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Per un segreto(seconda parte)
Sono qui per mangiare la tua anima.
Nicholas rimase di pietra. Una reazione impercettibile visto che era già bloccato. Un essere misterioso era apparso in casa sua vestito come la morte rossa di Poe, lo aveva impaurito e imprigionato, e adesso voleva mangiarselo. No, questo non era esatto. Il suo corpo non gli interessava, era l’anima a fargli gola. Già, come se l’anima fosse qualcosa da servire con contorno di funghi trifolati e un vino intenso di buona annata. Non era possibile credere ad una cosa del genere, perché l’anima non esiste, è soltanto una credenza religiosa, tutti i grandi studiosi l’hanno sempre detto. Ma dove diavolo erano adesso le loro dimostrazioni inattaccabili?
Prima, però, ti offrirò un’alternativa.
Il cambio di tonalità della voce gelò Nicholas. Non c’era più traccia dell’impazienza di prima, ed era un brutto segno. Il fantasma parlava con la calma di chi può attendere in eterno, forse rasserenato dal nervosismo della sua vittima designata. A ben pensarci, una nota di sarcasmo si era insinuata in quella voce, come se stesse per dare il via ad un gioco di cui solo lui conosceva le regole, pronto a vincere in scioltezza.
Se mi darai qualcosa dell’identico peso dell’anima, avrai salva la vita.
Uno scambio equo, ecco l’alternativa. Ma chi ha mai messo l’anima su una bilancia? Chi può dire quanto pesa? E anche a saperlo, avrebbe mai potuto liberarsi del fantasma regalandogli un’insalatiera o un completo da sera? No di certo. Sotto quel mantello non c’erano mani in grado di afferrare e una creatura incorporea non avrebbe accettato beni materiali. Dunque occorreva qualcosa di immateriale che bilanciasse il peso dell’anima. Esiste qualcosa di tanto importante?
I ricordi. Certo. La vita di ogni uomo è composta da ricordi, e sono questi a determinarne il valore. Se non hai grandi ricordi hai vissuto una piccola vita, gli diceva spesso suo padre. Pensò alle ginocchia sbucciate di quand’era piccolo, all’ultimo bacio che aveva dato a Sara, a quando aveva vomitato sulle montagne russe… Ricordi. Non avrebbe mai potuto cedere la propria memoria, poiché senza di essa sarebbe morto comunque.
Sei fuori strada, signor Tillinghast.
L’obiezione del fantasma lo sorprese. Non tanto perché voleva dire che poteva leggergli il pensiero, questo era ovvio dato che gli parlava nella mente, quanto perché non immaginava cos’altro potesse avere la stessa importanza dei ricordi.
Il peso dell’anima è identico a quello dei segreti che porti con te. Dammeli tutti, uno per uno, rinuncia a nascondere le tue debolezze, e vivrai ancora dopo questa notte.
Semplice. Una schietta conversazione con un fantasma e nessuno avrebbe pasteggiato con la sua anima. C’era solo da raccontare un po’ di segreti… Già, ma quanti erano i suoi? Quanti, fra piccole debolezze e intime vergogne, era in grado di svelare? Un essere come quello non avrebbe potuto raccontarli a nessuno; riusciva difficile immaginarlo al bar mentre spettegolava con gli amici fantasmi. Eppure Nicholas capì all’istante che non sarebbe stato facile, che avrebbe dovuto fare pulizia in quella soffitta polverosa dove teneva cose tristi, dolorose e imbarazzanti.
Il gioco ebbe inizio.
Sforzandosi di procedere per ordine cronologico ed evitare di tralasciare qualcosa, Nicholas raccontò. Disse di come nascondeva le sigarette nelle bottiglie di vino vuote di cui suo padre faceva collezione, tanto che le sue sigarette al chianti erano le più famose della scuola. Parlò del ragazzino che aveva pestato a sangue e poi pestato ancora per assicurarsi che non ne parlasse in giro. Rivelò menzogne che non ricordava più di aver detto, cattiverie difficili da ammettere e peccatucci veniali in cui ogni essere umano incappa.
Era meravigliato dalla facilità con cui ricordava e ammetteva. Forse il fantasma, oltre a tenerlo fermo e parlargli nella mente, era anche in grado di sciogliere le sue reticenze. Andò avanti per un tempo indefinito e pensò che alla fine avrebbe dovuto chiedere l’anno e il giorno, perché quell’escursione nei propri angoli bui aveva qualcosa di epico, un viaggio omerico in terre ignote e pericolose nell’arco di innumerevoli anni, sperando che gli dei fossero misericordiosi.
Quando giunse alla fine e seppe di non avere altro da raccontare, quando tutti gli scatoloni in soffitta erano stato aperti e lui si sentì sporco della polvere che si era accumulata sui segreti, attese che il fantasma sparisse. Gettò un’occhiata alla finestra e si stupì di trovare lo stesso cielo nuvoloso e la luna nell’identica posizione in cui l’aveva vista quando si era affacciato. Confuso, cercò il bicchiere di scotch con la coda dell’occhio e vide i cubetti di ghiaccio intatti. Lo scorrere impetuoso del tempo che aveva avvertito era stato dunque una sensazione ingannevole, o il tizio in rosso l’aveva tenuto prigioniero in una dimensione senza tempo?
Quando quell’essere aveva fatto la sua comparsa – giorni prima o solo da pochi secondi – Nicholas aveva provato un terrore inimmaginabile, mitigato in seguito dalla possibilità che gli era stata offerta. Ora che aveva dato ciò che gli era stato chiesto, si chiedeva come mai il fantasma fosse ancora seduto di fronte a lui. Perché non lo lasciava andare? Non sapeva accettare la sconfitta o l’equa alternativa era stata soltanto un modo per prendersi gioco di lui? Il fantasma dal mantello rubino avrebbe mangiato lo stesso la sua anima? Nicholas era di nuovo terrorizzato.
L’ultimo segreto, Tillinghast. Rivela l’ultimo segreto o perderai la tua chance di salvezza.
Che storia era questa? Nicholas era certo di non aver nascosto nulla. Non c’era un altro segreto da svelare. Eppure il fantasma sembrava certo che fosse così, che non tutti gli scatoloni erano stati aperti. Dunque, se non era un inganno, ancora un passo andava compiuto per conservare l’anima e la vita. Per quanto si sforzasse, però, Nicholas non riuscì a trovare altro che avesse nascosto a chicchessia.
I segreti sono verità celate, cadute nell’ignoto, e non vi è luogo meglio nascosto che la propria coscienza.
Il suggerimento del fantasma non convinceva del tutto Nicholas, sospettoso perché se davvero teneva ancora un segreto per sé quell’essere avrebbe potuto già dichiararsi vincitore e divorarlo. Invece lo aveva avvertito della dimenticanza dandogli la possibilità di ricordare. Gli sembrava ancora troppo sicuro di sé, certo al cento per cento di poter banchettare con un’anima fresca di giornata. Perché? Forse perché il segreto rimasto era inconfessabile? In ogni caso, se c’era ancora qualcosa di inconfessato e le parole del fantasma erano vere, doveva aver mentito persino a se stesso. Non sapeva da dove cominciare.
Cosa è successo quella sera?
Quella sera. Era una richiesta un po’ vaga, ma il fantasma gli parlava nella mente e conosceva modi per comunicare diversi dalle parole. Capì che la grande ferita che aveva nel cuore stava per riaprirsi. Quella sera. In molti, soprattutto estranei disinteressati, gli avevano chiesto la stessa cosa e la sua risposta era sempre stata identica. Quella era la sera in cui sua moglie era morta.
Non capiva come mai il fantasma lo esortava a parlarne. Era una vicenda fin troppo nota, passata di bocca in bocca, su giornali e riviste, in orribili servizi al telegiornale. Una domanda che si ripeteva uguale ad ogni udienza e adesso lo interrogava ancora. Era tutto tranne che un segreto, dunque il fantasma aveva preso una cantonata e gli chiedeva di rivelare una nota verità. Forse voleva solo fargli del male, punirlo per aver superato la prova.
Dapprima la memoria di Nicholas si oppose, non volendo liberare di nuovo degli incubi a stento repressi, poi esplose come una diga troppo vecchia per reggere oltre. Riapparve l’atmosfera di allora, una sera un po’ nebbiosa ma serena, lui che rientrava a casa e la chiamava senza ricevere risposta, la cercava e in camera da letto la trovava, un cuscino sulla faccia e il corpo senza vita. Aveva sperato fino all’ultimo di poter fare qualcosa per salvarla, fino a che aveva spostato il cuscino e l’aveva vista con gli occhi spalancati e spenti. Lei era morta. Qualcuno era entrato in casa e l’aveva uccisa, non si era mai saputo chi e perché; forse una rapina andata storta.
L’aveva raccontata ancora una volta, quella sera, e con sorpresa scoprì che non faceva più tanto male. La vita andava avanti.
Non fa tanto male perché non è la verità.
Ormai la voce del fantasma sembrava aver sostituito quella della sua coscienza. Ma ora si sbagliava.
Non sbaglio, Tillinghast. Tu hai cancellato parte della verità, dunque menti. Ricostruisci quella sera e svela il segreto. O muori.
Nicholas desiderava liberarsi di quell’essere, stanco della pressione che esercitava sulla sua mente e furioso perché lo accusava di mentire riguardo alla morte di Sara, di nascondere la verità. A volergli credere c’era qualche particolare che aveva rimosso, magari perché doloroso o in apparenza irrilevante. Si era già accusato più di una volta di aver accettato la morte di sua moglie con eccessiva rassegnazione, mentre avrebbe dovuto rovesciare l’universo come un calzino pur di scovare l’assassino. Tuttavia sapeva bene che aveva già fatto il possibile raccontando tutto di quel giorno, della vita di Sara e della sua, e se qualcuno andava accusato era la maledetta polizia che lo aveva lasciato senza risposte. E ora veniva fuori che quelle risposte, magari, ce le aveva lui stesso. Impossibile!
Desiderò di mandar giù il resto dello scotch, massaggiarsi per bene le tempie e chiudere gli occhi fino al mattino successivo, per svegliarsi riposato e ridere di quell’incubo. Essendo bloccato si accontentò di chiudere gli occhi, e senza volerlo davvero ricadde in quella sera, di nuovo… Riapparve l’atmosfera di allora, una sera un po’ nebbiosa ma serena, lui che rientrava a casa e la chiamava senza ricevere risposta, il fruscio inconfondibile del lenzuolo. Nicholas sorrise - aveva deciso di accoglierlo a letto - e si avviò lento nel corridoio. Un borbottio concitato, una voce maschile. Accelerò il passo, sospettoso, temendo di trovare ciò che in effetti trovò. La trovò in camera da letto, intenta ad aiutare un uomo a rivestirsi. Guardò solo lei, accovacciata in capo al letto, mentre l’altro scappava in manica di mutande. Era bellissima, con i lunghi capelli neri che le incorniciavano il viso avvampato per la vergogna e lo sguardo fermo di chi non ha nulla da nascondere. In quell’istante Nicholas capì di averla persa, da molto tempo, senza rendersene conto e si mosse con lucida rapidità gettandovisi addosso e soffocandola con un cuscino. Voleva solo che nessun altro potesse averla, ma si rese conto che la stava uccidendo.
Il fantasma lo fissava dal vuoto del cappuccio, mentre la verità che si era nascosto, senza mai volerlo davvero, si snodava nella sua memoria. Aveva sperato fino all’ultimo di poter fare qualcosa per salvarla, fino a che aveva spostato il cuscino e l’aveva vista con gli occhi spalancati e spenti. Lei era morta. Lui l’aveva ammazzata. Era evidente che ciò che aveva raccontato e a cui aveva creduto non era altro che un lavoro di taglio e cucito operato dal suo inconscio. Avrebbe potuto smascherarlo l’uomo che aveva sorpreso con Sara, ma era ovvio che non desiderava immischiarsi per raccontare la sua avventura e forse rovinarsi la vita. Così la sua non bugia era divenuta una verità acclarata, una toppa che gli aveva permesso di rifarsi una vita, fino a quando quella specie di fantasma del natale si era messo a scavare nella sua coscienza.
Un’ondata di lacrime chiese strada alle sue palpebre e un misto di vergogna e sollievo ebbe la stura dal profondo della sua anima. Ora capiva perché il suo aguzzino aveva spinto tanto per fargli ricordare ciò che era accaduto: gli piaceva giocare. Un sadico passatempo che faceva da antipasto alla portata principale, magari utilizzato con tutte le sue vittime per godere fino in fondo dei difetti di ogni essere umano. Nicholas era stato posto dinanzi ad una scelta: rivelare il segreto e vivere con la terribile consapevolezza di aver distrutto ciò che di più bello c’era nella sua vita, oppure non confessare firmando la propria condanna a morte. Una gran bella scelta, non c’è che dire.
Con quel segreto aveva ripreso la propria esistenza, ma il fantasma gliel’aveva tolto privandolo di una ragione per continuare a vivere. A ben vedere c’era una terza scelta. Il fantasma contava sul fatto che mai avrebbe potuto ammettere un tale delitto. Aveva anche pensato che Nicholas avrebbe potuto nasconderlo di sua volontà, proprio poiché non aveva più nulla per cui vivere? <<Quella sera>>, riprese Nicholas, <<tornai a casa e trovai mia moglie morta.>> Perché vivere? per cosa? <<L’assassino non è mai stato trovato. Non so chi possa aver fatto una cosa del genere.>>
Dal cappuccio si udì ancora il sibilo, il tizio in rosso si mise in piedi e fece alzare anche Nicholas. Stava piangendo come un bambino, ma non un’ombra di paura gli attraversava il volto. Il mantello color rubino si spalancò rivelando un vuoto senza fine eppure pieno di facce. Le grida tuonarono come migliaia di avvoltoi in picchiata sulla preda. Il fantasma avvolse con delicatezza Nicholas nel mantello e quando lo riaprì un corpo privo di vita crollò al suolo.
Così è morto Nicholas Tillinghast, per un segreto.
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- Ancora una volta hai ragione, sagace Bob, la categoria la scelsi del tutto a caso, infatti sarebbe mistero o roba così, ma in fondo le categorie, i generi servono solo ad imbrigliare, e io odio ciò che imbriglia. Sai, era nato tutto dall'idea di una creatura/entità che si ciba di anime e si diverte sadicamente a concedere una falsa scelta, perché sa che l'uomo, per natura, è incapace di essere del tutto sincero, anche a fronte della morte. Le due risposte credo siano giuste entrambe, tra i miei amici c'è stata discussione sull'argomento, ma confermo che i ricordi determinano leggerezza, mentre i segreti fanno da peso. Così credo. Grazie di aver letto il racconto, comunque, e alla prossima.
- ho capito! secondo me l'unico problema di questo racconto è che hai scelto la categoria sbagliata, non è horror è di fantasia, quindi quella lieve insoddisfazione che ho è perchè ero partito con la voglia di avere paura e non me l'ha fatta, però il racconto mi è piaciuto, alla domanda "cosa c'è che pesa come l'anima?" mi ero fermato a pensarci, e non avevo risposte, invece come racconti ce ne sono ben due, i ricordi e i segreti
- Grazie, Stefano, considero attendibile il tuo giudizio proprio perché leggendo quel tuo racconto ho visto che sei appassionato e attento ai particolari. Presto leggerò altro di tuo, per ora ti saluto.

- finalmente ho avuto la possibilità di finire il tuo racconto... e ripeto quanto detto per il primo: ben scritto e molto avvincente, bravo!
grazie anche per il commento al mio racconto... Ciao!

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