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Silentium

Esistono storie che per la loro intrinseca natura possono essere narrate soltanto con parole che assumono significati misteriosi e terribili.
Tale qualità delle parole non è pertanto riconducibile al puro significato delle stesse, al loro suono o alla combinazione delle loro concatenazioni, ma risulta appunto una caratteristica secondaria, derivata dalla essenza profonda della storia che raccontano, indipendentemente dal loro numero, dalla loro foggia o nobiltà. Indissolubilmente legate alla storia le parole vivono tuttavia autonomamente, ricevendo da questa il soffio vitale di mille storie in una sola.
Tale è la vicenda che vado a narrare, pura cronaca della sventura di un animo che solo il caso ha voluto spezzare prima della sua completa realizzazione. Già, perchè se mai esistette uno spirito più vicino alla felicità nella storia del genere umano, quello fu il mio. Unico rampollo di una famiglia non meno nobile che ricca, fin dalla più tenera età educato al disprezzo delle cose divine e alla cinica e spietata cura di quelle umane e quanto mai terrene, vissi libero e spensierato e soprattutto, immune dal germe del rimorso. Utilizzai il titolo e il denaro per salire i gradini sociali senza concedere nulla alla pietà o alla compassione. Distrussi i miei nemici e soggiogai gli amici, senza dare o aspettarmi riconoscenza. Blandendo se necessario, disprezzando sempre, travolsi come un uragano gli ostacoli morali che al più abietto pure talvolta si pongono, elevandomi così al di sopra degli uomini nella ricerca del grado più basso di degenerazione morale e assurgendo pertanto a loro modello.
Non ricorsi mai all'omicidio se non strettamente necessario, troppo volgare e in verità pericoloso mi appariva tale metodo, più vaste e sicure erano le innumerevoli strategie che il semplice ricorso a cavilli burocratici e sapienti corruzioni consentiva di adottare, con risultati spesso di gran lunga superiori. Tuttavia, nel caso dei miei anziani zii, superstiti oltre a me, di una schiatta famosa per il culto dell'eccesso quanto per la brevità della vita, non mi restava altra scelta. L'attesa si era protratta anche troppo, l'assoluta padronanza dei capitali liquidi e la completa gestione delle proprietà mi era indispensabile per la realizzazione dei miei progetti. Una dose appropriata di veleno risolse il problema principale, un vecchio medico di famiglia - scellerato ubriacone più ingenuo che incapace- e il suo certificato di morte naturale, fecero il resto. La strada era aperta, il mio potere crebbe a dismisura, il mio genio non conosceva ostacoli. Più temuto che odiato, divenni il punto di riferimento per qualsiasi genere di affare commerciale e diplomatico che coinvolgesse gli interessi del paese. Inebriato dal successo trascorsi anni felici, ricco di tutto ciò che un uomo può desiderare: potere e gloria. Ma un male oscuro e misterioso mi colpì. E conobbi il terrore.
Ancora oggi nel pensarci, quasi mi fa sorridere il modo assolutamente gratuito con il quale la mia dannazione ebbe inizio; voglio dire, forse non necessario in quel preciso momento, proprio in quell'istante; ma è evidente che misteri insondabili come questo non possono essere svelati.
Fu nel bel mezzo di un concerto, nel corso di un ricevimento del conte du Blois, circa un mese fa. Come al solito il salone delle feste era gremito delle personalità più in vista del momento ed io, comodamente adagiato nella poltrona di velluto verde sistemata nell'angolo opposto a quello dell'orchestra a discreta distanza dal resto della platea, ero immerso nella più pura contemplazione dell'andamento dei miei affari durante la giornata, porgendo purtuttavia graziosamente un orecchio alla musica, sublime in verità, che giungeva dall'estremità della sala. Il mio sguardo vagava tra i mille decori della fine tappezzeria, scivolava tra le sinuosità dei preziosi stucchi del soffitto e scendendo, attraverso i mille riflessi argentei dei fastosi lampadari, si avvolgeva, fantasticando, tra le buffe espressioni degli altri convitati che, in parte seduti e in parte in piedi, seguivano con blando interesse i virtuosismi orchestrali. Notai così, con perfido divertimento la sofferenza del marchese de Banville, visibilmente annoiato e decrepito, il ridicolo contegno della contessa de Beaumont più grassa che simpatica, come sempre, la lievità di sua nipote mademoiselle Delphine, graziosa e maliziosa, che non disdegnò di lanciarmi un'occhiata di traverso, non so definire se più sfacciata che casualmente interrogante, nel rialzare lo sguardo dopo un rapido quanto discreto esame della punta del proprio delizioso piedino. Mi rivolsi quindi verso l'orgoglioso padrone di casa che, ignaro dei nobili vantaggi spirituali dell'arte musicale non era per questo all'oscuro dei più concreti vantaggi pratici che simili ricevimenti potevano offrire alle necessità del suo blasone. Mi trovavo, ormai sarà chiaro, in una di quelle disposizioni di spirito affatto eccezionali, durante le quali il nostro animo cattura avidamente le immagini e i suoni, li elabora e ne ricava emozioni, impressioni e soprattutto ragionamenti, che però non intaccano minimamente la capacità del nostro pensiero di fluire liberamente e ininterrottamente, così da non consentire che riflessione alcuna si fissi e coinvolga totalmente il nostro intelletto. Ero per l'appunto così languidamente impegnato, quando un suono, anzi un rumore come l'esplosione di mille gole di mille demoni urlanti mi lacerò il cervello.

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