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Olga
Era una sera come tante altre, Carlo si accingeva a prepararsi con stanca meticolosità all'appuntamento. Aveva ricevuto un invito da amici per una festa di compleanno a circa due isolati di distanza da casa sua.
Non era molto convinto di andarci, di solito il brusio indistinto di molte voci confinate in un locale, intente a confidarsi mille sciocchezze lo metteva un poco a disagio.
In fondo, pensò non aveva nulla di più importante da fare quella sera.
La serata era fredda e tersa, e si potevano scorgere milioni stelle, milioni di piccoli punti luminosi spettatori silenziosi di quella serata invernale.
Lo scatto automatico della porta che si lasciava alle spalle lo ricondusse alla realtà
Ultimamente gli capitava spesso di perdersi guardando le stelle, o l'eterno movimento delle nubi, fino a perdere di vista l'oggetto osservato, quasi volesse fondersi con ciò che lo circondava, fino a diventare parte del tutto, indifferente e insensibile ad ogni sofferenza.
Non aveva voglia di camminare, quasi volesse disfarsi in fretta di quella serata,
le attese, i trasferimenti, le pause che la vita gli imponeva avrebbe voluto vederle scorrere velocemente semplicemente premendo un tasto.
Raggiunse la destinazione a bordo di un taxi, l'aria pungente che entrava da un finestrino gli sferzava il volto solo le palpebre tentavano una resistenza socchiudendosi, difendendo le pupille fisse oltre l'attesa. Suonò e gli fu aperto, senza chiedergli l'identità, atteggiamento poco prudente pensò, ma ciò non lo meravigliava più di tanto, in fondo li conosceva abbastanza, amici, amici degli amici, gaudenti noiosi e apparentemente spensierati.
L'ascensore che lo avrebbe condotto all'ottavo piano lo attendeva con le porte spalancate e le luci accese, sorrise pensando che assomigliasse ad una testa mostruosa e che di lì a poco lo avrebbe divorato. La luce al neon all'interno della cabina dell'ascensore lampeggiava ad intermittenza creando lampi di luce e rapidissimi momenti di oscurità, un curioso effetto stroboscopico illuminava l'attesa.
La porta si spalancò direttamente nell'abitazione e fu investito dal fragore delle voci e dalle risate, al suo apparire si levò un poderoso applauso, Marina, la padrona di casa, avanzava con voluta goffaggine verso di lui reggendo una grossa torta di crema sormontata da un numero imprecisato di candeline, "Cento di questi giorni Carlo!" disse
Carlo si portò le mani sul viso, istintivamente, non sapeva se ridere o piangere, era felice per la calorosa accoglienza, ma era imbestialito con se stesso, era riuscito a dimenticarsi quel giorno, 18 Dicembre 1998, compiva trentadue anni.
Fu canzonato per qualche minuto, ma poi tutto si stemperò in una piacevole serata, calda e avvolgente come non avrebbe osato sperare, tutto, eccetto Olga!.
Olga gli fu presentata da un collega del terzo piano, divisione statistica, sezione "B"
terzo dipartimento, e non ricordava quant'altro riguardasse quella stramaledettisima sezione dal labirintico nome!.
"Ma voi non vi conoscete?"trillò il collega con calcolato stupore
"Olga permettimi di presentarti il più smemorato dei miei amici!"
Carlo non badò granché alla frecciatina, era troppo occupato ad osservare il volto di Olga! gli occhi scuri e profondi come un mare in tempesta e l'insieme del viso ispirava una triste dolcezza!
"Piacere" balbettò
Chiacchierarono tutta la sera, dimenticandosi completamente di ciò che li circondava.
Ogni tanto Carlo si perdeva nel suo sguardo, alle pupille di Olga si sovrapponevano spumose nubi primaverili, sempre in movimento, era un effetto straordinario, forse di straordinaria pazzia! percepire la sua voce bassa e un po' roca e vedere cambiare il suo volto dai toni accesi in quello di un tenue acquerello per poi ripiombare di nuovo nella realtà, come la fine di una lunga apnea
Questi sdoppiamenti, tutt'altro che spiacevoli, gli succedevano con una certa frequenza, ma il soggetto di solito, non era un essere umano, bensì erano fenomeni naturali. Olga diventava una sorta di moltiplicatore dell'oblio.
La serata, naturalmente gli parve insolitamente breve, in verità trascorsero cinque ore, dalle venti all'una! tutte d'un fiato riuscendo a percepire l'ambiente circostante molto lontano e ovattato, come quando ci si risveglia dopo un malore.
"Ci rivedremo?" chiese speranzoso
Olga gli strinse forte la mano, quasi volesse fermare per sempre quel momento e sembrò un tempo interminabile, le mani non volevano staccarsi, gliele avrebbe anche lasciate se non fossero state ostinatamente attaccate alle braccia.
"Si" rispose
"Ci rivedremo" aggiunse
Non accettò nessun passaggio, volle rincasare a piedi, voleva riflettere su quella serata, stordito da quella creatura straordinaria, da quelle enormi finestre che aveva sotto le sopracciglia, spalancate sul nulla. L'avrebbe rivista e questo gli bastava.
Il giorno seguente, per nulla riposato riprese la sua solita vita, solo un pensiero gli
avvolgeva le pieghe del suo cervello, contenendo dolcemente l'impeto del suo orgoglio Olga! una barriera corallina contro la quale il fragile fasciame della propria esistenza si era infranto, forse per rinascere a nuova vita.
Da quell'incontro erano trascorse tre settimane, troppe! una mediocre eternità durata ben tre settimane pensò.
Aveva assolutamente bisogno di vederla, di sentir pulsare il sangue nelle tempie
di essere pervaso dal calore della passione di essere avvolto dal suo dolce sguardo, senza parole, senza diaframmi.
Di lei purtroppo nessuna traccia! non riusciva più a rintracciarla, nemmeno ricorrendo agli amici comuni, di lei nessuno sapeva più niente, ricordavano solo di quella ragazza amica di qualcuno, ospite temporanea di un'amica recentemente partita per un corso di specializzazione all'estero.
Pensò alle parole che si usano quando ci si saluta, in fondo non sono che parole,
suoni convenzionali, tanto dense da mascherare i pensieri e i sentimenti, tanto forti da contenere i movimenti del corpo, e ci si ritrova avvinghiati alla propria solitudine, a riflettere la propria immagine nello specchio del bagno, ogni giorno più sporco, sperando che il sudiciume cancelli l'unica prova della propria esistenza.
Trascorse circa un anno da quell'incontro e Carlo trascinava la propria esistenza
Tra le scale di casa e l'ascensore dell'ufficio, metodicamente, con lo sguardo lontano a cavallo di qualche nube, sotto la pioggia di un arcobaleno.
Il 18 Dicembre 1999 Carlo decise che il mondo avrebbe fatto benissimo a meno della sua presenza, e così anche il capo ufficio, la pettegola custode e quell'odioso
cagnetto dalle sembianze aliene che abbaiava istericamente tutte le volte che lo sentiva salire le scale.
Uscì da casa seguito da una bottiglia di Rum, si fermò con aria beffarda sul pianerottolo della vicina, avrebbe voluto prenderla a calci insieme al suo infernale quadrupede, ma non lo fece e proseguì per la sua strada stringendo la bottiglia per il collo.
Camminò in direzione del porto stringendo ancora la bottiglia che si faceva sempre più leggera. Dopo che l'ebbe scolata la guardò ridendo, per quanto i suoi occhi potessero ancora distinguere qualcosa in quelle condizioni. L'aria salmastra gli suggerì l'idea per la sua dipartita.
Quella sera nonostante l'inverno, il mare era insolitamente calmo e una luna grassa e tonda rischiarava il porto. Pensò che fosse il momento giusto per vedere fino a che profondità i raggi di luna potessero arrivare.
Un gran tonfo ruppe il silenzio, cominciò la discesa, sentì l'acqua richiudersi sopra di se, tratteneva il respiro, caparbiamente, la luna magicamente rischiarava il fondale, sentì ronzare i timpani ma arrivò cosciente fino in fondo, tratteneva ancora stupidamente il respiro e prima che il suo corpo come nei suoi sogni diventasse marea vide rischiarato dalla grassa luna un corpo di donna, le labbra dischiuse, gli occhi spalancati sul nulla, scuri e profondi come un mare in tempesta.
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