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Nina
Nina era una cuccioletta bastarda che mio padre mi regalò, cedendo
alle mie insistenze ed al mio forte desiderio di avere una cane. La mia famiglia
era molto piccola: mio padre, mia madre ed io e la nostra casa era troppo
angusta anche per tre persone. Nel mio egoismo di bambina non prestati troppa
attenzione ai problemi che Nina avrebbe procurato a mia madre. Nessuno di noi
tre riuscì ad educare gli sfinteri di Nina e mia madre doveva pulire in continuazione
i pavimenti. Però anche lei le voleva bene e quando io, consigliata da "esperti"
educatori di cani, la picchiavo o le strofinavo il musetto sul laghetto di pipì che
aveva appena fatto, mia madre la guardava con occhi teneri e diceva: "Povera
bestia". Nina rivelò presto una bella intelligenza ed una grande capacità di affetto.
Se qualcuno dei miei compagni di giochi fingeva di picchiarmi, Nina abbaiava,
mostrava i denti e si lanciava contro l' aggressore. Facevo appena in tempo
a prenderla in braccio e a dirle che era tutto uno scherzo, che l' aggressore
era amico mio ed anche suo. Allora accoglieva, docile, le carezze del nuovo amico.
Se prendevo in braccio la bambina di pochi mesi di nostri amici, Nina si agitava,
abbaiava. Io mi affrettavo a rimettere nelle braccia della madre la bambina,
ma sono sicura che non l' avrebbe mai aggredita. Credo che i cani considerino
i bambini loro parenti.
Dopo pranzo mio padre si sdraiava sul letto per un pisolino e invitava Nina
a distendersi con lui, nel cavo del suo braccio. Questo mia madre non lo tollerava
e se mio padre, prima di addormentarsi, avvertiva i passi di mia madre avvicinarsi
alla stanza da letto, bastava che dicesse: " Nina, arriva la padrona!" perché
questa si precipitasse giù dal letto e vi si nascondesse sotto.
Facevamo lunghe passeggiate a Villa Borghese dove le insegnai a nuotare
in modo spartano: buttandola in una delle tante fontane circolari della Villa.
Nina nuotava verso il bordo della fontana, ne usciva, si scrollava energicamente
l'acqua dal pelo che aveva corto e accoglieva senza rancore le mie carezze.
Aveva il suo bel guinzaglio ed anche un cappottino di lana, molto variopinto,
fatto da me. Ma lei si rifiutò sempre di indossarlo. Lavorando di denti e di zampe,
riusciva sempre a toglierselo. Forse lo riteneva un' offesa alla sua dignità.
Non amava stare sola in casa, voleva sempre seguirci. Qualche volta
andavamo in luoghi lontani che necessitavano del mezzo tranviario.
A quell' epoca, essendo vietato ai cani l' accesso a questo mezzo, avevamo
escogitato un mezzo di trasporto per Nina. Era molto scomodo ma lei lo
accettava pur di venire con noi. Il suo mezzo di trasporto, che era anche
un nascondiglio ad uso del personale tranviario, era il mio vecchio cestino
di vimini di quando andavo all' asilo. Bastava che lo mettessimo a terra, aperto,
e dicessimo a Nina: " Vuoi venire a spasso?" perché lei vi si acciambellasse
dentro, guardandoci con sguardo di assenso e aspettando che lo chiudessimo.
Nina convisse con noi felicemente per qualche anno. Ma in mia madre, alla
fine, la fatica prevalse sull'affetto. Con tono drammatico ci annunciò: " O via lei,
o via io". Mio padre rispose "Lasciaci un giorno per decidere" Mia madre sbarrò
gli occhi carichi di stupore e indignazione. Noi scoppiammo a ridere. " Ma non
hai un minimo di senso umoristico!?" Mio padre trovò una sistemazione per Nina.
Nostri lontani parenti avevano una bellissima villa in Toscana. Dopo alcuni giorni
ci mettemmo in treno con Nina seduta accanto a noi. Evidentemente in treno
i cani erano ammessi, dietro pagamento di regolare biglietto. Quando, arrivati
in villa, Nina, vedendoci allontanarsi, capì di essere abbandonata, mia madre
lesse nei suoi occhi tutto il dolore che le lasciavamo. E pianse.
Il posto era bellissimo. Nina avrebbe potuto scorrazzare liberamente dove voleva,
poteva trovare un compagno e certamente poteva contare su nuovi amici umani.
E invece la perdita del solo affetto che era importante per lei, le scatenò una
forma violenta di bulimia. Ingrassò, si coprì di piaghe, si immalinconì sempre
di più. I nuovi amici umani la portarono dal veterinario che scosse la testa.
Non ci fu altro da fare che abbatterla.
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