questa morbidezza va a farsi benedire quando la si impatta in velocità.
Dopo alcune discese terminate a fondo pista in modo non sincronizzato - cioè prima uno sci, poi una bacchetta, poi un guanto, poi una rotula, poi un menisco, poi un paio di metacarpi, ed alla fine quel che resta di me - riesco ad arrivare in fondo in piedi su tutti e due gli sci. E qui arriva l’ultimo problema.
Quarta tortura: la fermata. Avevo nelle orecchie le parole del mio aguzzino. “Puoi fare lo spazzaneve a punte convergenti o divergenti, è lo stesso, oppure fare un piccolo saltello ed atterrare sul bordo degli sci inclinandoti nella direzione opposta al senso di marcia. ” Operare un uomo a cuore aperto con un machete arrugginito sarebbe stato più semplice.
Provo lo spazzaneve a punte convergenti. Ovviamente intreccio gli sci, annodo le gambe, mi arravoglio su me stesso un numero imprecisato di volte ed atterro di faccia nella neve, frenando col naso. Efficace, ma un po’ scomodo.
Spazzaneve a punte divergenti. Non fatelo mai, ragazzi, mai! Gli sci schizzano in due direzioni diametralmente opposte, mi produco in una spaccata che neanche Heather Parisi, dilaniando il senso stesso della mia esistenza mentre gli zebedei intonano il requiem di Mozart, e finisco per terra di schiena, mescolando gli organi interni in nuove ed affascinanti correlazioni.
Saltello sul bordo degli sci. In questo caso non ricordo bene cos’è accaduto. So solo che sono dovuti intervenire gli alpini con i cani sanbernardo per liberarmi dal cumulo di neve nel quale mi ero infilato.
Alla fine della giornata mio cugino mi dice sorridendo: “Però... è stato divertente, no? ”.
Lo sto spedendo anonimamente, un pezzo per volta, alla sua famiglia.
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