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Nel mio buio

Sono in camera nel mio buio, quel buio familiare ed inquietante di sempre.
Sono chiusa in quel buio che mi piace sentire addosso, in quel buio la cui prigione mi abbraccia e mi accarezza dolcemente e prepotentemente.
Il computer è acceso pronto ad accogliere i suoni che gli descrivo con le dita.
Le mie mani sono in penombra come figlie dell’oscurità e della luce azzurra riflessa dallo schermo del monitor.
Nei vari angoli della stanza abbandonati ci sono i cadaveri delle ombre di peluche orfani.
Dalla finestra aperta arrivano rumori silenziosi che partono e fuggono o tornano a casa.
Rumori di motori: auto e moto parcheggiate, musica a tutto volume dove gli autisti perdono la propria mente imbevuta di birra.
Altri suoni provengono come bimbi che giocano o che vanno in bicicletta, che corrono e che ridono.
Sento le loro voci, le chiacchiere senza sosta delle pettegole del paese sedute al solito punto del muretto.
Un bimbo piccolo, forse di un anno, ha appena pianto.
Avrà per caso visto un gatto randagio e avrà avuto voglia di prenderlo e portarlo a casa.
In cucina c’è ancora rumore di piatti.
Le lacrime di mia madre puliscono le delusioni della giornata.
La tv è accesa in sala.
Mio padre si perde in quelle immagini piene di colore finché la sua emicrania non si fa sentire e lo costringe ad alzarsi da quello scomodo divano.
Si alza, cammina, si siede, si alza di nuovo, passeggia calpestando le mattonelle del pavimento, appoggia il capo sulla propria mano e sembra sorreggere in uno sforzo sovrumano il mondo intero.
Mal di testa che si insinua nelle vene e nelle arterie, forse a causa di quello stress che arriva senza che ce ne accorgiamo oppure a causa di quella maledetta sinusite che lo avvinghia ogni giorno.
Sento i suoi passi: su e giù per il corridoio come un’anima in pena.
L’aria e il vento, il cielo e le nuvole, fuori al balcone: sono l’unica via di uscita.
Non resta che sedersi su quelle sedie di plastica per guardare la luna coperta dal palazzo di fronte.
La piazza è illuminata dai lampioni pallidi inclinati come colli di giraffa.
I pipistrelli ciechi volano attorno a quella luce bianca.
Non parlano… Stasera non mi parlano.
Sono troppo occupati a procurarsi una prelibata cena a base di zanzare.
Anche le piccole falene, anch’esse cieche, sbattono le loro piccole ali attorno a quella luce ipnotica.
Anche loro saranno mangiate… Divorate come squisiti manicaretti, gustate come sublimi bocconcini. Spariranno come polvere, come spariscono le fate nei sogni quando si smette di credere nelle favole. E di esse cosa rimarrà: solo il ricordo leggiadro delle loro ali sottili, solo il disegno infantile dei loro grigi e argentei colori, solo la loro delicatezza incantevole come una magia, fragile come carta velina.

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2 commenti:

  • Vincenzo Mottola il 17/10/2009 12:12
    ... mmm... bella visione lucida, coinvolgente, piacevole ed un po' angosciante. Però tutti quei pronomi possessivi... troppi, davvero troppi, alcuni a sproposito. Togliendone alcuni vedrai che la narrazione scivolerà meglio, come pioggia su rocce levigate. Comunque brava, mi è piaciuto.
  • Stefano Galbiati il 13/10/2009 13:15
    racconto semplicemente bellissimo... una descrizione molto attenta ai particolari (anche i più piccoli) e una scrittura scorrevole. se devo essere sincero le prime due frasi non mi avevano fatto una grande impressione, forse perchè avevi ripetuto buio quattro volte (anche se penso tu l'abbia fatto di proposito). poi però ho dovuto ricredermi e il finale è splendido... non so se questo sia il tuo primo racconto o meno (non ho ancora visitato il tuo profilo) ma penso hai una grande capacità; riesci ad evocare alla perfezione immagini e sensazioni con poche parole.
    Ciao e scusa se mi sono un po' dilungato!
    stefano

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