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Isla de aves - terza parte

La fiammella del mio torace si tramutò in rogo.
Inviai la conferma.
Come liberato da un qualche legaccio, mi concessi una visita oziosa del territorio che ora volevo possedere cognitivamente.
Affittai una vecchia auto americana, bianca con interni rossi, una sontuosa Eldorado degli anni 50.
Decapottabile.
Un bianco cappello a tesa larga, occhiali da pilota USAF e musica nella mente più potente delle lagne venezuelane che la radio, dal cruscotto, riversava nell'aria.
Euforia e leggerezza condizionavano il mio essere in quei giorni.
Frequentai assiduamente stamberghe e bordelli.

Un sorriso doloroso turbava il mio viso.

La figura di Gonzalo Almirante entrò a far parte delle mie conoscenze in una gita a Puerto de la Cruz.
Il nome altisonante apparteneva ad un uomo scuro di pelle, dalla magrezza nervosa, dinoccolato e sdentato e gli stava addosso, il nome, come la giacca da uomo ad un bambino.
Rapido d'intelletto e assai di più di coltello, era intervenuto in mio aiuto in un tentativo di rapina che aveva me come bersaglio.
Due "desperados" armati di machete nella penombra di un imbarcadero, avevano tentato di alleggerirmi dei dollari, che maneggiavo con troppa disinvoltura, e anche della testa, credo, giusto per divertimento.
Il cuchillo di Gonzalo era apparso, dopo un sibilo, infisso nella gola dell'assalitore più minaccioso.
Il secondo figuro si era dato alla fuga dimostrando, a mio parere, molto buon senso.
Dal buio era emerso il mio salvatore e si era presentato motteggiando i nobili spagnoli del passato, per poi riderci su sgangheratamente.

La sbornia, che fino ad allora aveva anestetizzato i miei sensi, si era dissolta, per ciò ritenni opportuno ripristinarla con la compagnia del mio nuovo buon amico Gonzalo Almirante, gran cavaliere dei pontili e patrono dei babbei, dato che tale mi ero dimostrato.

Portai con me, di quella notte, il fotogramma di un corpo malamente disteso sul pontile di legno, illuminato dal flebile cono di luce di un lampione opaco, lo sciabordio, indifferente, dell'acqua prigioniera tra gli scafi, e il gesto, crudo e pratico, di Gonzalo che appoggiato il piede, calzato in un vecchio sandalo, sulla testa del morto, sfilava dalla gola il suo pugnale, con un gesto secco.

Sin dal primo momento mi visitò il "dubbio" verso il mio buon amico, che da quella sera divenne la mia seconda ombra.
Il pensiero insistente che non fosse comparso per caso nella mia vita, mi rimase annidato nei sensi.

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2 commenti:

  • Cesira Sinibaldi il 24/02/2010 16:59
    Ho trovato un'altra chiave di lettura, non so se è quella giusta, ma rileggendo, ho considerato l'aspetto della metafora dell'avventura più interessante della fabula stessa... non so...
  • Cesira Sinibaldi il 19/02/2010 15:51
    In questa terza parte, io trovo che l'intreccio vada oltra le linee della fabula. C'è un forza che, mescolando istinto aggressività erotismo, ti fa entrare nell'avventura tra i personaggi e nei luoghi. Non nego che mi ha molto coinvolto, ma mi ha anche un po' affaticato per l'energia generata anche dai ritmi narrativi. Il racconto iniziava come fuga dalla realtà e si realizza man mano in un immaginario che va al contrario. Con tutto l'entusiamo di chi può permettersi di costruirlo, questo contrario, secondo i propri moti dell'animo.

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