Cara Kitty,
oggi pomeriggio è successo di nuovo.
Me ne stavo tranquillamente piegato sulla spalliera della sedia davanti al computer e improvvisamente la stronza entra e mi si avventa sopra insultandomi.
Mi accusa di essere sporco, lacero, mi strizza forte con l'intenzione di soffocarmi, mi annusa (io e lui sospettiamo che sia pure feticista), poi mi lancia nell'orrida, puzzolente cella di isolamento.
Ma magari fosse isolamento! Qua siamo in duecento, tutti diversi, con storie diverse, chi ha percorso tanta strada, chi ha sudato per arrivare in tempo, chi si è macchiato di colpe non sue.
Tutti con la stessa maledetta accusa di essere, sia dentro che fuori, sporchi.
Oddio, eccola che si avvicina.
Le ultime preghiere, meste, prima che la bocca rotonda avida infernale, l'oblò della macchina della tortura si apra e ci inghiotta tutti.
Silenzio interminabile -secondi di eternità- mentre tutti stiamo pigiati in questa gabbia buia, fredda di acciaio (inox) uno sopra l'altro, uno dentro l'altro, non c'è nemmeno più la voglia di chiedersi chi di noi è nuovo, non c'è più dignità.
Ecco: nell'oscurità si chiude il portello.
La sentiamo mentre là sopra gorgoglia il veleno che ha portato dal Campo di Marsiglia.
Ci siamo, l'acqua inizia a salire.
I calzini piccoli strillano, la vecchia felpa cerca invano di consolarli.
Niente da fare, comincia a girare la testa forte, sempre più forte.
Il pestaggio, la corsa sfrenata, siamo storditi, fradici, con le fibre sfinite dall'inutile resistenza alla forza centrifuga.
La fine.
L'aguzzina apre la porta. Vapore: miasmi che lei chiama -cinicamente- profumo.
Eccoci qua, adesso, senza più colore, senza personalità, senza volontà di resistere.
Siamo puliti ora.
E domani vi obbediremo in un'altra delle vostre, quelle sì, luride sporche giornate.