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Garibaldi
L'acqua scorreva placida trasportando sulla sua superficie un'infinità di semi lanuginosi che la primavera inoltrata liberava sulla città, ancora una volta, abbandonandoli al loro destino.
Lunghe lenze sprofondavano oltre la superficie, trattenute dai galleggianti che ti tanto in tanto liberavano dalla propria circonferenza piccoli anelli concentrici, piccoli fremiti scuotevano quei sugheri variopinti variandone l'angolo d'inclinazione.
Anziani pensionati reggevano quelle canne, perdendosi forse in quei rivoli concentrici che prendevano il largo traspostati dalla corrente, dolcemente, come i ricordi.
Ogni tanto il tram sferragliava alle loro spalle, la lenza allora poteva aspettare, e volgevano lo sguardo in direzione delle uscite del convoglio, nella speranza di scorgere qualche viso famigliare, qualche amico perditempo da invischiare in discussioni strampalate, poi stanchi dell'immobilità dell'esca recuperavano la lenza, lentamente e controllavano le condizioni del verme, ormai disperato per la prolungata apnea.
In lontananza, dove il sole sparisce tutte le sere, e i binari del tram fuggono lontano, una vecchia bicicletta trascinava sul marciapiede eroso dalla strada un omino buffo, tutto naso e smorfie, lo chiamavano "Garibaldi", perché si chiamasse così, noi ragazzi non lo sapevamo davvero, ma un nome altisonante per un personaggio così modesto, creava un divertente e forse un po' cinico contrasto.
Garibaldi e la sua bicicletta, inseparabili compagni di strada, forse dormivano insieme, spesso, quando il tasso alcolico nelle sue vene saliva alle stelle, l'amata ferraglia fungeva da sostegno semovente, quando aveva la percezione di non essere in condizioni idonee per montare in sella, si appoggiava ad essa e si lasciava condurre a casa.
Di sicuro per lui quella benedetta bicicletta, è proprio il caso di dirlo, rappresentava una specie d'ossessione che per poco non gli costò la scomunica.
La forma più smagliante la sfoggiava solitamente di mattino, dopo aver smaltito la sbornia della sera precedente, allora, eretto sulla sella come un provetto ciclista e un cappellino da imbianchino con la visiera all'indietro, zigzagava fra i malcapitati passanti guadagnandosi pittoreschi improperi.
Viveva arrangiandosi in qualche modo, ungendo i binari delle saracinesche e beveva, questo si, ormai gli bastava poco, poche dita di bianco nettare trangugiato in fretta, giù per la gola, avidamente, come fosse un antidoto contro la vita.
Veniva spesso nel bar dove prendevo il primo caffè della mattinata, prima di recarmi al lavoro,
Quando un pomeriggio lo vidi entrare all'interno del locale, reggendo la sua amata bicicletta, così, come se portasse al seguito una borsa! appoggiandola a se davanti al bancone.
Vi fu un momento di pausa, gli occhi dei presenti si voltarono nella sua direzione, una scena davvero irreale, le carte da scopa sospese a mezz'aria, i bicchieri ad un palmo da quelle bocche, anch'esse assetate, l'omino buffo ci guardava con aria di sfida ridacchiando tra se.
Vi fu un comico parapiglia tra il padrone del locale che tentava di strattonare fuori del locale la bicicletta, afferrandola per la canna e la tenace resistenza di Garibaldi, ma la cosa più buffa era l'espressione dell'omino che ostentava un'aria seria, come se stesse subendo un sopruso bello e buono, questi si aiutava tenendo i freni della bicicletta serrati, nel tentativo di non perdere nemmeno un centimetro! ormai la situazione era sfuggita di mano al padrone del locale, Garibaldi ancorato alla sua bicicletta, tenace e risoluto, la maggior parte dei presenti piegati in due dalle risa a crepapelle, le carte da gioco abbandonate e i cerchi di vino sui tavoli forse erano le uniche cose immobili in quel sussulto comico e incontrollabile, persino il padrone del locale ormai appoggiato alla bicicletta non riusciva più a sollevare il capo, rideva sconsolatamente, incapace d'ogni reazione.
Alla fine riuscì a convincerlo, non con la forza s'intende, ma promettendogli un bicchiere di dolce nettare, era l'unico argomento convincente! così l'amato bene fu parcheggiato all'esterno, ben in vista, questi erano i patti.
Trangugiata la sua razione e forse molto di più, l'omino buffo uscì dal locale, con un'andatura non proprio rettilinea, attraversò la via che separava il locale dal ponte di S. Cristoforo e tentò l'attraversamento del ponte sul naviglio, una ventina di gradini ripidi lo separavano dalla sommità del ponte e da lì altrettanti fino a giungere davanti alla chiesa.
Fu un'impresa, Garibaldi tentava di spingere la bicicletta e questa, per quanti sforzi facesse ritornava sui suoi passi, non ne voleva sapere proprio di attraversare il ponte poi, alla fine aiutandosi con il corrimano finalmente raggiunse la sommità.
La scena si svolgeva a circa una quindicina di metri dal locale, ormai gran parte di noi era sulla strada a godersi la scena.
Ora giunto sulla sommità l'omino reggeva la sua bicicletta con una mano e scrutava l'orizzonte come un capitano sul ponte della nave, in realtà prendeva fiato, la discesa non sarebbe stata più facile! Lo vedemmo sparire oltre la sommità del ponte, poi dopo interminabili minuti rispuntò dall'altra parte, visibilmente affaticato, sembrava che tutto fosse finito e che la bicicletta e il suo padrone prendessero la strada di casa, ma non fu così.
Cosa balenò in quella mente, in quel momento nessuno riuscì a capirlo, Garibaldi nell'atto probabilmente di prendere la strada di casa, si fermò davanti alla chiesa, di solito tirava diritto,
lo vedemmo osservare la propria ferraglia e subito dopo lo sguardo si fissava in direzione dell'entrata della chiesa.
Si avvicinò all'entrata, appoggiò la bicicletta al muro aggiustandola per bene in modo che fosse stabile e incredibilmente entrò nella chiesa!
Non sapevamo più cosa pensare, forse una tardiva conversione, l'alcool a volte gioca brutti scherzi!
Varcò la soglia, dimidamente, reggendo in mano il suo fazzoletto multicolore, immaginammo l'espressione del parroco incredula davanti ad un'altra pecorella smarrita.
Rispuntò dopo una manciata di secondi reggendo il fazzoletto grondante d'acqua e cominciò a pulire la sua bicicletta, con l'acqua benedetta della chiesa!
Sopraggiunse il parroco, da lontano non riuscivamo a capire le parole ma i gesti erano eloquenti!
Il prete era di grande statura, corpulento e sovrastava sicuramente quell'omino, che per nulla intimorito continuava le sue operazioni di pulizia, vedemmo il braccio del prete sollevato minacciosamente verso il cielo con il dito indice puntato ad indicare chissà quali punizioni celesti.
L'alterco dopo un po' si spense, il parroco rientrò in chiesa e Garibaldi s'infilò il fazzoletto multicolore in tasca, montò sulla sua bici benedetta e si allontanò.
Dove il sole sparisce tutte le sere, e i binari del tram fuggono lontano, una vecchia bicicletta trascinava sul marciapiede eroso dalla strada un omino buffo, tutto naso e smorfie.
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