racconti » Riflessioni » Il foglio bianco
Il foglio bianco
Me lo immagino, lì seduto alla sua scrivania con la luce del sole che penetra dalla finestra e la sua amante che lo aspetta: la macchina da scrivere. Perché lui non è come gli altri, non si è evoluto, non ha mai voluto accettare il cambio generazionale, il progresso. È rimasto fedele, o per lo meno, legato al passato. La dimostrazione è lì, di fronte ai suoi occhi.
Un dito supera l’altro come se fosse una gara ad ostacoli, ma l’unica difficoltà è data dalla sua mente. Ancora non riesce a superare quel falso limite che chiama «Musa». È convinto che ogni cosa che scrive è dettato da una, come definirla? Entità superiore, la Mente Creatrice. Ha provato più e più volte ad andare avanti. Ha immagino mille luoghi e mille mondi, ma non è mai riuscito ad andare oltre quel bianco scoglio: il foglio.
Un atleta può correre mille kilometri quando è ben allenato. Lui non è un atleta né tanto meno allenato. È un uomo qualunque in cerca di qualcosa che lo faccia uscire dal cerchio della «normalità». E dire che ci ha provato in tanti modi! Nessuno però lo ha gratificato come quella macchina da scrivere. Nessuno è riuscito a dargli alcuna emozione se non lei.
Eppure ora si trova coinvolto in una battaglia con il nemico che lo circonda. «È finita» esclama lasciandosi cadere inerme sul campo di battaglia. Un tonfo e il pavimento sembra vibrare al ricordo di una guerra che non è mai stata combattuta. Fa forza sulle braccia e si rialza. Dà una scossa ai pantaloni, e prendendo con la mano la mascella, scuote anche essa.
«Non va bene. » Come potrebbe andare meglio?
Gira per la stanza. Un lungo avanti-indietro. Se fosse stato un cartone animato avrebbe già consumato il pavimento.
Immagina una grossa ragnatela e un fornitore che vi butta sopra migliaia e migliaia di parole. Magari esistessero fornitori di parole!
Si siede sul letto. Con le mani sul volto guarda il paesaggio fuori dalla finestra. La stanza è isolata, non si sente alcun rumore. A parte i calzini sporchi, non si sente nemmeno un odore. Non si sente nulla. È tutto bianco, tutto vuoto.
Torna alla scrivania e riflette. Potrebbe andare avanti, ma non lo fa, non ne è capace. Non sa cosa scrivere. Se non sai cosa scrivere evita di scrivere. Lui vuole scrivere, la sua mente no.
Apre la finestra. L’aria fresca gli accarezza il volto sporco di barba. Si appoggia con i gomiti sul cornicione e osserva il paesaggio. Grosse colline si estendono lungo il suo paesaggio. Ha pensato più volte di trasferirsi, magari soltanto un viaggio di breve durata. Alcuni scrittori trovano l’ispirazione anche sturando la tazza del cesso.
Chiude la finestra e si butta sul letto. Ormai è diventato un grosso sacco di patate che viene sbatacchiato a destra e manca.
Con la testa sul cuscino guarda in lontananza la macchina da scrivere con dentro il foglio.
Si alza nuovamente per andare alla scrivania. Si siede. Sistema bene la sedia. Corregge la posizione della schiena. Fa stretching con le dita. È pronto. Nessuna idea.
Si sposta dalla sedia, al letto, alla finestra, al pavimento. Potrebbe scrivere di bambini rapiti, di storie di sesso violento, o di entrambe messe insieme. Sarebbe troppo per la sua pseudo morale. In lui vi è un’autocensura su una quantità di argomenti.
«Già è per questo! » e si dà un colpetto sulla fronte. Non è la sua morale il problema.
Apre l’armadietto vicino alla scrivania. Prende una bottiglia e inizia a tracannare. Beve, beve, fino a quando la stanza inizia a ballare. Un valzer senza sosta.
Si butta sul letto. Ora è troppo stanco per scrivere. Dorme.
Quando si sveglia controlla il foglio nella macchina: è ancora bianco. Non capisce. Va a bagno apre il rubinetto, ne fuoriesce un fastidioso rumore per la sua testa. Porta le mani sotto il rubinetto, e come se fossero tanti piccoli aculei, lascia che la gelida acqua gli bagni le mani. Si lava la faccia, il collo. Cerca nel buio dei suoi occhi un asciugamano. Va a tastoni e finalmente trova qualcosa di soffice: è la carta igienica. La fa volare per terra. Trova l’asciugamano e se lo passa sul volto. È soffice, morbido. Se dovesse essere ucciso per asfissia da qualcuno, vorrebbe che avvenisse con quel panno.
Torna a fissare la macchina da scrivere che non produce alcuna parola.
«Una frase, Cristo! » È tempo di imprecazioni, eppure lo dovrebbe sapere che bestemmiare non è come sfregare la lampada di Aladino.
Torna al letto, alla sedia, al pavimento e infine al bagno.
È stanco, stufo, annoiato. Prende un libro, inizia a leggere. Presto lo chiude. Inserisce un DVD nel lettore. Passano alcune decine di minuti e spegne. Tutto lo annoia.
Vorrebbe uscire da quella stanza, non può, non deve. Impreca per una ventina di minuti, poi si stufa anche di quello.
Sedia, bagno, pavimento, letto, sono i suoi soliti movimenti. Manca però la dinamicità delle dita che schiacciano i tasti della macchina da scrivere.
Sbruffa. Apre l’armadietto e prende un’altra bottiglia. Subito la posa per correre in bagno. Ne esce dopo qualche minuto e con qualche succo gastrico in meno.
Si siede per l’ennesima volta alla scrivania. Nulla da fare, tutto bianco.
Apre la finestra e si affaccia. Pensa al suo passato, di quando correva felice per il parco. Subito si desta da quel ricordo, perché non è mai stato in un parco. Un’infanzia difficile la sua, fatta di curiosità e di sofferenza. Chi troppo vuol sapere… Non era mai riuscito a terminare quella frase, figuriamoci mettere insieme frasi per una pagina intera!
Mette le mani in tasca alla ricerca di una sigaretta, peccato che non fumi. Con la finestra aperta si siede sul letto che è a un metro dalla persiana.
Osserva il paesaggio che diventa sempre più scuro, sempre più triste. Il sorriso del sole sta lentamente tramontando dietro le colline.
«Sperando che la sera porti ispirazione…» sbruffa ancora una volta.
Chiude la finestra e si distende per terra. Gli occhi sono rivolti al soffitto che ha un colore nuovo, strano, che non ha mai visto: il bianco.
Bestemmia. Si alza a sedere sulle ginocchia. Fa un po’ di stretching con il collo. Venti minuti di avanti e indietro per la stanza e torna alla scrivania.
Inizia scrivendo: “C’era una volta”. Prende un accendino, che non si sa da dove sia uscito, e dà fuoco a quel foglio. Ne inserisce subito un altro. Ci pensa un po’ su e decide di buttarlo via, senza che vi abbia scritto su alcuna parola.
«Dovrò decidermi a comprare dei fogli colorati, magari gialli o arancioni. Questo bianco mi sta uccidendo. »
Nuovo foglio. Le dita, con velocità frenetica, si abbattono sulla macchina da scrivere come grandine sul raccolto. Una parola, due parole, frasi, periodi.
Di punto in bianco la pagina viene riempita di pallide parole che l’occhio non riesce a vedere. Un ticchettio dopo l’altro, come applausi scroscianti, fa avanzare il foglio sul rullo. Finito!
Toglie il foglio dalla macchina e lo guarda con ammirazione, poi con stupore e infine con incredulità: è ancora bianco.
Le labbra si allargano in un sorriso trionfante. Ha capito tutto. Poggia il foglio sulla scrivana. Apre un cassetto. Fruga un po’ dentro e prende un pennarello nero. Toglie il tappo con la mano sinistra, mentre il pennarello è ben saldo, come una spada, nella mano destra, pronto a scagliarsi contro il foglio nemico. L’odore forte dello spirito gli sale lungo le narici facendogli arricciare il naso. Non basta certo questo per fermalo.
«Ci siamo. » Fiero del suo lavoro, lascia che la punta del pennarello scivoli delicatamente sulla parte inferiore del foglio.
«Ecco fatto. »
Chiude il pennarello con il tappo e lo getta via nel cassetto insieme agli altri.
Alza orgoglioso il foglio, ma su quella pagina si legge soltanto in nero un’unica parola: FINE.
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati

Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0