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La ballerina di habanera

Veniva da Cuba, suo padre era stato un diplomatico e sua madre una giornalista americana che si era trasferita all'Avana nel periodo caldo della rivoluzione a testimoniare il dissenso per la politica dei molti uomini d'affari statunitensi nell'isola.
Erano i tempi critici dello sbarco di alcuni fuorusciti cubani probabilmente organizzati dalla CIA alla Baia dei Porci.
Jane era là in prima linea per documentare scrivere registrare e per comunicare con il resto del mondo che dava voce ad una generazione che scandiva i ritmi di una contestazione urlata in nome del Che.
Alla fine di tutto, s'innamorò di quella terra e di quella gente e di Miguel Cordero de Vilas, un diplomatico di Fidel.
Con lui girò il mondo e in una città qualsiasi nacque Marcela.
Si stabilirono definitivamente a Roma, lui per il suo lavoro, lei perché rapita dal fascino della città eterna, spesso ritornando all'Avana dove avevano lasciato persone e cose da rivedere.
Fu in uno di questi viaggi di ritorno che Marcela conobbe uno scrittore con la passione per le musiche afro-cubane, con il quale iniziò una faticosa convivenza che finì in una rapida separazione da lui mai pensata come definitiva.
Di Cuba e di lui le era rimasto nel sangue il ritmo dell'habanera. Fu da lì che ricominciò.


Una sera, nella scuola di ballo che frequentava dopo il lavoro di interprete che svolgeva regolarmente a Roma in ambasciata, si soffermò sul dépliant poggiato sul piccolo tavolo del salottino blu che illustrava alcuni aspetti delle radici culturali delle danze, oltre alle iniziative, non molte peraltro, che la scuola intendeva promuovere nella città.
Trovò interessante un progetto pluriculturale che prevedeva di portare l'habanera e la sua cultura in alcuni centri sociali e nelle carceri della città nel contesto di un'attività teatrale. Chi voleva far parte della sperimentazione poteva dare la propria disponibilità presso la segreteria della scuola.
Marcela, che aveva da sempre lamentato la mancata diffusione di questo particolare aspetto della cultura della danza cubana, aderì all'iniziativa e ne diffuse il programma.
Carcere di Rebibbia, le comunicò il responsabile della scuola e lei acconsentì.
Partecipò al corso preparatorio che si svolse in tre giorni alla presenza del direttore, di una psicologa e di alcune guardie carcerarie curiose della novità e alquanto incredule circa la bontà del progetto.
La psicologa, dopo aver superato la fase che si riferiva agli aspetti didattici circa i metodi di comunicazione tra esterni e reclusi e non trascurando alcuna pedanterìa al riguardo, si soffermò sull'aspetto umano del progetto.
Marcela comprese che le convinzioni della psicologa circa la buona riuscita di quella che lei vedeva come una sperimentazione avanzata erano piuttosto vacillanti e ciò era avvalorato dal suo ripetere continuo di certi avvertimenti.

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4 commenti:

  • maria grandinetti il 26/08/2010 17:11
    Non lo avevo ancora letto... molto bello! Brava Cesira abbronzatissima!
  • Ivan il 16/03/2010 14:19
    Sei proprio brava. Bellissimo racconto, nono posso dire che sia una sorpresa ormai ho letto tutte le tue opere e sono sempre di grande pregio. La tua scrittura ha il sapore della libertà, scrivi senza condizionamenti, soprattutto per te stessa e questo lo trasmetti... non so se sono riuscito a farmi comprendere. Comunque la sintesi é ... bravissima.
  • Cesira Sinibaldi il 08/01/2010 10:59
    Grazie!!! mi fa piacere, tanto.
  • Anonimo il 07/01/2010 22:05
    No so scrivere commenti di qualità come te; a mia volta non mi soddisfo facilmente nella lettura; questo racconro è scritto divinamente, complimenti

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