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Café Jan Neruda

Praha, Novembre 1989

Mi piace venire a rifugiarmi qui, vicino a Vyšehrad, nei luoghi delle mie origini, lontano dalla Grande Storia e dai palazzi che esibisco pochi chilometri più a nord di qui, là dove la Moldava è stata incoronata dalle impareggiabili arcate del Ponte Carlo, e dove domina l’altro castello, quello che tutti conoscono. Qui ritrovo la mia antica magia. È una magia selvatica, a tratti animale, che mi ha resa capace di conoscere, se lo voglio, ogni particolare della vita, ed ogni più recondito pensiero, di chi riesce a stuzzicare la mia curiosità. È una magia che funziona poco in questo mondo frenetico e triste. Sempre meno cuori credono nelle favole, e vorrei davvero che finisse bene, come le fiabe, questa storia che comincia da molto lontano, da un’epoca in cui il Café Jan Neruda aveva ancora l’aspetto e la grazia di una casa di bambole, con tanto di tovagliette ricamate e fiori sui tavolini.

Lì, nel Giugno del 1929, si incontrarono Alena Vávrová, e Sandro Biagi. Lei era molto bella, anche se aveva assassinato le sue chiome color miele bruno con un terrificante taglio alla garconne. Lui era un giovane studioso di storia dell’arte, e si trovava a Praga da due mesi, per una ricerca sulla pittura boema minore del XIX secolo.
Alena notò l’aspetto fascinosamente latino di lui. Sandro intercettò l’occhiata di lei, e, con italica prontezza, attraversò la sala, esordi, in un ceco quasi perfetto, con un
- Lei permette, signorina? –,
e si sedette di fronte alla ragazza. Lei permise, e, da quel giorno, non si separarono mai più.

Praha, Agosto 1979

La palazzina Liberty dove si trova il Café Jan Neruda non è più color avorio. Decenni di riscaldamento a carbone hanno stratificato sulla facciata una tinta grigio sporco. Forse non sono l’unica città al mondo alla quale questa tonalità si addice, ma mi piace crederlo, se non altro per cacciare la malinconia che mi pervade ogni volta che ripasso di qui.
Anche oggi sto per distogliere lo sguardo da quella fila di case bigie, ma noto, all’ultimo momento, una figura femminile che sta entrando nel locale.

Ho già visto capelli simili. Hanno il colore ed i riflessi di quel miele scuro, a volte quasi nero, che le api dei boschi ci donano dall’alba dei tempi, una tinta impossibile da copiare, per quanti intrugli si provino a mescolare per ottenerla.
Ho già visto fiori simili. La ragazza tiene, con entrambe le mani, un vaso di cristallo leggero come un soffio. Nel vaso, una rosa bianca, una rossa, ed una giallo pallido.
So che lei ha vent’anni, e che il suo nome è Alena, lo stesso di sua nonna materna. So perché lei si trova qui.

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3 commenti:

  • IGNAZIO AMICO il 10/10/2009 00:21
    Avvincente e scritto molto bene
  • Anonimo il 06/08/2009 09:41
    bellissimo e ben scritto
  • Anonimo il 06/08/2009 08:16
    bel racconto. se dovessi trovargli un difetto direi che è quasi troppo intenso... ma forse è giusto così. complimenti per la pubblicazione.

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