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Povera, povera, povera Kelli!
Erni sente d'essere un fallito. Affoga il suo vittimismo in abbondanti bicchieri di whisky. Erni non ammette, nemmeno a se stesso, d'essere un alcoolizzato. Quando tossisce potrebbe ubriacare una mucca.
La finestra del suo studio si affaccia su un giardino ben sistemato e fitto, sinistro e sublime allo stesso tempo, ben curato e altrettanto disordinato. Il raziocinio di chi ci passa davanti rimane imbrigliato nello strano magnetismo che esala quel verde tenuto caoticamente ad arte.
Hilla, sua moglie, ne parla con tutte le amiche del Rotary. Quello che chiama Rotary è un salotto qualunque, quando il suo, quando quello di una delle sue amiche. La vasca da bagno la chiama piscina e l'angolo cottura è haute cuisine française.
Affettuoso, sincero e disponibile. Erni. Focoso, virile e sensibile. Erni. Povero Erni, inconsapevole di sé. Sente di essere ineluttabilmente e tragicomicamente un fallito. Oggi è ubriaco di whisky o vodka. Black russian come il grande Lebowski dei fratelli Coen.
Dalle stanze sente i rumori, sarà la donna delle pulizie, pensa. Evidentemente non è solo in casa. In fondo tanto sfigato non è. Se può permettesi la polacca che pulisce e aiuta in casa. Cosa non va in me?
Erni rimugina, mordendosi nervosamente il labbro inferiore. L’idea del suicidio trapela fulminea simile alla pinna di un delfino al largo di un mare leggermente increspato. Un classico colpo di pistola. La pallottola che si arresta nel centro del cervello la sottile insofferenza che scema. Che scemo che è Erni, senza alcuna ombra di dubbio, senza autoironia.
Perché soffre? Perché si sente inadatto. Il mondo che abita non gli appartiene. Il suo studio in penombra si è trasformato in un agghiacciante luogo di tortura e possibile morte.
Erni fa stridere le gambe della sedia sul pavimento tirandola a sé dalla spalliera, un gesto misurato e ineluttabile. Non ripeterà più quel gesto di tirare a sé la sedia, cioè si ammazzerà. Deduce le conseguenze. È ubriaco e la velocità del suo pensiero è un ingorgo da contro-esodo estivo. Si siede. Fissa la finestra e suda. La vista sul giardino caotico e ordinato. È lui, è Erni: una ben vestita confusione. La cultura che si specchia nella natura. Da uomo libero suicida amerai il giardino.
Si tira su le maniche della camicia bianca a righe che gli si è appiccicata alla schiena. Si allenta il nodo della cravatta con la sinistra stirandosi il collo come per allungare via la testa dal tronco.
Il cassettino centrale sotto la scrivania struscia lungo i canaletti laterali di scorrimento risucchiato dal palmo della mano destra umida di bicchiere ghiacciato. L’interno del cassettino promana una gradevole essenza di bosco, una madeleine non commestibile e lapidaria. L’ultima volta è stato tantissimo tempo fa il pretesto era una nobile difesa della famiglia e il pericolo di morire più sopportabile e degno: ladruncoli si erano intrufolati in casa sua nel cuore della notte e lui aveva avuto il fegato di chiudere moglie e figlioletta in camera a chiave e girare per casa con la beretta puntata nella semioscurità pompata dal cuore tenuto paurosamente in sordina nella sospensione del fiato, ma lo scricchiolio del parquet era stato inevitabile e la fuga dei ladruncoli fulminea. Allora aveva temuto per la sua morte e per quella della sua famiglia e per Kelli la badante tutto fare, però era meno nervoso. Da allora non aveva più osato maneggiare la beretta di difesa. Ora la stringe con la mano tremante e teme per la sua vita. Come è potuto accadere? Ecco: il simpatico Erni non accetta i mutamenti le trasformazioni. È un quadrato che incuba ansie da segmenti e punti. Regredire è molto meglio che divenire. Divenire al contrario morire all'inverso svegliarsi nel sonno.
L'adrenalina scorre nelle vene di un corpo saturo di nulla. Smetterla di ricordare e di pensare significa iniziare a finire.
Erni si porta la beretta alla tempia destra mentre fissa, di là della finestra, il volto anonimo degli alberi disarmanti. Il giardino sembra attendere il suo gesto con impassibile naturalezza e nessun albero, evidentemente, gli concederà il lusso di diventare Erni delle Vigne. Nessuno canterà la sua morte, tranne io che sono un cazzone. Il sudore scivola lungo i lineamenti del volto emaciato, gli occhi lucidi abbozzolati dentro occhiaie gonfie, cera lungo una candela di suoni perduti, consumata e dimenticata lì nel porta-bugie dell’anima. L’ultimo centimetro imbalsamato di filo incarbonito. La canna fredda della pistola preme sulla tempia bagnata.
Lunghissimi attimi.
Un colpo improvviso brutale potente. Erni salta dalla sedia, il grilletto scatta e il colpo cilecca. Erni si volta di scatto verso la porta. Il colpo era salito da giù, dalla cucina. È probabile. Non è stata la sua beretta a sparare. Questo è certo. Trema. Ripone l'arma sulla scrivania ormai simile a un campetto di calcio dopo un temporale estivo. Lo sguardo estatico e stupito. Non sono un fantasma, ne sono sicuro. Il cuore calcia sotto il torace e i polmoni pompano aria sollevando e abbassando il mezzo busto visibile dagli alberi lì fuori, se gli alberi avessero un'anima.
Un dilatato silenzio.
Stenta a riprendersi e non capisce che cosa stia accadendo. Ubriaco. Beffato dalla sorte e dall'arma inceppata. L'adrenalina rifluisce e lui sprofonda avvilito nel non so che del disagio per un malriuscito suicidio. Avverte un gemito strozzato in gola e il tonfo di un corpo che cade. O forse se ne rende conto soltanto ora e il corpo è già caduto da un pezzo e il tremito ingollato è stato l'ultimo rantolo onomatopeico che implorava aiuto. Erni è stentoreo nel suo monologo interiore. Anche perché un monologo esteriore o sei un attore o sei un pazzo. Erni né l'uno né l'altro. Erni è il né di ogni possibilità.
Scatta in piedi, allontanando violentemente in dietro la sedia con le giunture anteriori delle ginocchia. Esce via dalla stanza impugnando automaticamente la pistola, inutile gesto di pavloviana premonizione e salvaguardia ulteriore, e va a sporgersi furtivamente dalla cima delle scale. Colto dalla confusione e da un’angoscia catastrofica, si trattiene al pomello del corrimano attorcigliato freddo e scivoloso. Ha la vista annebbiata e dal pianerottolo scorge sagome sfocate. Scende. Barcolla. Ripone la beretta nella tasca anteriore destra del pantalone grigio e classico con la riga in mezzo. Erni non ha i capelli con la riga in mezzo, ci mancherebbe altro. Erni ha solo una riga una vasta piana fronto-temporale. Calvizie androgenetica. Corona occipito-temporale. Via... avete capito: i capelli grigio-bianchi coprivano solo la nuca e le tempie.
Al termine della rampa rimane immobile, con un gamba piegata all'indietro dietro sul gradino e stante con l’altra sul parquet del soggiorno, sostenendosi alla colonna di legno da cui il corrimano fuoriesce come la protuberanza di un larice colpito da parassiti.
Una scena orribile irrompe nel suo campo visivo e lo pietrifica, ma la bocca gli si apre meccanicamente mentre cerca di sgranare gli occhi e incredulo oscilla la testa in giro come a cercare la spiegazione, co…co…cos’è successo? Balbetta con voce strozzata all'indirizzo della moglie, reggendosi ancora al pomello attorcigliato del corrimano, per farsi forza mentre l'altro piede ha abbandonato l'ultimo gradino e anche l'altra mano scivola dietro la schiena a stringere il bitorzolo in legno della scala poco più in alto del coccige per non doversene staccare: Hilla è seduta in punta sul divano del soggiorno e piange con la testa stretta tra le braccia. Nemmeno lei si capacita di quello che è appena successo. Non si volta a guadare il marito. Piagnucola. Ci sono degli estranei in cucina. La porta dell’ingresso è spalancata.
Erni non riesce a capire cosa sta succedendo, ha la vista sfocata dall’alcool, e la sua tracotanza visionaria lo confonde. Pensa di essere all’inferno, o qualcosa del genere: sono morto! pensa, perché nessuno sembra accorgersi della sua presenza. Si porta al centro della stanza, davanti alla porta. Come se guardare fuori possa lenire il suo delirio o risvegliarlo. Sì... perché lui è svenuto e la pistola non ha fatto cilecca e forse è pure morto. Sente le folate gelide colpirlo in pieno volto.
Lì fuori sono due volanti della polizia, il blu e il rosso dei lampeggianti scivolano girando sulle pareti della stanza e tra i fasci d’alberi; c’è anche un carro funebre con i portelli anteriori spalancati.
Erni è sconvolto da un senso panico e cinematografico, profondamente familiare e catodico.
Lo spazio verde del giardino è protetto dal nastro di plastica vibratile a losanghe bianche e rosse, sibilando intorno all’ingresso della casa, argine alla morbosa curiosità dei vicini e dei passanti, risucchiati come mosche dalle solite tragedie familiari. Il numero di occhi curiosi aumentano davanti la casa di Erni, il mormorio si trasforma in clangore, alcuni passano lì davanti per caso, altri sanno già dell’accaduto: si parla di omicidio nella tranquilla casa di Erni ed Hilla.
Un uomo in divisa esce dalla cucina, dietro di lui sua figlia. È ammanettata e tra due poliziotti. Non sembra impaurita. Erni vorrebbe scattare sul poliziotto e fermarlo ma lo sguardo lo fulmina: non complichi le cose. Stranamente i poliziotti s'accorgono di lui. Non è morto, dunque. Forse. Erni si sposta dall'uscio quasi barcollando e sua figlia prosegue oltre nel giardino, sguardo fiero, dritto davanti a sé. La bimba si arresta e si volta verso Erni: volevo ammazzare te, babbo... ma così avresti finito di pensare e di rimuginare. Ma come hai potuto? Le chiede Erni.
Io ero già morta. Sono morta quella sera quando sei tornato ubriaco e volevi giocare... con me. Ho ammazzato Kelli per punire te. Del resto lo dicevi sempre che è solo una polacca. Non sei fiero di aver stuprato una figlia razzista come te? Io non conto nulla, le donne non contano nulla. Starò meglio in carcere. Fidati. Sorride sarcastica e maligna.
I due poliziotti che la piantonano si scambiano un sorriso complice e scuotono il capo divertiti poi proseguono fuori verso una delle macchine parcheggiate nel giardino oltre il nastro biancorossobiancorossobiancorosso etc.
Erni corre in cucina. È una scena terribile quella che invade il suo spazio visivo sfocato. Uno sguardo tremendo che lo fa caracollare per terra nel buio più nero di una notte nera in una strada senza lampioni su una montagna in una notte senza luna. Quando Erni riapre gli occhi, sbattendoli per riadagiarli alla razionalità crudele, Erni è lì che fissa il cadavere di Kelli. Il suo volto è sporco di sangue e il cranio è sfondato da una pallottola. La testa del cadavere è ripiegata di lato, e un rigagnolo di sangue sta scorrendo tra le doghe del parquet, gonfiando una pozzanghera nera che sta dilatandosi a vista d'occhio sotto il lenzuolo candido che copre il cadavere.
Erni sviene una seconda volta. Nessuno sembra accorgersene, nemmeno allora. Eppure sua figlia gli ha risposto. Eppure il poliziotto ha reagito. E forse non sviene nemmeno. Mancamenti oscurati dagli automatismi inconsci. Solleva un lembo del lenzuolo. Osserva il volto e più osserva quel volto più quel volto non è quello di Kelli. Osserva il volto e più osserva il volto e quel volto sfuma. Come quando ripeti una parola fino a renderla priva di senso.
Il volto non sembra essere quello di Kelli. È suo quel volto. Erni sta sognando. Erni è un fantasma. Erni ha solo immaginato di abusare della sua bimba. Erni sta pagando lo scotto della sua codardia. Erni sarebbe dovuto morire veramente. Ma Erni non è vivo. Erni, ma che diavolo succede?
Il corpo di Erni viene composto nella bara di metallo. Uomini dalle mani nerborute ma molto delicate, lo adagiano nel fondo morbido della cassa.
Erni tenta di scappare, di divincolarsi; è costretto da una forza maggiore, i movimenti sono impossibili. Erni devastato, costretto nel corpo e nella mente, il torpore insopportabile di psicofarmaci pervasivi che invade le membra, l’anestetico cosciente comincia a non fare effetto. Il corpo è deposto nella cassa lugubre con candida dimestichezza, i necrofori saldano il coperchio con sinistra precisione. Le scariche elettriche del saldatore illuminano l'ambiente con foulard argentei di puntigliosa macabra inconsapevolezza, mandando violenti flash intermittenti di morte raggelante sui volti dei vivi scavati di stupore. Un morto vivo barocco e retorico. Ombre spettrali piroettano nella stanza, lingue di luce salgono lungo le pareti dai battiscopa in lampi fino al soffitto. Erni strepita come un demonio chiedendo aiuto a Hilla, seduta accanto alla sua bimba, costernata. Erni strepita inutilmente mentre Kelli rientra nella cucina bianca come un lenzuolo. Erni vede tutto. Erni vede la sua morte apparente costretta dentro l'oltretomba eterno. Kelli ha gli occhi grami di stanchezza e scioccati e gonfi di lacrime, le mani premute sulla bocca. Kelli indossa l'abito nobile dell'aiuto famiglia è il sostegno che non può più piangere ora. Kelli è lei la disposizione ad agire, la protesi sociale di un'orfana e della giovane vedova dai biondi capelli e gli occhi vacui.
Kelli non è morta. Erni è frastornato, non comprende cosa gli sia occorso. Vaga come uno spettro impazzito nella stanza. Scuote fasce muscolari dentro il vano mortuario dell'oltretomba.
Scaglia la sua umbratile fermezza il suo attaccamento alla vita addosso alle quattro figure di uomini per fermare il trasbordo della cassa all’esterno per sistemarla nel vano anteriore del carro funebre destinazione oltretomba. Erni nessuno ascolta nessuno ha mai ascoltato.
Erni posa la sua mano le dita sull'avambraccio esile di Hilla, delicato. Erni teme di farle male, la fissa con disperazione, disincanto forse. Ma lei rimane immobile e trapassa smarrita lo sguardo carico di morte di Erni. Nemmeno la figlia. Nemmeno Kelli. Non avvertono la sua presenza. Racconto o non racconto. Ubriachezza per ubriachezza. Allucinazione e visione. Erni è morto.
Erni è dilaniato da un panico, da uno smarrimento, mai provati prima. Si lascia cadere sul tappeto con le ginocchia, implorante ai piedi di Hilla. Erni la stringe come un trans-Maddalena ai piedi di Cristo nostra Signora.
I quattro uomini hanno collocato la bara all’interno del carro funebre e richiuso il portello posteriore. Erni traguarda attraverso il vetro del feretro senza percepire il riflesso del suo volto. Precipita anche l’angoscia, è orribile, è incredibile, sembra un racconto di E. A. Poe, fuorché lo stile e il nome del cazzone che ha deciso di scriverne la situazione in scriteriate notti dopo cene ai tempi delle autobiografie drogate. Il fiato gonfio non appanna il vetro. Erni è ancora sbronzo, confuso, completamente in preda al terrore e non è Uma Thurman in cerca di Bill. Si allontana agghiacciato dal suo feretro e rientra in casa, fugge su per le scale al piano di sopra, come un animale braccato senza via d’uscita, un cavia alla quale sia stato inoculato LSD. Grida e ride istericamente insieme ombra e sangue e ricordo e termine corsa. Il cazzone che sono rimaneggia sempre e tutto viene obliterato nel viaggio di ritorno.
Erni barcolla e rovina al primo gradino.
Non capisce quale direzione prendere, si muove disorganizzato e spinto da un profondo disordine psichico. Disorientato come uno sciame di api in avvisaglie di radon. Balene in tempeste magnetiche. Uccelli in stormi stornellati tra gli alberi voltaici attorno alla stazione e le capovolte sensazioni spostate dalle masse del vento. Ombre eterne senza psiche o perennemente instabili. Si rialza. Scivola e cade di nuovo. Urta lo spigolo di marmo, ma non prova alcun significativo eloquente dolore. È sudato, il volto bagnato e un filo sottile di sangue sgorga dalla bocca. Ricade svenuto. Sudore finto. Sangue virtuale. Miracolo dell'oltremondo. Pleonastico, lo so. Un cazzone pleonastico.
Avverte il pavimento freddo sotto le guance. Una sensazione. Si riprende. Dunque non può essere morto: sanguina, suda, sente il dolore e la follia travolgergli la mente, percepisce il marmo freddo sotto la pelle, no, non può essere morto se avverte certe sensazioni elementari. Forse i morti sono dei vivi invisibili che provano dolore attraverso il ricordo. È importante lasciarsi cadere. Lasciarsi precipitare. Inabissarsi. Ma Erni non è Klein e il cazzone non è Hesse. La situazione traballa sferraglia è un treno che gongola nelle retrovie del pensiero.
Si rialza. Trema dalla paura, ma è completamente lucido, ora. Arranca su per la rampa di scale afferrandosi al corrimano. Dall’alto del pianerottolo intercetta la sua figlioletta, Hilla e Kelli, stringe la mano attorno al pomello attorcigliato del corrimano. C’è un via vai di estranei, vicini, amici. Erni è morto. Gli occhi stretti la fronte aggrottata. La regressione spazio-temporale.
Erni ritrova un assurdo stato di quiete e ritorna nel suo studio.
Può essere vero? È un segno? Erni è un fallito, d’accordo, ma non un pazzo. O il contrario? Trema. Ripone la beretta sulla superficie del tavolo. La beretta era nella tasca anteriore dei pantaloni con la riga. Ma allora ero già morto! pensa. Suda freddo. Era morto, già, morto prima di suicidarsi. Beve l’ultimo sorso di whisky annacquato tutto di un fiato e il bicchiere lascia un cerchio nel grano marrone della scrivania ormai sempre più simbolica. Poi si porta la canna della pistola alla tempia destra e spara un colpo. Tanto è già morto!
Cade rovinosamente per terra dal lato opposto. Rimane privo di coscienza per alcuni minuti, almeno così gli pare. La pallottola ha attraversato indenne il cervello da parte a parte.
Passano i primi alcuni minuti. Erni rotola nel teatro della sua signora dei Turchi e il cazzone vorrebbe prendere congedo dalla storia con tratti capi e troppe code. Ormai il racconto è al suo inevitabile inizio. Passano alcuni minuti.
Passano alcuni altri minuti.
Erni si sveglia di soprassalto udendo urla strazianti e voci familiari affrante. Il corpo che ha creduto di vedere poco prima, quando era preda dell’alcool, era solo frutto di una visione prospettica del suo fallimento anche nel tentare un suicidio e della soluzione che lo giustifica. Non era il suo corpo. Ma prima non lo aveva capito. Fallire il tentativo di porre fine ai propri fallimenti non può che essere logica conseguenza fallimentare del proprio grossolano vincolato arbitrio nevrotico.
Ora invece…
Chi è?
Avverte un brusio, e piagnistei di anziane signore.
Chi è?
Erni all’improvviso sente una voce familiare provenire dall’alto e ripetere cantilenante il nome di Hilla. La ode sempre più distintamente: è la voce di un uomo. Se la sente salire da dentro però. È sicuro, allo stesso tempo, che la fonte del suono provenga da un altro corpo… ma cosa è il suo corpo, allora, in quel momento?
Rotta dalla commozione, ma profonda e docile: la voce non è completamente sua. È come ascoltare un crudele feedback di noi stessi, medita, mentre attraversiamo stati a metà strada tra la vita e la morte, una sottile catena di suoni che fuoriesce e rientra dallo stesso corpo amplificando senso di sicurezza e disagio, familiarità e orrore, razionalità e sogno. Essere e non essere. Bipartisan sensoriale.
Erni cerca di spalancare gli occhi senza riuscirvi. Ma allora, sono veramente morto! sussurra a denti stretti nello spasmo agonizzante di chi sta per venire allo stocastico dunque del mondo.
Certo! pensa di essere morto... e riprova le sensazioni di quando cercava di opporsi ai necrofori che lo caricavano via sul carro funebre.
A un tratto distingue definitivamente anche la tonalità della propria voce. È proprio la sua, è quella di Erni, Erni è vivo! Sì… è proprio vivo.
Hilla piange stretta tra le sue stesse braccia, cercando di dare coraggio alla piccola presunta orfana abusata, mentre il feretro viene trasbordato via e i necrofori si scambiano occhiate incuriosite, vacillando leggermente sotto il peso dell’anziana defunta Kelli, un po' divertiti. Immunizzati. Anestetizzati. Percepiscono l'estetica e il comico della morte nelle sopravvivenze.
Povera, povera, povera Kelli!, prende a ripetere sommessa e accorata la vecchia amica Lilli dagli occhi chiari e buoni, segnandosi con la croce in punta di pollice la fronte rugosa mentre vede il carro funebre lasciare il giardino, seguito dalla vettura guidata da Erni e la signora Hilla. La bimba è rimasta seduta, buona buona sul divano. Abbozza un sorriso alle spalle di Lilli ferma sull'uscio.
Povera, povera, povera Kelli!
La bimba è rimasta seduta poggiata al bracciolo del divano in soggiorno. Vestita come una moderna Alice meravigliosa. Tende il braccio mentre Lilli lacrime e guance cadenti ha richiuso la porta. La bimba bionda di quasi dieci anni con il cerchietto rosa alla testa tende il braccio a indicare quello che sarà il punto tra gli occhi dell'anziana cara Lilli quando si volterà. La cara anziana Lilli si volta mansueta gli occhi caldi di lacrime e la bimba col nasino all'insù e i grandi occhi neri sembra indicare con il braccio teso e un sguardo fiero un punto al centro degli occhi di Lilli e Lilli...
e la piccola vestita da quasi bambola tenera tende il braccio e sorride e il braccio sinistro è poggiato al bracciolo e la mano destra impugna la beretta di babbo e Lilli trema ma è comprensiva e la piccola quasi ride, denti bianchi e bocca piccolina. Poi spara.
Povera, povera, povera Lilli.
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- le prime due pagine mi hanno intrigato e il personaggio è ben costruito, di solito non leggo questo genere, ma complimenti...
- e quindi?
- Scusa se mi permetto di commentare il tuo scritto senza neanche averlo letto. Ma il titolo mi ricorda un mio cane, ucciso.
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