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Tabù
È sorprendente e incomprensibile la potenza dei tabù.
Nel dibattito politico di questi tempi, si fa un gran parlare di limitatezza delle risorse e di distruzione dell'ambiente. Il fenomeno mi pare chiaro e semplice: aumento della popolazione e aumento del suo tenore di vita. Sono questi i due fattori che autorafforzandosi espandono i consumi delle risorse naturali e portano con rapidità esponenziale l'ambiente alla distruzione.
Che fare? Le risposte date sono tre: ricerca di altre fonti di energia, riduzione dei consumi, con iniziative dal basso per una vita più frugale, e infine negazione del problema.
Prescindendo dalla terza irresponsabile opzione, trovo sensate le altre risposte, alternativa l'una e limitativa l'altra. Probabilmente sono combinabili, ma temo purtroppo che non servano ad una rapida soluzione del problema.
La ricerca di fonti alternative è impegnativa e sembra richiedere più tempo di quello disponibile, prima che il danno all'ambiente sia irreversibile.
La risposta limitativa, consumiamo meno, si presenta come rinunciataria e quindi poco popolare. Inoltre mette in discussione implicitamente il sistema economico dominante, con la sterile gioia dei nostalgici di vecchi miti rivoluzionari bocciati dalla storia, e lasciandoci in concreto, almeno nel breve termine, senza orientamenti alternativi circa la organizzazione della vita economica collettiva.
Esperienze di nicchia sono possibili e già praticate, ma non sembra la soluzione su larga scala per l'immediato.
Tutto ciò avvantaggia la terza opzione, la rimozione del problema, che in realtà è solo una rinuncia alla responsabilità, che ha però la forza della mancanza di alternative credibili.
Forse la soluzione limitativa andrebbe approfondita. Mi pare una risposta sbrigativa, ad occhi chiusi, senza aver ben chiarito la situazione. Colpevolizza, insinuando odiosamente che siamo degli ingordi. C'è del vero, ma ignora il fattore principale del degrado da iperconsumo: forse siamo semplicemente troppi!
Questa mi pare la risposta più diretta e corretta al problema, ma nessuno la formula. Rarissimi nei media interventi che contengano questa diagnosi e formulati con circospezione e rassegnazione.
Eppure porterebbe a soluzioni meno antipatiche e più semplici: il controllo delle nascite.
Mi sembra un caso classico di autocensura del pensiero, di tabù appunto. Meglio la fine della specie umana e del pianeta, che aprire gli occhi su questo aspetto della questione.
Incredibile! Terrorizza tutti. Perché ?
In Italia viene subito da pensare alle ovvie resistenze della Chiesa cattolica. Ma ci siamo abituati a queste resistenze, che riguardano praticamente ogni questione sociale.
Questo fattore pur importante non spiega la diffusione del tabù pressoché ovunque, anche dove la Chiesa è ignorata.
Ritengo che la resistenza principale sia la fondata convinzione che il sistema economico, così come è regolato, subirebbe influssi sgraditi, dalla riduzione della mano d'opera conseguente ad interventi limitativi delle nascite.
Da qualche parte ho letto che nell'Europa del seicento, dopo che una epidemia di peste ridusse fortemente la popolazione, il livello economico della classe lavoratrice (artigiani, contadini, ecc.) ebbe una improvvisa impennata. La retribuzione del lavoro aumentò notevolmente, a causa della forte riduzione della mano d'opera, portando grande beneficio economico agli interessati e meno ovviamente alle classi che del lavoro altrui si servivano.
Forse gli industriali paventano uno scenario simile e boicottano la prospettiva, ignorandola nel dibattito sui media che essi controllano.
Quindi il tabù deriva in definitiva dal veto dei detentori dei media e dalla conseguente incapacità dei cittadini di sviluppare e diffondere un pensiero autonomo, non preparato, diffuso e sostenuto dai media. Tutto qui.
Peccato davvero.
Eppure qualche passo verso soluzioni sgradite al sistema produttivo, ma utili all'ambiente, è stato fatto, in un ambito diverso, ma analogo e strettamente connesso. Mi riferisco al trattato di Kyoto, un accordo internazionale sulle emissioni di gas.
Un passo significativo. Congegnato pragmaticamente e quindi votato al successo pratico, magari non immediato.
Anzichè basarsi su velleitari divieti e sanzioni, che mai avrebbero funzionato, si regge su accordi spontanei che prevedono compensazioni in caso di abusi. Gli eccessi di emissioni danno luogo ad equivalenti esborsi.
Ricordo quando negli anni sessanta aprirono a Firenze i primi supermercati. La gente portava all'auto la spesa e lasciava il carrello in mezzo alla strada. Tutti, proprio tutti; ovviamente, aggiungerei, conoscendo gli italiani. La conseguente paralisi del traffico non era sufficiente a cambiare abitudine.
I gestori dei supermercati ebbero grande buon senso ed un guizzo di genio. Anziché mettere cartelli con divieti e sanzioni, come avrebbe fatto una amministrazione pubblica sortendo un effetto nullo, introdussero un compenso di 50 lire a chi riportava i carrelli al deposito.
Non credevo ai miei occhi! Immediatamente il fenomeno cessò, completamente. Per sole 50 lire tutti i fiorentini diventarono civili.
Per questo ritengo che soluzioni di questo genere siano accettabili ed efficaci a medio-lungo termine.
Un trattato internazionale ed un conseguente accordo sulla espansione demografica sarebbe la soluzione più naturale ai problemi dell'ambiente. Un accordo intelligente, ovviamente, che consideri i vari aspetti delle condizioni demografiche dei vari paesi. Le soluzioni dovrebbero essere diverse per paesi giovani e paesi vecchi ed altri fattori andrebbero considerati. La demografia è una scienza matura e soluzioni razionali sarebbero facilmente individuabili.
Alcuni paesi più esposti hanno già sperimentato politiche demografiche, come Cina ed India, incontrando però l'ostilità dei paesi occidentali, specie europei, ottusamente benpensanti, che invece di ringraziarli li hanno stupidamente criticati in nome dei cd diritti civili, dando prova di incredibile miopia.
Vecchi fantasmi poi, l'eugenetica automaticamente associata al nazismo, eccitano le menti fragili e attivano i demagoghi.
Quali criteri dovrebbe ispirare un ipotetico accordo internazionale sul controllo delle nascite. Ovviamente un accordo risentirebbe di tutti gli interessi e condizionamenti culturali. Quindi è impossibile rispondere in astratto.
Ma, tanto per gioco, possiamo chiederci quali sono le quantità giuste di una popolazione, o almeno quali le considerazioni da fare in merito.
Ne vedo almeno due.
Confronto tra specie.
La specie umana, anche se lo ha dimenticato e non intende ricordarselo, è una delle tante specie in cui si manifesta la vita, Gaia. Una Terra equa darebbe spazio equivalente a ciascuna specie, naturalmente specie in libertà. Non possiamo conteggiare le specie in cattività, cibo dei carnivori umani.
In genere si parla di popolazioni animali in termini di migliaia. Invece per la specie umana si parla di milioni, anzi miliardi. Sei zeri ci dividono dalle altre specie e dovrebbero turbarci.
Paesi virtuosi.
Innumerevoli sondaggi ci notificano il grado di benessere/malessere delle diverse società. Restando in Europa, possiamo notare che i paesi ritenuti giustamente più civili, confortevoli e appetibili, sono quelli meno affollati. Penso ai paesi scandinavi, diffusamente ritenuti modelli da seguire. Due stati come Norvegia e Italia, simili in estensione, differiscono per popolazione di ben uno zero: 6 --> 60 milioni di abitanti. Una differenza enorme che dovrebbe far riflettere.
Questa dovrebbe essere la strada da seguire se si usasse il pensiero cognitivo, la razionalità, nell'affrontare questi problemi. Sembra invece che ci si muova utilizzando il cervello limbico, emotivo, a suon di tabù.
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