racconti » Racconti autobiografici » Ahi che diarrea!
Ahi che diarrea!
Nella mia formazione Universitaria in Italia e soprattutto post Universitaria, specialistica, nell'ambito dell'anestesia, ho imparato a riconoscere e curare la disidratazione, in pratica a correggere la perdita di fluidi corporei come sangue, sudorazione, siero nelle ustioni, vomito e diarrea.
Durante i corsi di medicina tropicale, presso il CUAMM di Padova, prima di partire come medico per l'Africa, era stato dedicato molto tempo delle lezioni alla cura della diarrea. Mi avevano molto affascinato l'approccio, la metodologia per la diagnosi di gravità e la cura di quest’affezione che, oltre ad essere il principale sintomo di tossiinfezioni alimentari e di parassitosi, comuni nei tropici, spesso accompagnava innumerevoli altre malattie come, per esempio, la diffusa malaria.
In Africa, mi era stato ben inculcato, si muore più per la diarrea piuttosto che per la malattia che l'ha provocata.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità, imparai, aveva pianificato delle strategie per la cura della diarrea, in base alla gravità e al luogo in cui questa veniva trattata: ospedale, ambulatorio o villaggio.
Oltre alle strategie mi fu insegnata la corretta terapia da applicare, che mi fu presentata come una delle scoperte scientifiche più straordinarie, più efficaci e più semplici per curare una gran quantità di vite umane, soprattutto i bambini, certamente i più colpiti.
Ero incuriosito, frequentando il corso di medicina tropicale, da questa che mi sembrava un’affermazione esagerata, poiché a parte il colera, potenzialmente mortale, dubitavo che il sintomo diarrea, fosse così pericoloso.
Pensavo ai farmaci antidiarroici come gli antibiotici orali, gli antiperistaltizzanti, le diete e tutto ciò che normalmente un medico prescrive anche il giorno d'oggi al malato diarroico acuto.
Fui molto sorpreso di sapere, invece, che l'Organizzazione Mondiale della Sanità aveva messo all'indice questa terapia e presentava, invece, come cura principale la soluzione reidratante orale.
Se mi avessero detto che quella soluzione orale, anche se con una formulazione leggermente diversa, era simile al famoso Gatorade, avrei capito subito, ma, a quel tempo, quella bevanda, per il reintegro dei sali e dell’acqua, non era ancora molto diffusa fra gli sportivi.
La formulazione di questa soluzione reidratante è data da quantità precise di sali quali il sodio e il potassio e di zuccheri, come il glucosio o il comune saccarosio, che sono aggiunti all'acqua. La soluzione reidratante deve essere bevuta dopo ogni scarica. Quella fornita nelle bustine non è buona come il famoso Gatorade degli sportivi e, come tutte le medicine, è poco gradita, soprattutto ai bambini, perchè lievemente salata.
Mi fu insegnato anche a preparare queste soluzioni, utilizzando il sale da cucina e lo zucchero, misurandoli con cucchiaini o con dei semplici pizzichi, perché in Africa poteva capitare di doverle preparare in assenza delle bustine già confezionate.
Nell'Ospedale di Matany, dove fui mandato, mi accorsi molto presto che il principale farmaco impiegato erano proprio le bustine donate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità: vedendone in abbondanza in Ospedale, mi illudevo, all'inizio della mia esperienza, che non ci fossero proprio problemi per la cura della diarrea, in Karamoja, ma mi sbagliavo di grosso.
Mi sbagliavo non tanto sull'efficacia della soluzione (mi erano bastate, infatti, poche settimane di esperienza in pediatria, per non dubitarne), quanto sul suo utilizzo da parte della popolazione locale.
Anche la mia diarrea, e chi non l'ha avuta in Africa, spaventosa, continua, me la sono curata benissimo, bevendo uno o due bicchieri di soluzione reidratante, dopo ogni scarica.
Ricordo un sabato che passai correndo dalla camera al bagno, tutto il giorno e la notte, e per fortuna che il bagno era proprio dietro la porta!
Ero demoralizzato, non tanto dal fastidio e dai crampi addominali tremendi che mi provocava, quanto dal fatto che il giorno successivo ci saremmo dovuti recare con la squadra di pallavolo dell'Ospedale, di cui ero capitano, presso il capoluogo per un’importante partita.
C’eravamo allenati a lungo ma, sentendomi così prostrato dai dolori e dalle scariche continue, pensavo che mi sarebbe stato impossibile anche solo assistere alla partita, figuriamoci immaginare il viaggio.
Continuavo però a bere la soluzione con costanza.
Mi ero preparato, vicino al letto, delle bottiglie ed un bicchiere e confidavo solo che tutto finisse presto.
Le diarree in Africa sono veramente pesanti e, sfortunatamente, anche frequenti; per questo cercavamo che in casa ci fosse sempre un buon livello d’igiene e grande attenzione nella preparazione degli alimenti.
Quella notte corsi tanto in bagno perché le scariche erano così esplosive che rischiavo di sporcare anche il letto.
Continuai a bere e ad andare in bagno finché alle otto del mattino, apparentemente, tutto finì.
Mi sentivo tutto sommato bene e in forza, nonostante avessi dormito poco, ed ero pensieroso sul da farsi, poiché, dopo alcune ore, sarei dovuto partire con il camion insieme alla squadra. Vari giocatori vennero a trovarmi sia il sabato pomeriggio, quando normalmente facevamo l'allenamento pre- partita, che quella domenica mattina, per consolarmi e, soprattutto, vedere se ero sopravvissuto alla diarrea.
Ero imbarazzato a partire e, magari, a costringere la squadra a varie fermate per correre dietro a qualche cespuglio, ma mi sentivo bene e sentivo che avevo lottato ottimamente contro quell’uragano intestinale che si era abbattuto implacabile e violento.
Il mio ardore sportivo, all'epoca dei fatti, era impressionante e, sebbene le scariche si fossero fermate da sole due ore, montai sul camion, vicino all'autista, con una tanica da 5 litri di soluzione reidratante e uno zaino pieno di carta igienica.
Per fortuna non ebbi più alcun problema e la cosa che mi stupì di più fu la mia tenuta atletica, durante la partita, contro un avversario molto forte.
Perdemmo, ma ero felice lo stesso perché avevo combattuto, sempre, dando il massimo ed ero là, presente, come capitano.
Un giorno, nell'estate 1994, mentre lavoravo nel reparto femminile, mia moglie mi telefonò (era stata allestita da qualche tempo la linea telefonica interna all'Ospedale) per dirmi che nostro figlio Daniele, di due anni e mezzo, aveva la diarrea.
Mi vennero i crampi allo stomaco quando lo vidi sofferente ed ero impressionato dal numero di scariche in una sola ora.
Preparai la soluzione in casa con il camice addosso e gli dissi serio: "Daniele, se bevi e lo farai continuamente, guarirai. Non smettere mai di bere!".
Ero emozionato, vedendo questo piccolo prendere il bicchiere e berlo tutto d'un fiato, senza dire niente. Durante la mattinata feci varie corse in bicicletta a casa per visitare quello che era per me "il solo ammalato dell'Ospedale”.
Mi veniva quasi da piangere vedendolo, con gli occhi allucinati, senza mai lamentarsi, continuare a bere ad ogni scarica.
Lo tenevamo nudo, solo con la canottiera, perché le scariche erano così improvvise che sporcavano tutto; quando dormiva lo adagiavamo soltanto su un telo cerato, nel letto, e nient’altro.
Nel pomeriggio avevo anch'io ripreso più fiducia, vedendolo tenace a bere, e dal reparto telefonavo a casa ogni ora per avere notizie, invece di ritornare come facevo il mattino.
La diarrea di Daniele durò dodici ore, tremenda, intensissima, spaventosa per la frequenza, ma si fermò. Dormì tutta la notte e la mattina lo presi in braccio commosso, felice perché era guarito, anche se quello spavento non l’ho proprio più dimenticato.
In ambulatorio e in pediatria, curavo tutti i giorni i bambini con la diarrea e conoscevo le difficoltà che talvolta bisognava affrontare.
Spesso la diarrea era accompagnata da vomito e questo ci costringeva ad utilizzare più spesso le infusioni endovenose; altre volte il bambino non ne voleva proprio sapere di bere qualcosa di diverso dal latte materno e così eravamo costretti a posizionare, nel naso, un sondino che arrivava fino allo stomaco e ad infondere la soluzione reidratante direttamente nella sonda, altrimenti il bambino l’avrebbe sicuramente sputata o vomitata.
Altre volte erano le mamme ad opporsi alla terapia.
Molte mamme africane ritenevano la soluzione orale reidratante di poco valore, intanto perché regalata ed inoltre distribuita nei villaggi dagli operatori sanitari: una medicina gratuita è poco considerata e convincente. Inoltre molti africani, ma è un pensiero comune anche in Europa, sono convinti che bere acqua durante la diarrea la stimoli ulteriormente. Spesso ci si scontrava con questo tabù e mi toccava rimproverare, ad alta voce, molte mamme diffidenti nell’accettare la terapia o, addirittura ferme nel rifiuto a somministrarla. Alcune, addirittura, sfilavano dal naso dei bambini il sondino perché convinte che la nostra terapia fosse un veleno.
Era una battaglia impegnativa soprattutto quando i bambini ricoverati erano numerosi e avremmo volentieri fatto conto sulla collaborazione delle mamme. Invece, nostro malgrado, dovevamo constatare che il bambino peggiorava, diventando sempre più disidratato.
Qualche volta, nei casi più severi, prima di passare temporaneamente all’infusione endovenosa, urlavo arrabbiato alla madre: "Stai uccidendo tuo figlio in questo modo ".
Qualcuno si chiederà perché tutta questa fatica, tutto questo impegno, quando sarebbe bastato usare un ago in una vena e infondere fluidi rapidamente per questa via endovenosa. Purtroppo nel nostro Ospedale, come del resto nella maggior parte degli Ospedali africani, le soluzioni endovenose, le flebo, sono molto costose e, frequentemente, proprio una rarità.
Il nostro Ospedale se le fabbricava raccogliendo l'acqua piovana dalle grondaie dei tetti, aggiungendo i sali in modo opportuno e sterilizzando infine le bottiglie contenenti le soluzioni, ma la capacità di produzione era molto limitata e spesso cambiavo una flebo passandola da un bambino ad un altro, quando lo trovavo migliorato e potevo a quel punto passare alla via orale.
Non si poteva mai abbassare la guardia, durante questa malattia, perché in poche ore il bambino (e quanti ne ho visti!), dapprima irrequieto, diventava in seguito sonnolento, con gli occhi infossati e la pelle così secca da sembrare quella di un vecchio ormai decrepito.
In queste condizioni critiche, talvolta era difficile per le infermiere, davvero esperte e brave, trovare e incannulare una vena; così, dopo vari tentativi falliti, chiamavano me perché cercassi di risolvere il problema.
Mi sentivo in quel momento importante, indispensabile, e riuscivo sempre a trovare nella piega dell'inguine, o sul collo, una vena profonda, non visibile, che nel mio mestiere di anestesista avevo ben imparato a cercare.
Una volta assicurato l'accesso venoso, eseguivo la puntura lombare per escludere una meningite e mandavo in laboratorio una goccia di sangue per cercare il parassita della malaria, spesso responsabile di quel quadro acuto e grave.
Sebbene la diarrea e le sue tremende complicazioni fossero un’emergenza quotidiana in pediatria, pur meno frequentemente, gravi dissenterie (diarrea con sangue) si presentavano anche negli adulti.
Erano gli ultimi anni '80 quando, anche in Karamoja, arrivarono i primi e in seguito sempre più numerosi casi di AIDS, con i suoi malati dall'aspetto così emaciato, così scavati nel volto e nelle membra e provati da una diarrea cronica, fastidiosa e debilitante.
Venivano a morire in Ospedale per lenire le loro terribili sofferenze, trovare una parola di conforto e qualcuno che si prendesse cura di loro fino alla fine.
Ricordo bene anche una bella ragazza, giovane e florida, entrata per una grave dissenteria, diventata poi molto debole, alla quale prescrissi, come principale cura, la soluzione orale reidratante.
Al centro del reparto c'era sempre, su uno sgabello, una tanica con la soluzione preparata e pronta da bere perché tutti i malati con diarrea potessero facilmente servirsene.
Tutti erano istruiti dagli infermieri sull'importanza della terapia e come utilizzarla, ma, come accadeva spesso, anche i familiari che accompagnavano la ragazza evitarono di somministrarle la bevanda reidratante, per gli stessi motivi che ho raccontato prima. Ben presto la paziente entrò in coma.
Mi fu facile capire, dopo un breve colloquio, tradotto in karimojong dall'infermiere, mentre li fissavo diritti negli occhi con sguardo severo, che in due giorni di ricovero la ragazza non aveva assunto nulla da bere.
Era subentrata un’insufficienza renale acuta, non urinava più da un giorno e il quadro tossico l'aveva portata al coma.
Per tre giorni dovetti reidratarla abbondantemente per via venosa e molte delle flebo preparate in Ospedale furono solo per lei.
Consumai un numero esagerato di fiale di diuretico una volta sicuro di aver somministrato molti litri d’acqua.
Dopo tre giorni, non essendoci miglioramento, i genitori mi chiesero di portarla via dall'Ospedale, sicuramente dal loro stregone. Insistei nel tenerla in reparto ed ottenni, da loro, ancora 24 ore, sicuro che alla fine l'urina sarebbe apparsa dal catetere vescicale.
La ragazza aveva gli occhi gonfi e a malapena li apriva in piccole fessure.
Finalmente l'urina comparve, prima poca e scura poi, via via, sempre più abbondante e chiara.
La ragazza uscì dal coma e, tre giorni dopo, fu capace di alzarsi e andare, accompagnata, in bagno. Fu una vera vittoria ma che fatica, che lotta contro questi genitori così poco cooperativi.
Che difficile convincere i karimojong che quell'acqua della tanica, al centro del reparto, era un salvavita, benefica come l’acqua di Lourdes e non un veleno!
12345
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
1 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- Ho viaggiato per tanti anni in Africa, in medio Oriente e un paio di anni in India e Nepal e posso dirti che contro la dissenteria nulla è più efficace delle prugne umeboshi, presa una intera ferma la perdita di liquidi, ma ha una controindicazione nel fatto che non espellendo le feci i batteri in esse contenuti possono nuocere all'intestino, dunque andrebbero associate a farmaci antibatterici. Ti saluto con simpatia, facendoti gli auguri migliori che mi riesce di immaginare.
- racconto di vita vissuta interessantissimo!... e complimenti per tutte queste cose che sai e hai saputo e voluto fare!
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0