Prologo
Il volo Firenze-Parigi era durato meno di quanto si sarebbe aspettata. Il capitano aveva appena annunciato l'atterraggio all'aeroporto De Gaulle, così Francesca ritenne necessario iniziare a prepararsi, riponendo nello zainetto il piccolo dizionario di frasi utili in francese, fermando la riproduzione casuale del suo lettore mp3 e allacciandosi la cintura.
Una volta atterrata, prese le sue cose e si diresse verso il portellone dell'aereo, mentre il personale salutava ogni passeggero con un gentile - Au revoir - nel momento in cui essi varcavano la soglia dell'uscita. Accese il cellulare e mandò un messaggio a sua mamma, scrivendole che era arrivata sana e salva, e con un sospiro, passò a ritirare i suoi bagagli, prima di guardarsi intorno per cercare con lo sguardo chi la fosse venuta a prendere.
"Speriamo sia un tipo simpatico..." Pensò fra sé e sé, quando un signore alto e di bell'aspetto, mettendosi in punta di piedi e sventolando un cartello con su scritto "Francesca, Florence" e con accanto una sua foto, si avvicinò a lei con un grande sorriso sulla bocca.
- Franscescà! Bienvenue! - esclamò stringendole energicamente la mano - Je suis monsieur Jacques Bourgogne, enchanté de vous connaître! -.
- Merci, le plaisir est le mien... - tentò di rispondere impacciatamente, con quelle tre parole di francese che aveva studiato durante il tragitto aereo.
- Non preoccupartì, il mio italianò è un po' arrusginìto, ma se è quellò che sarvè a parlarè con te lo rispolverero! - continuò poi il signor Bourgogne, con un'espressione ancora più dolce a solcare i lineamenti del volto, mentre la nostra tirò un sospiro di sollievo, alzando gli occhi al cielo e sorridendo a sua volta.
- Allorà - disse poi prendendo le valige di Francesca, che aveva tentato invano di portarsele da sola, perdendo inesorabilmente contro la cavalleria di monsieur Bourgogne - Vogliamo andarè? Devi vedèr la tua casà, sistemartì, e riposartì un po'! -.
Arrivarono alla macchina e Francesca si sedette sul sedile anteriore dell'elegante Renault, non senza un po' di imbarazzo e timidezza, nel frattempo che il suo accompagnatore caricava le sue borse nel portabagagli.
- Lei è davvero gentile signor Bourgogne... Mi sta facendo sentire quasi come a casa mia! - tentò di rompere il ghiaccio lei, quando egli entrò in macchina chiudendo energicamente lo sportello.
- Non farlà sentìr spaesatà in questo pazzò paesè era il mio intonto, mademoiselle - le sorrise, mentre usciva dal parcheggio con l'automobile facendo retromarcia - Nonostonte io sià il suo nuovo capò, non ho la minimà intension di spaventarlà! -.
Quel signore così allegro e affabile era il suo nuovo capo?! Diamine, le cose erano cominciate bene!
Stettero entrambi in silenzio per un breve tratto di strada, durante il quale Francesca guardò dal finestrino, osservando le altre macchine e il paesaggio che faceva da sfondo all'autostrada.
- Tres bien, cher... Parlero solamonte orà di lavorò, e poi ti promettò che ne discuteremo unicamonte in uffiscio! - Francesca ridacchiò. - Per un po' lavorerai al tuo prosgetto, insiame agli altri insgegnerì, nel palasso in cui di solitò lavoro io... - Prese con la macchina l'uscita per Parigi - ... Lì sc'è tutto il materiàl che potrebbe servirvì: un saccò di computèr, librì... Avrai modò di divertirtì! - concluse, cominciando ad imboccare le strade più trafficate della grande città francese.
- E orà... Parliamò di tè! - proseguì, quando si fermarono ad un semaforo - Visto che partescipì al prosgetto, mi pare di aver capitò che ti piasce lo sport! Insommà, creare dal nullà uno stadio di rugbì richiede una scerta passionè! - cercò di scioglierla, menzionando quello che sarebbe stata la sua occupazione di lì a qualche giorno.
- Beh, effettivamente... - Francesca abbozzò un mezzo sorriso, guardando in basso. - ... Adoro il rugby, e cercare di costruire con la mia fantasia un nuovo..."tempio", per la squadra dello Stade Français - arrossì lievemente pronunciando il nome della sua squadra preferita - Insomma, una bella sfida, oltre che un grande onore! -.
- Oui, les Stade... Che forsà, che grinta! Sci sarà anche la squadrà alla presentasiòn del concorso per il nuovo Jean Bouin, questa sera... Lo sapevì? - aggiunse Bourgogne, con un sorrisetto quasi malizioso, mentre svoltava in una strada non molto trafficata cercando parcheggio. Quella sera, Francesca sarebbe stata ospite nei locali del vecchio stadio per una specie di terzo tempo, in cui sarebbe stata presentata insieme agli altri partecipanti.
- Gli stadisti..?! - il tono era visibilmente sorpreso. - Da-davvero? - l'agitazione nella sua voce era percepibile: non aveva messo in conto di presentare il suo progetto architettonico a tutto lo Stade in persona!
- Me oui, cher! - Bourgogne ridacchiò divertito, fermando la macchina di fronte ad un palazzo color crema, che accanto al portone aveva un piccolo e pittoresco negozio di frutta e verdura. - Pensovi di aver a che far con lo stadio dello Stade, sonza aver a che far con i sgiocatori dello Stade? - notò l'imbarazzo sul volto di Francesca. - Sei preoccupatà di far conoscionsa con qualcunò? - concluse, spegnendo la macchina e girandosi verso di lei, sempre più visibilmente imbarazzata.
- I-io? - lo guardò in viso, i vispi occhi verde chiaro del suo capo la scrutavano. - Ma no, ma no... Presentarsi a circa... 40 persone, penso che sia un po' più difficile, ecco! - rispose, slacciandosi la cintura.
- Effettivamonte... - rise, slacciando anche lui la cintura e aprendo lo sportello - ... Bien! Siamo arrivatì al suo nuovo allosgiò! Vogliamo andare a sistemarscì? - scese dalla macchina, fece il giro e le aprì lo sportello, da gran signore che era, prima di aprire il bagagliaio: stavolta però fu lei a insistere per portare da sola le proprie cose, non senza qualche mugugno di disapprovazione di Bourgogne, che la convinse comunque a farsi portare da lui almeno la cartellina dei disegni.
All'ultimo piano di quel grazioso edificio, due appartamenti si affacciavano uno di fronte all'altro, su un pianerottolo con mattonelle a scacchi. Il suo era quello di destra, uscendo dall'ascensore, e il signor Bourgogne le aprì gentilmente la porta, lasciandola entrare per prima. Era un piccolo ma luminoso appartamento, con un lungo corridoio all'entrata che conduceva alla camera da letto e al bagno, tutto rigorosamente già arredato: in modo semplice, ma con classe. Ciò che però la lasciò senza fiato, fu quello che vide dal balcone della cucina: una vista meravigliosa, perchè il parco del Bois de Boulogne si stagliava sul paesaggio cittadino con il suo verde intenso anche nelle ultime ore del pomeriggio, si riusciva a vedere l'attuale Jean Bouin(lo stadio), a un isolato da lì, ma sopratutto... perchè la torre Eiffel, in tutta la sua altezza, si vedeva in lontananza, sovrastante i palazzi di Parigi.
Posate le sue cose in camera, dopo che il suo "capoccia" le ebbe fatto fare il giro turistico della casa, tornò di nuovo ad affacciarsi al balcone, dove poco dopo Bourgogne la raggiunse.
- Questo... tutto questo è semplicemente... mozzafiato! - esclamò Francesca, quasi sul punto di abbracciare quel secco e alto omino. - Grazie, davvero! Un normale ingegnere edile come me non si merita tanto... - aggiunse, con gli occhi lucidi alla vista di quello spettacolo.
- Ho vissutò qui per molti annì, e devo dire, che questo postò, questa vista - si appoggiò con i gomiti alla balaustra del balcone - mi ha sempre ispiratò, e spero che lo fascia anche con tè, cher! - concluse, dandole una leggera pacca sulla spalla. Bene, adesso viveva anche in uno strepitoso appartamento con un altrettanto strepitosa vista sulla Città dell'Amore: cosa sarebbe potuto succedere adesso? Gli dèi l'avrebbero assunta in cielo e le avrebbero fatto bere ambrosia per tutta la notte?
- Questè sono le chiavì, mia carà - le diede in mano due chiavi, quella del portone e quella di casa - Fatti trovare prontà per le 8, sorridonte e pronta a passare una fantastica seratà! - detto questo, le fece un inchino e uscì dalla porta, lasciandola sola con i suoi pensieri e ancora incredula di trovarsi in quel posto stratosferico.
I. In the air tonight
Si mise il vestito della festa per i suoi 18 anni: una specie di tubino, ma con uno scollo largo che le arrivava quasi da spalla a spalla, e con un disegno ad arabeschi neri che si ripeteva su uno sfondo bianco, due fasce nere che andavano da sotto il braccio a sotto il ginocchio, su entrambi i fianchi e, per finire, scarpe con il tacco: almeno, non sarebbe stata troppo più bassa dei rugbysti, quella sera.
Infilato il discorso di presentazione in borsa, scese rapidamente le scale, perchè era troppo agitata per aspettare che l'ascensore arrivasse e la portasse al piano terra. Pensò anche ai suoi, al suo, alla sua vicina, che non aveva ancora visto: aveva solamente sentito chiudere la porta un paio di volte, ma non si era affacciata a vedere chi fosse.
- Enchantè, Franscescà! - Monsieur Bourgogne, in giacca e cravatta, le fece il baciamano, prima di farla salire in macchina - Sembra che qualcuno qui voglia far colpò su qualche rugbystà o qualche dirisgentè? - sorrise.
- Molto divertente, capo - Francesca rispose al sorriso - Ma se c'è qualcuno su cui vorrei far colpo quello è il comitato di organizzazione e progettazione dei lavori... Così da fargli cominciare ad avere un po' di stima e fiducia in me! - concluse, con tono determinato.
- Suvvià, suvvià! Non pensar sempre al lavorò, cher! - le diede un buffetto sulla guancia, entrando nella Renault e girando la chiave - Ponsa solo a divertirtì staserà! -.
Arrivarono in perfetto orario allo stadio, ed entrarono nei locali predestinati alle conferenze e ai terzi tempi: era pieno di persone, molte delle quali indossavano qualcosa di rosa, come una cravatta, una camicia o una fascia. Non si sarebbe mai potuto indicare quella festa come propria di un'altra squadra se non dello Stade Français!
Francesca era a braccetto con il signor Bourgogne, che passando stringeva mani a destra e a sinistra, e che le tirava ogni tanto una leggera gomitata per invitarla a sorridere e a "buttarsi nella mischia", senza timidezze di sorta. Guardandosi intorno riconobbe alcuni dei giocatori, che la osservavano a loro volta, rivolgendole un sorriso e un cenno del capo, come a dirle "Benvenuta fra noi!", e lei, puntualmente, e inevitabilmente, piombava in uno stato di ebete e felice trance, per qualche secondo.
Tuttavia, in quella moltitudine c'erano due persone che ancora non era riuscita a scorgere: ma chissà, magari erano in ritardo. Il capoccia la notò mentre guardava fra la gente, sospirando e giocherellando con una flute.
- Ti manca qualcosà, mia carà? - le disse, quasi preoccupato.
- Cosa..? - si risvegliò dalla trance. - Ah, no... Solo che non vedo... Ehm - non riusciva a dirlo, le sembrava di essere tornata ai tempi delle superiori. - I miei... giocatori preferiti, ecco - aggiunse, arrossendo, stavolta molto più vistosamente del solito.
- Oh! Non ti preoccupare, cherì, non sono ancora tutti prosenti alla festa! - le portò un braccio attorno alle spalle e iniziò a camminare verso un palchetto che era stato predisposto in fondo alla sala più grande, popolata da giornalisti in attesa di notizie e annunci per i loro taccuini, ai quali si stavano aggiungendo tutti gli altri invitati, rugbysti e dirigenti compresi(a Francesca sembrò di scorgere Max Guazzini in persona!) - Adesso, è sgiunto il momentò di prosentartì! Hai un tuo discorsò? - disse, guardandola negli occhi.
- Il discorso! Sì sì, ce l'ho: ma avrò naturalmente bisogno di un interprete... - tirò fuori dalla borsa il foglietto, e si sistemò i capelli.
- Sarò onoratò di farti da interprete! Bien, se sei prontà, saliamo pure sul palcò e catturiamò la loro attenciòn! - la spronò, dandole una leggera spinta per farla avvicinare.
Bourgogne prese possesso del microfono e si rivolse alla platea, chiedendo silenzio, ovviamente... in francese. Ringraziò i presenti di essere lì, e si introdusse al pubblico: lui era Jacques Bourgogne, ingegnere a capo del progetto di realizzazione del nuovo Jean Bouin, la futura nuova "casa" dello Stade, la cui costruzione sarebbe iniziata una volta trovato il progetto architettonico perfetto. Quella lì accanto a lui sul palco(la nostra Francesca, appunto) era una delle candidate per il posto di capo ingegnere, che avrebbe potuto affiancarlo e il cui progetto sarebbe stato messo in pratica, una volta approvato dal sindaco di Parigi e dai dirigenti della squadra. A quel punto, monsieur Bourgogne diede il microfono a Francesca, le cui parole furono tradotte dal suo capo: in sostanza, disse che era molto onorata di poter pensare, creare e disegnare uno stadio per la sua squadra di rugby preferita(ci tenne molto, però, a specificare che la sua prima squadra del cuore erano comunque i Cavalieri, i rugbysti della sua città), e inoltre aggiunse che per la prossima festa avrebbe imparato a parlare almeno un po' di francese, dicendolo con tanta dolcezza e tenerezza da destare la simpatia degli ascoltatori, che le fecero un applauso d'incoraggiamento per il suo futuro lavoro, prima che scendesse dal palco.
Bourgogne la prese di nuovo a braccetto, e prese due calici di prosecco dal vassoio di un cameriere che passò loro accanto, offrendone uno a Francesca.
- Breve, sempliscè e carinà, tres bien Franscescà! - fece cin cin con lei, che bevve metà del bicchiere tutto d'un fiato, probabilmente per farsi passare la tensione che le era salita in corpo nel momento del discorso di presentazione.
- L'accoglienza è stata effettivamente molto cordiale, da parte di tutti... - Francesca continuò a guardarsi intorno, mentre numerose persone vollero venire da lei a stringerle la mano, e Bourgogne la introduceva ad ogni nuovo conoscente.
Ad un certo punto, il capoccia le tirò una leggera gomitata su un fianco, e uno sguardo complice e furbetto si delineò sul volto di monsieur Bourgogne.
- Pardonne moi, io e la signorinà dobbiamo allontarscì per un attimò...! - congedò le persone che si erano avvicinate a loro, e fece spostare Francesca di qualche metro, facendo concentrare il suo sguardo su qualcosa, o meglio, qualcuno: in un angolo della sala, seduti su dei divanetti e sorseggiando vino bianco, stavano due uomini vestiti elegantemente.
Uno dei due aveva i capelli dai riccioli molto fitti, scuri, un profilo marcato; l'altro aveva i capelli biondi, ricci anch'essi, ma più morbidi dell'altro, il naso leggermente all'insù.
- Vediomo se ho indovinatò...- le disse, portandola passetto a passetto verso di loro - ... Forse ho trovato i tuoi sgiocatorì preferitì? - Bourgogne sapeva che quella era una domanda retorica.
- I Be... I Be... I Be...- furono le uniche parole, o meglio, sillabe che uscirono dalla bocca di Francesca, mentre il suo viso arrossiva più che mai e il respiro si paralizzava nel suo petto: erano a pochi passi ormai dai due uomini, che già cominciavano ad alzarsi e a voltarsi verso Bourgogne e la sua accompagnatrice...
-... Bergamascò! Che piascère vedèrvi di nuovò! - Bourgogne strinse energicamente la mano ai due ragazzi, che rivolsero a entrambi un gran sorriso.
- Signor Bourgogne, quanto, quanto tempo dall'ultima volta che ci siamo visti? - Il primo a parlare fu il moro, che spalancò un sorriso anche all'indirizzo di Francesca, che combatteva incessantemente la sua timidezza, che le faceva naturalmente rivolgere lo sguardo verso il basso - E lei è la stella della serata, giusto? - disse poi a lei, prendendole la mano e baciandola, per un lunghissimo istante che fece realmente vacillare l'autocontrollo della nostra ingegnera. - Io sono Mauro Bergamasco, e questo giovanotto accanto a me - indicò il ragazzo accanto che, sorridendo, ma più timidamente dell'altro, tese anch'egli la mano verso Francesca, facendole un inchino - è Mirco, il mio... fratellino! - diede un leggero pizzicotto sulla guancia del biondo.
- Ma non ti sai mai tenere le mani a posto, eh Maurino?! - Mirco sorrise a Francesca, massaggiandosi la guancia.
- Pia.. Piacere, fratelli Bergamasco - Francesca riuscì finalmente a parlare, sfoderando uno dei suoi sorrisi più timidi, ma dolci, guardando Mauro e i suoi occhi, profondamente azzurri e dall'aria intelligente - Scusateci per l'intrusione nei vostri discorsi... Ma il signor Bourgogne voleva farmi conoscere tutti, proprio tutti... - guardò il capo quasi a rimproverarlo, ma lui rispose con un ghigno alla Muttley(ricordate Dastardley e Muttley? Il cane con la risata malefica? Ecco, proprio lui!).
- Ma vuoi scherzare? Mi avete salvato da un'intera serata con mio fratello! Dovrei solo esservi grato! - disse Mirco, mentre Mauro gli scompigliava i capelli.
- Bien bien... Non vi dispiasce allorà se ve la lasciò per un pochinò? Devo assolutamonte andare a fare due chiacchierè con Guazzinì! - diede una pacca sulle spalle a Francesca, e le fece l'occhiolino.
- Vada pure, sempre lieti di fare compagnia a qualche donzella! - Mauro sorrise nuovamente, facendo letteralmente morire la nostra eroina.
Passò un attimo di silenzio, in cui Francesca tornò a guardarsi le scarpe(il suo passatempo preferito da quando era arrivata a Parigi...), Mirco bevve un sorso di vino mentre Mauro indagava con lo sguardo questa nuova presenza femminile.
- Bella festa, vero? Non se ne vedevano così da un po'! Ultimamente anche i terzi tempi stanno diventando un po' noiosi, sai... - L'istinto avrebbe consigliato a Francesca di dire a Mauro che niente sarebbe potuto essere noioso con i fratelli Bergamasco in smoking di fronte a lei ma, per fortuna, non ascoltò il suo istinto.
- Sì, sì... Non ho mai visto così tanti rugbisti tutti assieme! - tutti e tre risero, e l'atmosfera cominciò a rilassarsi.
- Se sei arrivata oggi, non ti preoccupare per il francese: io ci ho messo almeno tre mesi per iniziare a capirci qualcosa e altri tre mesi per iniziare a parlarlo un po'! - cercò di incoraggiarla Mirco, invitandola a sedersi sui divani, e sedendosi a sua volta.
Francesca rise e si sedette in mezzo a Mauro e Mirco, e per tutta la serata i tre non fecero altro che parlare e parlare: del lavoro di lei e di tutte le cose che avrebbe voluto vedere ora che era a Parigi, del desiderio dei fratelli di visitare meglio la Toscana (dalla quale proveniva Francesca), dell'abitudine mattutina di Mauro di andare a correre("per temprar lo spirito et lo corpo", affermò il maggiore dei Bergamasco) e della voglia di Mirco di trovarsi un appartamento solo per sé, visto che ormai sopportare il fratellone era diventato insostenibile(lo disse tuttavia con un tono poco serio, meritandosi un nocchino da parte di Mauro). Insomma, in poche parole, Francesca passò delle ore veramente piacevoli, come mai ne aveva passate con degli sconosciuti... Anche se, essendo una loro fan, le sembrava di conoscerli da sempre.
Tornò da loro il signor Bourgogne, che picchiettò con l'indice sull'orologio per far capire alla nostra che era ora di tornare a casa.
- Scusatemì se vi porto vià Scenerentolà, ma è arrivato il momentò di andàr! - Bourgogne prese la mano di Francesca e l'aiutò cortesemente ad alzarsi dal divanetto, e i fratelli si alzarono per salutarla. - Ti aspettò in macchinà, cher! - e tese nuovamente la mano ai Bergamasco, prima di avviarsi verso l'uscita dei locali.
- Che dire... Grazie di avermi fatto sentire un po' meno sola, ragazzi - diede ad entrambi un bacio sulla guancia, uno solo però, come era solita fare con i suoi amici più cari(Mirco arrossì molto più vistosamente del fratello) - Mi aspetto un invito al prossimo terzo tempo! - i due risero e l'accompagnarono, a braccetto, verso l'esterno.
- Ci puoi giurare, Francescolin! - Mirco le fece l'occhiolino(inutile parlare dello stato d'animo della nostra eroina in quel momento, giusto?), e Mauro annuì con la testa - Come potremmo perderci l'occasione di vederti brandire un boccale di birra insieme a noi festeggiando una qualche vittoria? - Tutti e tre risero.
- E stai tranquilla: i boccali di birra non mancano, neanche in caso di sconfitta! - erano arrivati fuori, di fronte alla macchina del signor Bourgogne, e Mauro le fece nuovamente il baciamano per salutarla.
Francesca aprì lo sportello e fece per salire in macchina, quando Mirco la chiamò un'altra volta.
- Se vuoi restare ancora un po' qui, possiamo sempre riaccompagnarti noi! - disse, cercando di convicerla a rimanere.
- L'offerta è gentilissima Mirco, ma non vorrei farvi perdere troppo tempo - Mirco cercò di fare gli occhi da cerbiatto, ma Francesca, ridendo, scosse la testa - E poi sono davvero distrutta... Magari un'altra volta? - cercò di salvarsi in calcio d'angolo.
Mauro le fece un pollice in alto, e Mirco fece un sì deciso e contento.
- Attenzione però: abbiamo la tua parola che ci rivedremo di nuovo, carissima - Mauro glielo disse con un sorriso ammaliatore ma dolce allo stesso tempo, e lei fece un cenno di assenso con la testa.
- Au revoir, garçons! - Francesca salutò dalla macchina come se fosse la regina Elisabetta, mentre Mirco e Mauro le fecero un inchino non appena la vettura partì.
Guardando fuori dal finestrino, sul viso di Francesca si delineò un sorrisetto di felicità, e Bourgogne non potè fare a meno di notarlo.
- Allora? Ti sei divertità con i tuoi idolì? - La guardò malizioso.
- Ehm...- Lei arrossì, ma continuò a sorridere - ... Sì, direi di sì... Mi hanno fatto sentire un po' di Italia vicino... - Tornò a guardare fuori.
- Ti hanno datò almono il numerò di telefonò? - Francesca ridacchiò.
- No, quello no... Ma ci siamo promessi di rivederci al prossimo terzo tempo...! - anche Bourgogne rise, mentre si accostava con l'auto al marciapiede per far scendere la sua passeggera.
- Buonanottè carà, scì vediamo domattinà: passò a prondertì alle 8! - La salutò, aspettando che scendesse dalla macchina prima di ripartire.
L'orologio da polso di Francesca segnava ormai l'una e mezzo. Era tutto silenzioso nella sua via, e lei si guardò intorno per osservare ognuno dei dettagli della strada illuminata dai lampioni a palloncino. Salì le scale che portavano al portone, cercò le chiavi sparse nella borsa e quando le trovò, infilò quella giusta nella serratura ed entrò. Si avviò verso l'ascensore, premette il pulsante e, visto che era già lì, entrò e premette il tasto dell'ultimo piano. Quando le porte si erano ormai già chiuse, però, udì il portone che si apriva di nuovo: qualche altro nottambulo del suo palazzo era rientrato all'ovile, pensò. Arrivata al suo piano, uscì dall'ascensore e cercò nuovamente la chiave di casa sua, ma la curiosità di vedere chi fosse il condomino appena entrato dal portone era troppo forte in lei, e si girò di nuovo verso l'ascensore per vedere se il nuovo arrivato finisse al suo stesso piano e... la luce che indicava l'arrivo del mezzo proprio lì da lei si accese, così Francesca decise di fare la vaga, tornando a trafficare con la serratura della porta di casa, cercando di aprirla. Sentì il rumore delle porte che si aprivano, continuò a fare l'indifferente girata verso la porta e...
- Tanto alla fine la prossima partita è... - la voce alle sue spalle si bloccò.
- Francescolin'?! - una voce familiare, sorpresa, con una s pronunciata inconfondibilmente: quella di Mirco Bergamasco.
Il battito del cuore di Francesca arrivò alle stelle, e il respiro le si fermò nel petto. Si voltò di scatto, mentre un'espressione sorpresa si faceva strada sulle facce dei fratelli: stavolta, persino le guance di Mauro acquistarono una parvenza di rossore, mentre quelle di Mirco erano, neanche a dirlo, quasi due pomelli rossi.
- Voi?! - l'agitazione nella voce della nostra era tangibile - Questa è casa mia, cosa ci fate qui?! - .
- Aha, sei tu quella fuori posto cara! - Mauro ribattè, ridendo - E soprattutto, perchè non ci hai detto che ti hanno dato - notò che stava aprendo la porta opposta alla loro posizione - l'appartamento di fronte al nostro! - .
- Mi avete per caso detto che abitate in Rue de Silly, in mezzo a tutti i discorsi che abbiamo fatto questa sera?! - tutti e tre risero, e la tensione del momento precedente era ormai svanita.
- Ora avremo molte più occasioni di vederci rispetto ad un solo terzo tempo, spero - disse Mirco, prendendo le chiavi di casa dalla tasca e infilandole nella serratura della porta di casa.
- Vorrei sperare, ragazzuoli - Francesca si avvicinò a loro dando ad entrambi un pizzicotto sulla guancia - altrimenti vi sparo Heavy Metal dallo stereo a tutto volume finchè non uscite da quella casa! - Gli fece una linguaccia, e tornò verso il suo appartamento, dando loro un ultimo sguardo e un sorriso, prima di entrare in casa. Prima di chiudere la porta, fece in tempo a vedere il bacio che Mauro le mandò, accompagnandolo ad un inchino, mentre Mirco si massaggiava la guancia, sorridendole come aveva fatto per tutta la sera.
I due restarono un attimo a guardarla, quando all'unisono tirarono un sospiro. Mauro finì di girare le chiavi nella serratura, che Mirco aveva precedentemente infilato.
- Avanti Savoia, a letto fratellino - Mauro diede una pacca sulle spalle al fratello, ancora in una specie di trance, e lo spinse piano dentro casa, sorridendo, dando un ultimo sguardo al portone opposto.
Cap II. Brand new day
Il giorno seguente Francesca si alzò di buon mattino: non voleva assolutamente fare tardi al lavoro. Le cose per la colazione erano ancora tutte da comprare, così decise di andare a prendere un croissant(non vedeva l'ora di pronunciare quella parola al barista, la divertiva!) e un cappuccino al bar dirimpetto al palazzo, ma si mise in testa di andare a fare la spesa non appena fosse uscita dall'ufficio; infine, preparò armi e bagagli per la giornata e uscì di casa.
La porta di fronte si aprì lentamente, catturando la sua attenzione mentre era ancora sul pianerottolo: Mauro, in tuta blu scuro dell'Adidas con strisce rosa (e una maglietta aderente rosa chiaro che poco lasciava all'immaginazione...), uscì piano, e non appena la notò le fece un cenno con il capo, prima di chiudere la porta alle sue spalle.
- Il bimbo sta ancora dormendo, se lo svegliassi sarebbe capace di tirarmi una pallonata sui denti...- esordì il moro, con un sorriso smagliante.
- Lo farebbe chiunque, alle 7 e mezzo del mattino - gli rispose la ragazza, sorridendogli a sua volta - Vai a correre, suppongo! - aggiunse osservando la tuta.
- Sì - si mise in posa Super-Man guardando un punto lontano - stamattina gli allenamenti li abbiamo sul tardi, quindi io mi metto avanti... Non sia mai che arrivi con i muscoli freddi! - piegò il braccio destro, ponendo in evidenza il tanto famoso bicipite, mentre Francesca rideva e lo guardava pavoneggiarsi simpaticamente.
Insieme presero l'ascensore e uscirono dal palazzo: Mauro accompagnò la nostra al bar a fare colazione, e la aiutò con il francese al momento dell'ordinazione. Quando uscirono, le loro strade dovettero separarsi: Bergamauro avrebbe infatti proseguito verso il Bois de Boulogne e Francesca sarebbe andata dalla parte opposta, agli uffici di Bourgogne vicini al Jean Bouin, non appena il capo fosse venuto a prenderla.
- Speriamo di rivederci presto, cherì - Mauro la salutò con un inchino prima di partire per la sua corsa mattutina, e proprio in quel momento arrivò il capoccia nella sua Renault, suonando con il clacson.
- Bonjour, Maurò! - si sporse dal finestrino, agitando un braccio - sgià sveglio per la corsà, vero? - fece un ghignetto di nuovo stile Muttley all'indirizzo di Francesca, come la sera precedente.
- Proprio così, stavo proprio per andare! - si voltò verso la nostra, facendole un baciamano per salutarla nuovamente - Ci vediamo... Beh, di sicuro ci vediamo, abitando di fronte - concluse, sorridendole per l'ultima volta prima di iniziare a correre e andarsene.
Francesca salì in macchina, lanciando un occhiata di rimprovero al suo capo.
- Che sc'è? Perchè mi guardì così? - Bourgogne fece l'indifferente, partendo con l'auto.
- Non mi aveva detto che i Bergamasco sono i miei vicini di casa, ecco cosa c'è! - Francesca sbottò, rossa come un peperone, ma si accorse subito di essere stata un po' troppo veemente.
- Voleva esserè una sorpresà! Stavo per dirtelo ieri serà, ma appena ho notatò come ti stovi divertondo con loro ho voluto tenere il segreto e fartelo scoprirè da solà - le fece l'occhiolino, e Francesca abbassò il capo, dispiaciuta per il tono aggressivo, ma a Bourgogne sembrò non aver fatto effetto niente, per fortuna.
Erano arrivati davanti agli uffici(un palazzo squadrato con finestre a specchio), presero entrambi il loro materiale ed entrarono: nonostante fosse relativamente presto, c'erano già molte persone in giro per l'atrio, alcuni dei quali erano i suoi futuri nuovi collaboratori. Le persone sparse diventarono un'unica folla, e guidati da Bourgogne, che in un baleno fu loro in testa, si diressero su per la scalinata principale, e arrivarono in una stanza rettangolare con i muri a vetro. Tutti si sedettero intorno ad un lungo tavolo che era al centro della sala, e poco dopo fu il capo di Francesca a chiedere un po' di silenzio, prima di cominciare a parlare.
Ovviamente si espresse in francese, ma per fortuna la nostra eroina era già a conoscenza di quello che Bourgogne avrebbe detto; dopo essersi introdotto, come aveva fatto la sera precedente, come uno degli ingegneri a capo del progetto, descrisse quello che sarebbe stato il compito dei giovani lavoratori nel corso di quei mesi: trasporre il bozzetto della loro idea di stadio che era già stata presentata per poter partecipare al computer, attraverso modelli tridimensionali, o qualsiasi altro modo, e costruire un plastico per poter visualizzare meglio l'opera e aiutare gli ingegneri-giudici a scegliere quale fosse il miglior progetto, osservandone la scelta dei materiali per crearlo, le forme e la stabilità. Detto questo, Bourgogne aggiunse che ogni partecipante avrebbe lavorato a stretto contatto con gli altri: ci tenne a precisare che così facendo avrebbero avuto modo di confrontarsi con gli altri e ampliare le proprie idee, tuttavia, non senza un po' di competizione, nel puro spirito del rugby (e a Francesca venne in mente un motto ricorrente sul forum dei Bergamasco: "Giocare duro ma corretto"!).
La piccola folla cominciò a diradarsi via via che le persone si distribuivano nei vari uffici, e Francesca rimase per ultima insieme a Bourgogne e ad un'altra ragazza: aveva i capelli rossicci e mossi, gli occhi chiari e un po' di lentiggini sotto gli occhi, ed era minuta di statura. Il capoccia fece avvicinare le due ragazze, e presentò la sconosciuta in francese: si chiamava Christine e aveva 26 anni, ossia qualche mese più di lei (contando che in quella stessa settimana anche Francesca avrebbe compiuto gli anni).
- Bonjour Francèsca - esordì Christine, con un gran sorriso - Commènt ça va? - le strinse la mano.
- Tres bien, merci - rispose lei, notando che anche la pronuncia della sua nuova conoscente aveva qualcosa di strano.
- Christìne è inglessè, magarì potrete intondervi di più nella sua linguà! - Bourgogne cercò di rompere il ghiaccio fra le due, che si guardarono un po' sollevate, specialmente Francesca, visto che l'inglese era sempre stata la sua seconda lingua, al contrario del francese, mai parlato in vita sua.
- A direi la verità - parlò Christine, suscitando lo stupore della nostra - io riesco a parlare un po' di italiano, se può aiutarci a comprenderci meglio - il sorriso dolce e solare era ancora lì sulla sua faccia, mentre Francesca era sempre più convinta di essere entrata nelle grazie della Dea Bendata, ultimamente.
- Ancora megliò, no? - Bourgogne diede una pacca sulle spalle a entrambe, e le invitò a uscire dalla sala, per farle entrare in una stanza più piccola, con due scrivanie appoggiate ai lati opposti del muro, su ognuna delle quali stavano un computer e una pila di libri. La finestre di quell'ufficio davano su un Jean Bouin con qualche sprazzo di neve sulla sommità, e qualche chiazza bianca ancora ai suoi piedi, che si scioglieva piano piano, in quei giorni, per via del timido sole invernale che si affacciava dalle nuvole, nei freddi dicembrini di Parigi: Francesca però continuava a preferire la vista dal suo balcone.
- Bien... Adessò vi lasciò ai vostri lavorì! - Bourgogne fece per uscire dalla porta, ma si fermò un'istante - Ah, Franscescà: devo portorti a casà iò osgi pomerisgiò? - il tono era gentile come al solito.
- No, grazie capo... Volevo fare due passi e andare a fare la spesa, quindi non mi aspetti! - gli fece una riverenza per ringraziarlo comunque dell'invito. Bourgogne rispose con un cenno del capo, sorrise anche all'altra ragazza e se ne andò, fluttuando su quelle esili gambe.
Ci fu quell'ormai famoso momento di silenzio che precede le grandi chiacchierate. Le due ragazze si guardarono e cominciarono a tirare fuori il loro materiale, per poi apparecchiare le rispettive scrivanie.
- So... Italiana a Paris? - cominciò Christine, armeggiando a squadre e righelli di vario tipo.
- Già...! Mi hanno mandato qui dall'università per questo progetto, dopo la laurea... Vediamo un po' come va a finire... - Francesca tirò fuori dalla cartellina i disegni cartacei, e subito dopo estrasse il suo fidato portatile con annessa tavoletta grafica dallo zainetto, per poggiare il tutto sul tavolo - E tu? Vivi qui già da un po'? - guardò infine la compagna d'ufficio.
- rom un paio di mesi - guardò un attimo fuori dalla finestra - I miei genitori mi hanno aiutato a trovare una casa qui in Paris, but fino alla scorsa primavera ho vissuto a Madrid, lavorando di giorno in uno studio di architetti e di sera come barista in un english pub - pronunciando la parola "english" le vennero gli occhi lucidi dalla felicità - E prima di Madrid a Dublino, e prima di Dublino a... - si risvegliò dai suoi pensieri nostalgici, scuotendo la testa e tornando ad armeggiare con le sue cose - ... Oh gosh, non voglio annoiarti con la storia della mia vita! - Francesca, tuttavia, aveva smesso di sistemare le sue carabattole sul tavolo, e ascoltava con attenzione ed uno sguardo di pura ammirazione sul volto quello che Christine le diceva: aveva la sua stessa età, ma aveva vissuto una vita il doppio più dinamica della sua!
- Io? Annoiarmi?! - Francesca si riprese dalla sua sognante trance di ascoltatrice - Ma scherzi! Mi stavo proprio appassionando, invece! - fu la nostra eroina a fare un sorrisone all'indirizzo di Christine, stavolta, che rise, sedendosi alla sua scrivania.
- Tu quando sei arrivata here? - le chiese Christine, cominciando a ripassare con un pennarellino un disegno a matita su uno dei suoi fogli.
- Ieri, a dir la verità! - Francesca si diede una grattatina alla testa, e si sedette anche lei alla scrivania, aprendo il portatile e posizionandogli accanto la tavoletta - Il capo mi ha fatto sistemare in un appartamento fantastico a poco più di un isolato da qui, ieri sera siamo stati ad una fantastica festa di presentazione e... - arrossì, inevitabilmente - ... Ho dei fantastici vicini! - Christine la scrutò con occhi curiosi.
- Simpatici? - suppose Christine.
- Molto di più...- la incalzò Francesca, ridacchiando.
- Uhm... Let me guess... Carini? - riprovò Christine, continuando a ripassare.
- Molto, molto di più...! - un sorrisetto ebete sul volto della nostra.
- Oh my god...! Hai Johnny Depp come vicino di casa?! - entrambe risero, e Christine rischiò di fare un frego nero sul suo progetto.
- Megl... No, via, Johnny è sempre Johnny! - ma non stava male neanche lei in fondo, no...?
- Insomma, who are your neighbours?! - la ragazza inglese non ce la faceva più.
- Beh... Sono rugbisti... Due rugbisti in particolare! E fra l'altro - sospirò, ma di contentezza - sono i miei preferiti...! - aggiunse, fiera, pensando ai suoi rugbisti padovani.
- Wow! French or italians? - chiese Christine, pensando a chi potessero essere i misteriosi giocatori.
- Italiani, italianissimi - disse poi Francesca, tornando ad armeggiare al computer.
- Uhm... - Christine pensò per un attimo, poi fece una faccia da Archimede Pitagorico ogni volta che ha un'idea geniale - ... Non saranno mica i due che giocano nello Stade Français, vero? I fratelli... Well... Bergamotto? - quando Christine disse "Bergamotto", Francesca scoppiò in una risata divertita, e il computer quasi le cadde di mano.
- BergaMASCO, non BergaMOTTO! - disse Francesca tra le risate, mentre anche la sua compagna di stanza iniziava a ridere di brutto.
-Well, che vuoi che sia, sempre Berga sono, no? - la nostra annuì, mentre le risate cominciavano a calmarsi.
Erano le 9 ormai quando Francesca e la sua collega iniziarono a lavorare seriamente. Entrambe si diedero da fare nella loro modalità preferita: Christine utilizzò squadre, righelli, matite e pennarellini per terminare e rifinire i suoi disegni, mentre la nostra trasformava in modelli tridimensionali sul pc quello che aveva disegnato sulla carta. Quando fu ora di pranzo, Bourgogne venne a chiamarle, e le due decisero di andare a mangiare insieme da un paninaro italiano che Christine conosceva, proprio lì vicino allo stadio: Francesca scoprì infatti che la ragazza inglese adorava il cibo italiano, e la nostra non perse l'occasione per invitarla a cena nella sua nuova casetta, prima o poi, dove le avrebbe allestito un lauto pasto italiano. Parlarono anche di rugby durante il pranzo: Christine le disse di essere una grande tifosa dei Leicester Tigers, nonostante provenisse da Bath, un'altra città con una grande squadra; quando le parlò di tutte le volte in cui si era presa a cuscinate con suo padre e suo fratello durante le partite fra la sua squadra preferita e il Bath, Francesca si divertì un sacco, pensando che in casa sua quei problemi non c'erano mai stati, visto che lei e suo padre erano della stessa squadra(di calcio, però).
Tornate dal pranzo, continuarono a lavorare fino alle 3 del pomeriggio, finchè il capo non si affacciò dalla porta del loro ufficio.
- Ragassè, da questo momento siete libere di andorvene a casà! - rivolse loro uno dei suoi sorrisoni allegri - Franscescà, sei proprio sicura di non volèr un passasgiò? Guarda che a me non mi costà! - Monsieur Bourgogne insistette, ma Francesca continuò a fare cenno di no con il capo.
- E se ti lasciò davantì al supermercatò? Dai, su, ti aspetto sgiù al parchesgio, e non si discute con il capo! - le fece l'occhiolino, prima di andare via.
Francesca e Christine risero divertite: di solito i capi sono persone autoritarie e temibili, ma con Bourgogne avevano proprio pescato la giusta carta dal mazzo. Scesero insieme, e arrivarono al parcheggio: Christine aveva lì anche la sua bicicletta.
- Accidenti, appena posso me ne compro anch'io una! Così almeno potrò diventare indipendente e non contare sempre sulla gentilezza del capoccia... - Francesca guardava con aria invidiosa la Graziella bianca della sua compagna d'ufficio.
- Come on, io non mi lamenterei di avere un passaggio sicuro, al calduccio, di questi tempi freddi! - fece una panoramica intorno a sé con la mano, facendole notare gli alberi spolverati di neve e il freddo pungente che entrava nelle ossa: era la prima settimana di dicembre, e il clima sarebbe peggiorato di molto di lì a un mesetto, ci tenne a precisare Christine, mentre brividi di freddo già scuotevano il corpicino di Francesca, che pensò un "maremma maiala", mentre la sua compagna le parlava del futuro freddo parigino.
Bourgogne arrivò poco dopo, e le due nuove conoscenti si salutarono.
- See you tomorrow, nuova collega - Christine le strinse la mano - E mi raccomando: Leicester Tigers! Leicester Tigers! - in quel momento si stava tramutando in una tifosa di rugby di quelli con il boccale di birra in mano durante le partite, e Francesca rise di nuovo, come aveva fatto per tutta la giornata.
- Se prima o poi finiscono contro lo Stade, però, sai per chi tiferò! - fece una linguaccia alla nuova amica, che inforcò la bicicletta e se ne andò, canticchiando l'inno del Leicester.
Bourgogne la portò in macchina fino ad un supermercato vicino a Rue de Silly: da lì, una volta uscita, sarebbe potuta tranquillamente andare a casa da sola.
- A domanì, chèr - Bourgogne la salutò con la sua solita galanteria - Spero tu ti sia divertità oggi al lavorò! - Francesca le fece cenno di sì con il capo e lo salutò con la mano mentre partiva nuovamente sulla Bourgogne-mobile.
Nel momento in cui entrò nel supermercato cominciò a guardarsi intorno, alla ricerca delle cose che le sarebbero potute servire: prese un cestino e si avviò lungo le corsie.
Prese i cereali e i biscotti per la colazione (nonostante avesse gradito alquanto la colazione con il Bergamasco maggiore, risparmiare su quell'euro e qualcosina giornaliero le avrebbe potuto essere utile), il latte, il caffè (indispensabile per iniziare la giornata, e altrettanto indispensabile per il cappuccino fatto in casa con il latte che aveva appena comprato!), qualche sacchetto d'insalata, un po' di carne e qualche surgelato, tanto per cadere sempre in piedi le volte in cui non avrebbe avuto voglia di cucinare. Dopo aver preso qualche scatola di pasta, andò a prendere il pane, e quando fu davanti al banco della gastronomia... Le venne un'idea geniale. Comprò un bel po' di pane, due pagnottone piuttosto grandi, e poi andò a prendere un po' di pomodori belli grossi. Infine, prese un po' di odori(basilari per la sua grande idea) e tre pezzi di filetto.
Uscendo dal supermercato e dirigendosi verso casa ridacchiò fra sé e sé, guardando sulla sua destra il Bois de Boulogne, e lontano l'ombra della Tour Eiffel, nella tramonto all'orizzonte: la sua idea le era proprio piaciuta. Una volta arrivata al palazzo, entrò nel portone e prese l'ascensore; arrivata all'ultimo piano, trovò una sagoma familiare, in tuta blu a strisce rosa, con un borsone degli stessi colori appoggiato a terra e dei capelli boccolosi e biondi sulla testa: il Bergamasco minore, Mirco, che appena sentì l'ascensore aprirsi dietro le sue spalle, si voltò e le sorrise a 32 denti, per un lungo istante in cui alla nostra "sventurata" si paralizzò un sorriso ebete sulla faccia.
- Ehilà, vicina - esordì il rugbista, mentre lei usciva dall'ascensore, riprendendosi dalla trance - Prima giornata di lavoro? - Francesca annuì, cercando le chiavi nella borsa.
- Già, tutto a posto per fortuna... Non sono nemmeno troppo stanca! - non lo era, e alla vista di quel cherubino, beh... se ne avesse avuta, le sarebbe passata immediatamente.
- Beata te, io sono distruuuuuutto! - Mirco si stiracchiò mentre parlava - Sabato c'è la partita, e il mister ci vuole belli pronti... - il giovane si massaggiò le gambe, mentre Francesca lo guardava dal basso del suo metro e 60.
- Visto che sei distrutto, e magari lo sarà anche il tuo fratello chef - Francesca sapeva che era Maurone quello che cucinava, in casa Bergamasco - E visto anche che è tradizione della mia famiglia inaugurare ogni nuova casa con una cena... - notò lo sguardo di Mirco incuriosito, così tirò un respirone per incoraggiarsi e... - ... Perchè non venite a cena da me stasera? - era quella infatti la sua idea geniale.
- Da te? Due rugbisti grossi e mangioni come noi? Sei sicura? - Entrambi risero, e il sorriso killer di Mirco venne nuovamente fuori.
- Dai su, non fare complimenti...! Non vorrete mica far cenare da sola una povera donzella! - Mirco scosse la testa.
- No no, non sia mai! Siamo cavalieri sempre pronti a rispondere alla chiamata delle fanciulle e del buon cibo! - il tono con cui disse le ultime parole era "mauresco", e la faccia con cui Mirco le pronunciò fu veramente esilarante, così entrambi finirono per ridere di nuovo. - Beh, allora considera l'invito accettato...! Orario? - chiese, infine, prendendo il borsone e aprendo la porta di casa.
- Facciamo le 8... Ok? - anche Francesca aprì la sua porta, contenta.
- Ci saremo! - le fece l'occhiolino, e la salutò con la manina prima di entrare in casa - Sei una fan, quindi non ci avvelenerai, vero? - aggiunse infine con l'ultimo sorriso, mentre Francesca scuoteva la testa, ridacchiando ed entrando in casa.
Una volta entrata, Francesca volò sul pavimento lo zainetto e la cartellina, e si tuffò in una scivolata stile rockstar, per poi alzarsi e cantare "I feel good" di James Brown fra sé e sé. Si ricompose, continuando a ridacchiare e canticchiare, e dopo aver sistemato la spesa prese quello che le sarebbe servito per cucinare e si mise ai fornelli, tirandosi su le maniche del maglione.
Nell'appartamento di fronte, Mirco era entrato in casa ed era pigramente andato nella sua stanza, trascinando il borsone. Anche sul suo volto c'era un sorriso di felicità: era contento di aver visto la sua nuova vicina un'altra volta, e il suo invito a cena lo aveva piacevolmente sorpreso.
Si fece una rapida doccia e si infilò a letto, tirando un sospiro di sollievo appena fu sotto le coperte; tuttavia il suo desiderio di dormire fu stroncato sul nascere, dato che sentì la porta di casa aprirsi e il vocione di Mauro esclamare: - Chi è di casa? - al quale Mirco, non senza scocciarsi, rispose con un sofferentissimo - Ioooooooooo... -.
Il fratello minore si coprì la testa con il cuscino, ma Mauro venne lo stesso in camera sua.
- Welà! Sei in coma fratellino? - ridendo, il maggiore alzò un angolo del cuscino con la federa azzurra sotto il quale era sepolta la testa di Mirco, e lui, per tutta risposta, gli fece una pernacchia, per poi riafferrare l'angolo del cuscino e abissarsi di nuovo.
- Stavo solamente cercando di dormire un po'... Scusa tanto se gli allenamenti su di me hanno un effetto distruttivo, mentre tu sei profumato, pulito e tonico anche dopo aver fatto a botte per due o tre ore... - il sarcasmo era evidente, ma a Mauro piaceva essere sempre a posto, anche dopo due o tre ore di allenamento, quindi le prese in giro del fratello non avevano alcun effetto su di lui.
- E insomma... Ho incontrato Francesca stamattina, sai? - Mauro si sedette sul letto, accanto a Mirco sdraiato a pancia in sotto.
- Anch'io - rispose Mirco con la voce ovattata dal cuscino, da sotto il quale emerse parzialmente, per fare un sorrisetto all'indirizzo del fratello - E ti comunico ufficialmente che siamo a cena... diciamo fuori, va... - Mauro lo guardò con aria interrogativa.
- Fuori? Dove? - se gliel'avesse detto prima magari non sarebbe passato a fare la spesa... Quel pomeriggio era stato il suo turno.
- Qui di fronte! - ridacchiò Mirco - La nostra nuova conoscente ci ha invitato a mangiare a casa sua, è una tradizione della sua famiglia inaugurare una nuova casa invitando i vicini a cena - Mauro lo ascoltava, attento - E visto che siamo gli unici che conosce, beh... Insomma, stasera hai la serata libera, chef... - il Bergaminor tornò con la testa sotto il cuscino.
- Wow - Mauro sospirò, sorpreso - E vaben, vorrà dire che il tortino di patate lo farò domani sera! - fece spallucce e si passò una mano tra i capelli stranamente spettinati. Fece per alzarsi, quando gli venne in mente una cosa, alla quale aveva pensato per tutto il giorno, fin dal mattino.
- Mirco...? - chiamò il fratello, per destare la sua attenzione prima che si appisolasse di nuovo.
- Seh..? - Mirco si girò verso il fratello maggiore, con una guancia schiacciata sul cuscino.
- Ieri sera ho notato che eri molto a tuo agio con quella ragazza - cominciò Mauro - E ti ho visto anche molto... Beh, interessato - aggiunse con un sorriso complice, mentre Mirco lo guardava in modo strano e arrossiva leggermente.
- Ebbene...? - lo sguardo di Mirco era concentrato sul fratello maggiore, per cercare di capire cosa passasse dentro quella testa riccia e attraverso i suoi occhi cerulei.
- Ebbene, nemmeno io ho intenzione di perdere il tram, questa volta - il tono del Bergamaior era deciso, ma Mirco non riusciva a intendere quello che egli volesse insinuare - Insomma, diciamocelo chiaramente: è dolce, intelligente, femminile ma allo stesso tempo... è tosta come un uomo, sì - Mauro aveva il mento poggiato sul palmo della mano, e parlava di Francesca come fosse un vino, e lui fosse un sommelier - E ora che mi ci fai pensare, è anche molto carina. Oltre ad essere una delle poche donne davvero interessanti che siano mai passate di qui. - Guardò un punto fisso oltre la porta della camera, prima di piantare i suoi occhi terribilmente azzurri in quelli verde-grigio del fratello. Era incredibile come Mauro fosse riuscito a capire in una serata e una colazione insieme alla loro vicina così tante cose su di lei: e pensare che non gli era sembrato nemmeno così propenso ad ascoltarla, la sera precedente.
- Mi stai dicendo - Mirco si mise a sedere, rimanendo comunque sotto le coperte - Che hai intenzione di provarci con lei? - con un tono quasi indispettito il fratello minore fu schietto, e Mauro fece un sorrisetto.
- A dire il vero, avevo in mente qualcos'altro, fratellino - si avvicinò a lui e gli mise un braccio intorno alle spalle.
- Ti ascolto, canaglia - si pronunciò Mirco, incrociando le braccia sul petto.
- Interessa a me, interessa a te... Quindi, come vedresti una bella scommessa? - Alla parola "scommessa" Mirco strabuzzò gli occhi.
- Ma che cazpitina... - Mauro lo interruppe.
- Una scommessa su di me e su di te, s'intende - ci tenne a specificare - Un po' come quando eravamo piccoli, quando facevamo a gara a chi arrivava prima in bicicletta a casa del nonno, o chi faceva più punti sui calci piazzati in 5 minuti, agli allenamenti - Mirco sorrise a quei ricordi, ma la sua attenzione era ancora focalizzata sulla parola "scommessa".
- E cosa vorresti scommettere, sentiamo un po'! - lo incalzò il Bergaminor, al limite della curiosità.
- Scommettiamo su chi fra noi, per primo, riuscirà a conquistarla: a farla innamorare, a farla sua - Mauro aveva uno sguardo di sfida negli occhi - Chi vince, avrà il privilegio di poter avere accanto una come lei, e chi perde - si fermò un attimo - lascerà che si allontani e faccia la sua strada, con il vincitore... Allora - gli tese la mano - Accetti...? - Mirco continuava a guardarlo in modo strano.
I due si erano sempre confrontati in ogni ambito: il rugby, la scuola, gli amici, la popolarità, ma quello delle donne era un terreno su cui ancora non si erano mai affrontati.
Il ragazzo biondo ci pensò un attimo. Era bello e attraente("biondo era, e bello, e di gentile aspetto", come avrebbe detto di lui Dante), simpatico e tenero, e con le donne non aveva mai avuto problemi... Ma sapeva bene quanto fossero temibili il fascino e la parlantina di suo fratello, e dopo tutto aveva due occhi di un azzurro cielo che avrebbero fatto cadere anche la più tenace delle Amazzoni. Alla fine, si decise.
- E sia...! - strinse la mano del fratello maggiore, che lo guardò con un'espressione soddisfatta in viso e gli diede una pacca sulla spalla, prima di alzarsi.
- Sarà battaglia senza pietà, lo sai? - disse Mauro quasi sogghignando, citando un film di un po' di anni addietro, alzandosi dal letto e andando verso la sua stanza.
- Lo so, lo so... Emissario dei Gorgonauti! - gli rispose Mirco, citando lo stesso film.
Il tre quarti ala dai capelli biondi si sdraiò di nuovo, ma a pancia in su, e sospirò, tuttavia con il solito sorriso sognante sul volto. Per quella sera aveva deciso di mettersi una maglietta e un jeans molto semplici, ma visto che sarebbe stata "battaglia senza pietà", avrebbe optato per qualcosa di più elegante.
Mauro intanto, già sotto la doccia, pensò alla scommessa. Si chiese se Francesca avrebbe scoperto la loro piccola sfida, se avrebbe ceduto, prima o poi, a uno dei due (Mauro ne era matematicamente certo, dopotutto era una loro fan!) o se i loro sforzi di conquista si sarebbero rivelati inutili.
L'unica cosa sicura, era che avrebbe utilizzato tutte le cartucce a sua disposizione per vincere, perchè nonostante un rugbista debba sempre essere pronto ad accettare le sconfitte... Stavolta, non si sarebbe sicuramente guadagnato un bel cucchiaio di legno.
Intanto, le 8 erano arrivate.
Sul fuoco la pappa al pomodoro stava finendo di cuocersi, mentre il filetto al pepe verde era già pronto per essere servito. La tavola era apparecchiata con una tovaglia a quadri blu e bianchi, i piatti erano azzurri (li aveva scelti apposta per l'occasione!), i bicchieri erano due, uno per l'acqua e uno per il vino (che nonostante non le piacesse aveva deciso lo stesso di mettere a disposizione dei suoi due commensali, che magari ne avrebbero gradito un po'), e le posate erano in ordine accanto al piatto. Stranamente aveva fatto tutto in orario, ed era riuscita anche a cambiarsi: si era messa un collo alto nero, un maglioncino a maniche corte grigio e i soliti jeans scuri; non aveva nessuna sorta di scarpe alte, perchè dato che sarebbero stati seduti a tavola per la maggior parte della serata nessuno avrebbe fatto caso alla sua altezza... O così, almeno, sperava.
Alle 8 e 5 minuti, bussarono. Il cuore le si fermò per un istante, ma fu abile nel ricomporsi immediatamente: si sistemò i capelli di fronte allo specchio che era in corridoio e aprì la porta, dopo un sospiro d'incoraggiamento.
- Bon soir! - esordì Mauro, con un tono di voce allegro. Aveva i capelli leggermente bagnati, un maglione a collo alto bianco e jeans neri, e fra le mani aveva una bottiglia di vino. Anche il più piccolo dei Bergamasco aveva i capelli un po' meno gonfi del solito, tenuti a bada, probabilmente, da un po' di schiuma, indossava una camicia celeste chiaro un po' aperta sul petto e jeans blu scuro.
- Buona sera a voi, carissimi! - rispose Francesca con una riverenza, aprendo loro la porta per lasciarli entrare.
Passandole accanto, il Bergamaior le diede i convenevoli baci sulla guancia e le consegnò il vino; il fratello biondo fece lo stesso, ma le diede in mano un pacchettino di carta bianca, di quelle da pasticceria. Nel momento in cui la salutarono fu avvolta dal profumo che i due ragazzi avevano addosso: riconobbe la fragranza dello Hugo Boss, uno dei suoi preferiti, addosso a Mirco, e il familiare odore del Bulgari Blu, forte, maschile e deciso, su Mauro.
- Potevamo mica presentarci a mani vuote, no? - le sorrise Mirco, con un leggero rossore sulle guance.
- Ma figuriamoci, siete stati fin troppo gentili! - Francesca prese i regali dalle loro mani e chiuse la porta con la punta del piede - Ehm... Ragazzi, vi chiedo troppo se vi faccio aprire il Bellini, l'aperitivo? - li supplicò, mostrando le mani occupate - Io devo stare un attimo dietro alla cena! - mise il pacchetto in frigo e posò la bottiglia di vino sul tavolo, per poi dare una girata con il mestolo alla padella sul fuoco.
I due si guardarono, e appena videro il cavatappi si diressero entrambi a prenderlo: fu Mirco il più fulmineo, e appropriandosi della bottiglia dal liquido rosa (chissà, magari Francesca l'aveva scelto apposta!) fece una linguaccia al fratello maggiore, mentre la ragazza era girata ai fornelli.
- Ah, dimenticavo - fece Mauro spelluzzicando un crostino fra quelli messi a tavola - Ho optato per un rosso, non sapendo quale fosse il "tema culinario" della serata...! - specificò.
- Non avresti potuto optare meglio, caro il mio flanker - rispose Francesca, alzando il coperchio sulla padella con il filetto - Carne, stasera! - sorrise a entrambi.
- Gnam! - Mirco venne a curiosare fra i fornelli, annusando il buon odore che proveniva dalle padelle, e trovandoselo accanto all'improvviso, la nostra eroina arrossì vistosamente.
Il Bergamauro aveva intanto riempito i tre bicchieri con il Bellini, e ne portò due a Francesca e al fratello minore.
- Brindisi, allora! - il moro alzò il bicchiere, e gli altri due fecero lo stesso.
- Alla mia nuova casa, e ai miei nuovi vicini! - guardò i due fratelli, che fecero un cenno con il capo, e tutti insieme accostarono i bicchieri.
- Bene! - disse Francesca dopo aver bevuto il suo aperitivo - A sedere, fratelli! - e li invitò a sedersi: lei sarebbe stata a capotavola, e i due si sarebbero disposti alla sua destra e sinistra; lei, intanto, portava in tavola la padella con la pappa al pomodoro - Spero vi piaccia, è una specialità delle mie parti! - concluse, servendoli.
- A vederla sembra mooooolto buona...! - si pronunciò Mirco, brandendo la forchetta - Cos'è? - chiese, curioso.
- Pappa col pomodoro! - rispose la cuoca della serata, finendo di fare i piatti e mettendosi a sedere -
Quella della canzone! - aggiunse, iniziando anche lei a mangiare.
- Viiiiiiiiva la pappappappààà... - cominciò a cantare Mauro, ma il fratello minore prese il coltello e guardò il maggiore con aria assassina, e Francesca si godette la scena ridendo.
- Ti prego, risparmiaci! - disse Mirco, allargando le braccia, mentre la nostra continuava a ridere.
Mentre mangiavano non smisero mai di chiacchierare, esattamente come alla festa: c'era un non si sa cosa di armonioso e tranquillo che si poteva respirare nell'aria tutto intorno a loro, quando erano insieme, come se fossero stati amici da sempre.
I complimenti alla cucina di Francesca si sprecarono, da parte di entrambi, ma ognuno li fece a modo suo: Mirco le disse che cucinava meglio della mamma, e Mauro... Arrivò addirittura a dirle che cucinava meglio di lui!
- Dopo tutto, una donna in cucina è sempre un'artista - sentenziò il Bergamauro, con aria solenne
- E per quanto un uomo possa essere bravo fra padelle e pentole... - ammise poi, con un sorriso (pur sempre killer...) rassegnato e facendo spallucce.
- Eddai, dillo che ti brucia! - lo punzecchiò il fratello minore, versandosi un bicchiere di vino e offrendone un po' alla nuova amica - Fino ad ora, non avevi mai trovato nessuno che ti superasse in cucina...! Apparte la mamma e la nonna, si intende! - fece un occhiolino a Francesca, che guardò entrambi con un sorriso dolce sulle labbra, con i gomiti appoggiati sul tavolo e il viso fra le mani.
- Io penso - disse Francesca, cominciando ad alzarsi per sparecchiare prendendo i piatti ormai vuoti per metterli nella lavastoviglie - Che un uomo che cucina sia davvero... - Mirco si alzò e passò i bicchieri e le posate ancora in tavola alla padrona di casa - ... Affascinante, oltre ad essere una grande comodità e una rarità, al giorno d'oggi! - risero, e Mauro si sentì fiero delle sue abilità culinarie, e il ragazzo biondo, a questo complimento indiretto al fratello maggiore, reagì pensando un "Cazpitina... 1 a 0!".
- E un uomo-lavastoviglie, come lo vedresti? - provò Mirco, con una faccetta simpatica, continuando a togliere cose dal tavolo.
- Beh... - Francesca squadrò il Bergaminor, e poi gli scompigliò i capelli - ... Lo vedrei bene, davvero bene! - sorrise - Ci vorrebbe una via di mezzo fra l'uomo-cuoco e l'uomo-lavastoviglie, già! - concluse, mentre Mauro prendeva la tovaglia e la andava a sgrullare sul balcone, e anche lui fu colpito da quella straordinaria visione parigina.
- Ulalà... - esclamò, sorpreso - Vieni un attimo qui, fratellino! - Mauro chiamò Mirco con entusiasmo.
Mirco andò sul balcone con il fratello, e suoi occhi si fecero quasi lucidi per l'emozione.
- Perchè la vista dal balcone del vicino è sempre più verde, eh? - disse il Bergamasco minore, incrociando le braccia sul petto, mentre anche Francesca li raggiungeva, sorridendo fra sé e sé.
- Bello, vero? - si appoggiò, sognante, alla balaustra - è stata la prima cosa che mi ha colpito di questo posto... - in sottofondo si sentivano soltanto le poche macchine che passavano per Rue de Silly. Di fronte a loro, la distesa di Parigi illuminata sembrava infinita.
- Vorrei ben vedere...! - disse Mauro - Penso sia inevitabile restare ammaliati da una vista del genere... - eccola lì: la parlantina di Mauro Bergamasco, letale e meravigliosa... per chiunque.
Francesca sospirò e tornò dentro, sdraiandosi a pancia in su sul divanetto, mentre i fratelli Bergamasco la seguirono e si misero a sedere vicino al tavolo.
- Insomma... - disse lei stiracchiandosi - ... Grazie per avermi tenuto compagnia ancora una volta, brothers...! - i due fecero un cenno come a dire "Ma figurati!".
- Te l'ho detto oggi, no? - le rispose Mirco - Disposti sempre all'obbedienza! - Francesca rise, divertita dalla citazione manzoniana, mentre gli occhi cominciavano ad chiudersi.
- E da quando ti ricordi i Promessi Sposi tu? Non eri quello bravo a matematica? - gli chiese Mauro, con un sorrisetto di presa in giro sul viso.
- Io mi ricordo piùùùùù di quanto tu possa immaginare, fratellaccio mio... - lo apostrofò il biondino.
- Ma va là, se non ti ricordi neanche quello che hai mangiato a pranzo! - il Bergamaior fece per tirare uno schiaffetto al fratello, ma quest'ultimo si scansò appena in tempo.
- E tu non ti ricordi nemmeno il mio numero di telefono, a momenti! - gli fece una boccaccia, ma Mauro stavolta fu abbastanza veloce da colpirlo. Finita la breve lotta, si voltò verso la ragazza... e notò che la loro nuova vicina si era addormentata, tranquilla, sul divanetto. Sul volto del Bergamasco maggiore si dipinse un'espressione dolce, e quando Mirco vide che suo fratello aveva smesso di "picchiarlo affettuosamente", si soffermò anche lui sulla figura femminile sul divano.
- Andata - disse Mirco, sottovoce - E ora che si fa...? - chiese al fratello maggiore, continuando a osservare la ragazza e sorridendo anch'egli, appoggiando la testa sul palmo della mano.
- Prendiamo le nostre cose e ce ne andiamo, biondo... - diede una pacca sulla spalla al fratello minore, e si alzò dalla sedia. Anche Mirco si alzò, ma all'improvviso si fermò, immobile.
- Io ho un'idea migliore...! - disse ancora sottovoce, il ragazzo, avvicinandosi al divano e facendo per prendere in braccio Francesca.
- Ma che fai...?! - lo rimproverò Mauro, mentre il fratellino prendeva delicatamente fra le braccia la giovane ingegnera e si avviava verso la camera, noncurante di quello che il fratello gli diceva.
- La porto in camera sua... Tanto per farla svegliare in un posto più comodo del divano, domani mattina, no...? - rispose Mirco, per poi rivolgersi nuovamente al fratello - Vieni con me! - gli disse, sempre piano.
- Attento a non svegliarla, tosatèlo(che voleva dire "ragazzino", in dialetto veneto)...! - si preoccupò Mauro, seguendo in punta di piedi il fratello minore.
Quando furono in camera, fu il maggiore a tirare giù le coperte del letto, così che Mirco poté adagiarvi la ragazza; infine, tirò su il piumone, in un modo un po' impacciato, ma tuttavia tenero, coprendola fino alle spalle. Appena fu sotto la morbida coltre, la ragazza si girò su un lato, dando le spalle ai fratelli, che si guardarono fra di loro.
- A letto anche noi adesso, fratellone... - disse Mirco sbadigliando e avviandosi verso il corridoio.
- Ma di corsa anche...! - rispose Mauro, sorridendo e guardando ancora la ragazza. Non seguì subito il fratello verso la porta dell'appartamento: lui rimase un secondo in più nella camera, perchè volle accarezzare con la grande mano da rugbista i capelli della dormiente Francesca, con un sorriso sulle labbra. Mirco si riaffacciò per vedere come mai il fratellone stesse tardando, e quando lo vide, gli disse: - Ehi, non si attaccano i nemici alle spalle...! - sempre sottovoce però, s'intende. Mauro si girò verso di lui, con aria innocente.
- Non l'ho nemmeno sfiorata, bello mio...! - gli disse, vago, prima di uscire dalla stanza.
Il Bergaminor, ancora lì, soffiò un bacio in direzione della giovane amica.
- Buonanotte, piccola fan... - sussurrò nell'ombra, per poi andarsene.
Cap III. Take a chance on me
Alzarsi e scaraventarsi giù dal letto fu un tutt'uno, non appena ebbe visto che ore erano: fra un quarto d'ora, il capo sarebbe passata a prenderla, e lei era ancora in pigiam... Ehm.
No, un momento. C'era qualcosa che non andava: perchè invece del pigiama rosso con gli orsetti aveva ancora addosso jeans e maglietta! Che storia era mai quella? Tuttavia, seppure qualche idea le era balenata nella mente, si lavò, si cambiò da capo a piedi e si fiondò fuori di casa.
Mancavano due minuti alle 8, l'orario in cui sarebbe arrivato Bourgogne: una volta uscita dal portone mangiò la mela che aveva nella borsa, dato che non aveva fatto colazione, e si girò intorno per cercare il capoccia con lo sguardo. Un attimo dopo una Renault blu scura si fermò in doppia fila, e l'autista suonò il clacson. Francesca riconobbe il capo e corse alla macchina, continuando a mordere pezzi di frutta.
- Sei di frettà, carà? - le disse Bourgogne, preoccupato, guardandola entrare trafelata nell'auto.
- Mi fono sfefata prefto! - disse Francesca, ancora a bocca piena.
- Sfefatà...? - il francese pensò un attimo, poi il colpo di genio lo raggiunse - Ah! Svegliatà! - la guardò, sorridendo, finchè la sua attenzione non fu catturata da una figura fuori dal finestrino, dalla parte di Francesca, che stava bussando al vetro.
- Incontrarsi sta diventondo un abituè, monsieur Bergamascò! - a queste parole, la ragazza si girò di scatto, e si ritrovò a trenta centimetri dal viso di Mauro, che sorrideva, affacciato dentro la macchina, dopo che Bourgogne ebbe aperto il finestrino. A momenti avrebbe sputato pezzetti di mela dalla bocca, ma per fortuna si trattenne in tempo. Pensò anche che i suoi vicini dovessero avere una passione smisurata per le sorprese e le apparizioni improvvise...!
- Gli orari ce lo concedono, Jacques! - disse il maggiore dei Bergamasco - Buongiorno a tutti e due... - aggiunse poi, voltandosi verso Francesca, non trattenendo una risatina divertita alla vista della vicina che tentava di sorridergli con le guance gonfie per via dei bocconi di frutta che le riempivano. La ragazza, rossa in viso, mando giù ed emise un sospiro di soddisfazione.
- Ciao Maurone... - gli disse lei, guardando un attimo in basso, giocherellando con la sciarpa, mentre il capo la osservava divertito, ridendo sotto i baffi (che non aveva, fra l'altro).
- E si comiscià una nuova sgiornatà... Mi raccomandò con il Bayonne, sabatò! - si preoccupò di dire alla terza linea, che strinse il pugno in segno di assenso. Mauro poi si avvicinò a Francesca, tanto che riuscì quasi a sentire l'inebriante profumo del Bulgari Blu.
- Ehi, hai dormito bene...? - le chiese, sottovoce, ed un sorriso premuroso sul volto.
- Bene, bene... - continuò a guardare in basso, e poi si voltò verso il ragazzone - E... E tu? - replicò, per continuare la conversazione.
- Divinamente - disse lui - Persino Mirchètto mi ha detto di aver dormito bene: stanotte non ho russato...! - concluse, riuscendo a fare una risata alla ragazza.
- Bien - disse poi Bourgogne - Mi dispiasce terribilmonte interrompere questa grassiosà conversasiòn... - Francesca guardò con occhi assassini il capo, per l'imbarazzo - ... Ma è orà! Arrivederscì, carissimo! - il capo si allungò per stringere la mano a Mauro, passando davanti al viso della dipendente.
- Sempre un piacere! - Mauro diede poi un ultimo sguardo a Francesca, per poi uscire con la testa dalla macchina, non prima di aver spettinato i capelli della ragazza.
Capoccia e ingegnera partirono alla volta dell'ufficio. Bourgogne, ad un certo punto, iniziò a ridacchiare da solo.
- Che c'è? Cosa c'è di tanto divertente nel traffico del mattino di Parigi...? - chiese Francesca, curiosa, ma anche consapevole di quella che sarebbe potuta essere la risposta dell'uomo.
- Sc'è che sei così... Così... - Bourgogne pensò un attimo - ... Carinà! E dolsce! Ti sciogli ogni voltà che uno di quei due giovanottì si avviscina a tè! - la guardò, con gli occhi premurosi di un padre, che tuttavia prende in giro la figlia per il suo modo di manifestare così vistosamente i propri sentimenti.
- E io che ci devo fare... Purtroppo, è più forte di me! - si giustificò lei, diventando bordeaux in volto e allargando le braccia.
- Non sc'è mica niente di malè, saì? - le rispose lui, parcheggiando, visto che ormai erano arrivati - Anch'io arrossireì di continuò se avessi così tante occasionì di vedere... Che so, la mia attrisce preferità! - la rincuorò lui, spengendo il motore e uscendo dalla macchina.
Francesca sospirò, e prese le sue cose dalla Renault. Era appena scesa, quando, mentre era ancora girata di spalle, un razzo in bicicletta le passò accanto, facendola sussultare.
- Non farlo mai più!! Ne ho avute troppe di apparizioni improvvise, per oggi! - le disse, con il cuore impazzito per l'agitazione.
- Alright, sorry Frank! - Ci mancava soltanto che la sua collega d'ufficio le desse un nomignolo da uomo... Ora sì che era a posto!
Dopo che anche la appena arrivata Christine ebbe salutato il capo e parcheggiato legato la bici con la catena il trio si diresse verso gli uffici. Il freddo era loro compagno in quel mercoledì mattina dei primi giorni di dicembre: all'amica inglese di Francesca però sembrava non fare effetto, dato che mentre la nostra bubbolava immobile sotto il suo cappottone e la sua sciarpa, la sua nuova amica saltellava e giocherellava con qualcosa che aveva tirato fuori dalla borsa non appena scesa dalla bici, e che faceva volare su e giù, che a un certo punto arrivò in testa alla ragazza italiana. Era un pallone da rugby in miniatura! Precisamente, era un palloncino ovale rosso e bianco, lungo quanto una bottiglietta d'acqua e largo quanto il palmo di una piccola mano, con sopra stampata la rosa della Rugby Football Union. Francesca lo raccolse dopo che fu caduto a terra e lo porse all'amica, che fischiettava indifferente, come a far capire che non era stata lei.
- Bello però - le disse la nostra, mentre intanto erano arrivati dentro l'atrio degli uffici e cominciavano a salire le scale - Ce n'ho anch'io uno simile, solo che il mio è azzurro, ovviamente... - ci tenne a precisare, fiera.
- L'ho portato apposta, sai? - le rispose, rimettendolo nella borsa a tracolla - Così, oggi, after lunch, possiamo fare un paio di passaggi! - entrarono nella loro stanza e si diressero verso i rispettivi "posti di comando" - Tanto di fronte allo stadio c'è un sacco di spazio verde, yeah! - aggiunse Christine, contenta al pensiero di aver trovato finalmente una compagna di giochi.
- Non ho mai giocato, ma questa... - pensò Francesca - ... potrebbe essere l'occasione per iniziare! - concluse, infine, mentre l'amica era sempre più contenta.
Iniziarono il loro lavoro, e per un po' nel piccolo ufficio non si sentì altro che la musica dalle cuffie della ragazza inglese e i suoni che il MacBook di Francesca ogni tanto emetteva. Fin quando la nostra eroina non decise di raccontare a quella nuova e unica conoscente parigina di sesso femminile la serata che aveva trascorso in compagnia dei suoi rugbisti padovani.
Le raccontò tutto: ogni dettaglio, come erano vestiti, il profumo che emanavano, cosa gli aveva cucinato, ma soprattutto le raccontò di essersi svegliata nel suo letto, nonostante si ricordasse perfettamente di essersi addormentata sul divano.
- Well... Ci sono due possibili spiegazioni, dear - le disse l'amica, mentre continuava a scartabellare i suoi fogli e foglietti - Number one: sei sonnambula, e ti sei portata a letto da sola! - Francesca la guardò con un'espressione che voleva dire "Mi sai prendendo in giro...?" - E, number two: uno dei due invitati... Beh, ti ha portata... A letto! Letteralmente, I'm saying! - a questa seconda opzione, la sua reazione fu ancora più incredula. Voleva dire che i fratelli Bergamasco l'avevano presa in collo (o meglio, uno dei due) e l'avevano portata in camera sua, rimboccandole le coperte come si fa con i bambini...? E magari le avevano anche dato il bacino della buonanotte! Questo pensiero la fece ridere quasi istericamente, e l'amica la guardò con aria interrogativa.
- What? Chi pensi che ti c'abbia messo in camera, la fata dei dentini?! - continuò Christine - Credo sia elementare, Watson: dormivi sul divano e sei finita in your bed... Se non cammini nel sonno, possono essere stati solo loro due! - seguì un attimo di silenzio, e Francesca continuò a sforzarsi per cercare di ricordare qualcosa, ma niente - E poi puoi sempre chiederglielo, come on! - Sì certo, come se sarebbe potuta essere una cosa tranquilla chiedere ai suoi nuovi conoscenti una cosa come: "Mauro? Mirco? Chi di voi mi ha portato a nanna, ieri sera?". Se l'avesse fatto, poi si sarebbe sotterrata in una cripta per non riemergere mai più. Dall'imbarazzo e dalla vergogna, s'intende.
- Ok... Farò finta di non aver sentito... - Francesca si rimise alla scrivania, e lavorò di nuovo.
- Yeah... Come se l'idea non ti piacesse! - l'amica inglese la prese in giro - La prossima volta, maybe, puoi farti leggere una favola! The Beauty and the Astonishingly Beautiful Rugby Player, ad esempio! - la ragazza italiana rise e le fece una linguaccia.
Quella mattina, intanto, i loro progetti cominciarono a delinearsi: entrambe avevano già buttato giù un'idea per le fondamenta e la struttura alla base dei loro stadi.
Quello di Christine voleva essere a metà strada tra il Wembley Stadium di Londra e il Bird's Nest di Pechino: uno stadio moderno a vedersi e pensato per un gran numero di persone, pronto ad accogliere qualsiasi evento rugbistico e non senza lasciar fuori dai cancelli nessuno.
Il disegno di Francesca, invece, aveva innanzitutto forma ovale, tanto per non confondersi su quale fosse stata la sua finalità; aveva anche pensato alla copertura, che sarebbe stata leggerissima e richiudibile, oltre a concepirlo come uno stadio in materiali ecologici, e che avrebbe supportato un aggiunta di spalti occasionali, in caso di partite importanti al quale avrebbe assistito una folla superiore a quella contenibile di norma. Il capo venne a vegliare sul loro lavoro un paio di volte, e restò piacevolmente sorpreso dalle qualità di entrambe le ragazze: dopo tutto, erano entrambe arrivate alla "finale" di quel concorso, no?
A ora di pranzo, le due amiche si recarono al baracchino italiano per mangiare, e dopo due sostanziosi panini a testa iniziò la mini lezione di rugby di Christine.
- So, innanzitutto - le disse passando all'altra ragazza la palla da qualche metro più avanti - il pallone si passa all'indietro! - aggiunse, in tono sarcastico.
- Davvero!?! Noooo! - le rispose Francesca, con un'espressione di finta sorpresa in volto, per poi scoppiare a ridere.
- E poi, se qualcuno ha the ball in mano... - continuò Christine, iniziando a correrle dietro - ... LO INSEGUI PER TUTTO IL CAMPO! - urlò la ragazza inglese correndo dietro alla nostra eroina, finchè non riuscì a prenderla e a buttarla sull'erba.
- Fin qui... tutto... - fra le risate, Francesca riuscì a rialzarsi in piedi con l'aiuto dell'amica - ... chiarissimo! - finì la frase, ripulendosi.
- And... Quello che ti ho appena fatto, bringing you down... - disse poi Christine, prendendo il palloncino sotto braccio - ... Si chiama tackle! Placcaggio! - concluse, con tono solenne. Poi prese la palla e la mise sopra ad un bicchierino di carta, di quelli in cui avevano bevuto l'acqua durante il pranzo, e si allontanò un po' dall'amica.
- Ok now: prova a calciare! - erano ad una ventina di metri dai cancelli del Jean Bouin, che si stagliava grande di fronte a loro.
- Ma io... Io non ho mai calciato, non vorrei combinare guai! - si preoccupò Francesca, mentre la ragazza inglese la spingeva vicino al pallone - E se poi mando la palla oltre i cancelli?! - terminò, mangiandosi le unghie per l'ansia.
- Come on! Non aver paura! - la incoraggiò, posizionandola davanti all'ovalino - It's the first time, probabilmente la palla non farà nemmeno un paio di metri! - concluse, prendendola un po' in giro.
La nostra eroina, così, decise di tentare. Pensò ai cancelli dello stadio come se fosse l'H formata dai pali del campo da rugby, prese la rincorsa dopo aver fatto un sospiro (voleva emulare Mirco prima dei suoi calci piazzati nel test match contro la Samoa...) e tirò.
Ovviamente, se qualcosa può andar male, bisogna star tranquilli che prima o poi ci andrà e... il mini pallone, dopo una lunga traiettoria, finì per passare oltre gli ideali pali costituiti dal cancello e rimbalzò per qualche metro, finendo nello spiazzo asfaltato che c'era tra l'entrata e la galleria che portava verso il campo. Nel cielo di Parigi, riecheggiò un "IO TI UCCIDO!!!": Christine aveva ricominciato ad inseguire la povera Francesca che, costernata, cercava di scusarsi con l'amica, mentre questa si lamentava di aver perso il suo pallone preferito, per sempre.
- Dai! Proviamo ad affacciarci al cancello e a chiamare! Magari qualcuno arriva! - Francesca arrivò a questa idea geniale, e l'inglese si fermò, con il fiatone.
- Se non c'è nessuno, scavalcherai i cancelli, sweetheart! - la avvertì l'amica, mentre la ragazza italiana si avvicinava all'entrata dello stadio, arrivando a infilare il viso fra due sbarre.
- Ehm... Escuse moiiiiiiiiiiiiiii! - urlò Francesca, sperando che qualcuno la sentisse - Donnez-moi le ballon, s'il vous plaît! - continuò a berciare.
Non videro nessuno, così la nostra neo rugbista fu costretta a iniziare la scalata dei cancelli: fu però fermata dall'amica, che le fece notare una sagoma che si stava delineando nell'ombra del sottopassaggio per il campo, venendo verso di loro. Francesca scese, e strizzò gli occhi per vedere meglio, ma fu Christine che parlò per prima.
- But... Quello non è uno dei tuoi vicini? - le disse, mentre la nostra cominciava ad avere un turbinio di farfalle nello stomaco.
- D-d-direi di sì - affermò, riconoscendo piano piano la persona che veniva verso di loro, che ad un certo punto si chinò per raccogliere il pallone: i capelli biondi che portava ondeggiarono, e il suo bel volto fu decorato da un sorriso vivace, non appena si rialzò. Il Bergaminor, Mirco, stava arrivando presso i cancelli del Jean Bouin, e il battito nel petto di Francesca si fermò per quel solito, lungo, familiare istante.
- Pensavo tifassi per noi Azzurri, traditrice! - le disse il ragazzo biondo, ridendo, mentre gli occhi chiari e luminosi passavano dal pallone all'amica.
- ... Infatti, signorino, si dà il caso che quella palla sia della mia amica, qui! - gli rispose Francesca, con il volto ancora fra le sbarre, intanto che Mirco si era ormai avvicinato all'entrata.
La ragazza italiana si voltò per chiamare Christine, ma questa aveva risposto al cellulare e le fece un cenno per dirle di aspettare due secondi.
- E comunque, signorina...- la bacchettò il più piccolo dei Bergamasco, infilando una mano sotto il grande chiavistello e aprendo, con enorme sorpresa della ragazza, il cancello - ... La prossima volta, ricordati che è tutto aperto! - concluse, facendole l'occhiolino e dandole in mano l'ovale.
Entrambi risero, e Francesca, ormai fuori dalle sbarre, stava davanti al suo tre quarti ala preferito, con i capelli scombinati e qualche goccia di sudore che si faceva strada sotto la frangia.
- Insomma... Anche tu qui eh? - continuò la ragazza, guardandosi le scarpe da ginnastica.
- Sai com'è, qui ci gioco, io! - disse Mirco, con la solita pernacchietta affettuosa che rivolgeva anche al fratello maggiore - Tu invece hai gli uffici qui vicino, vero? - la sua vicina annuì. Ci fu l'ennesimo momento di silenzio in cui nessuno dei due parlò, ma in cui si guardarono, ma non contemporaneamente: quando lei guardava il ragazzo biondo, il Bergaminor non guardava lei, e viceversa.
- Pronto anche tu per sabato? - riprese poi Francesca, guardandolo di nuovo in viso, nei profondi occhi verde chiaro.
- Oh yes - le rispose, con la "s" della parola "yes" pronunciata in quel modo talmente dolce e particolare tanto da farla ridurre ad un brodo di giuggiole almeno quanto lo sguardo del Bergamaior - Sarà un sabato impegnato, già! - aggiunse, fregando nuovamente il pallone dalle mani della ragazza, per giocherellarci.
- Fateli neri eh! - lo incoraggiò, per poi abbassare nuovamente gli occhi - Quindi, sabato sera vi dedicherete completamente al terzo tempo... giusto? - gli domandò.
Sabato sera sarebbe stato il suo 26esimo compleanno.
- Beh, sì, la tradizione va rispettata... perchè? - la guardò, incuriosito, infilandosi una mano nella tasca della giacca blu a strisce rosa che indossava sopra la maglietta da allenamento.
- Sabato compio gli anni, sai... - diventò rossa in volto, continuando a guardare in basso - ... E visto che qui a Parigi gli unici "visi amici" che vedo tutti i giorni sono quelli del capo Bourgogne, di Christine - fece un cenno con la testa all'amica inglese alle sue spalle - e tuo e di Mauro... Mi farebbe piacere festeggiare anche... con voi, ecco... - riuscì a concludere, con un sorriso, continuando ad essere di un vivo rossore sulle guance.
- Compleanno? Cazpitina! - disse Mirco, sorpreso - Sai com'è, i terzi tempi sono noiosi ultimamente, quindi... - il ragazzo biondo prese la palla e con essa diede un colpetto sulla testa di Francesca, che alzò il viso, guardandolo - ... Penso proprio che anche il Maurone sia stracontento di venire, sai? - terminò la frase, sorridendole, e arrossendo anch'egli. La nostra eroina non si sarebbe aspettata di ricevere una risposta tanto rapida (ma sopratutto positiva!): pensava che il Bergaminor magari avrebbe detto "Non so, dai, chiedo a Mauro se gli va, ti faccio sapere"... E invece era stato felice di accettare il suo invito, e convinto del fatto che anche suo fratello sarebbe venuto, senza problemi di sorta. Insomma, in fondo erano degli sconosciuti, no? Cosa li obbligava a venire? Niente, appunto, e la loro gentilezza e disponibilità verso di lei la faceva salire ogni giorno di un metro di più verso le stelle.
- Verreste...? Davvero davverissimo? - disse la ragazza, con gli occhi lucidi per la contentezza.
- Davvero davverissimo - ripetè Mirco, annuendo in modo deciso, e dandole di nuovo il pallone sul capo - Una fan non fa mica gli anni tutti i giorni, no? E allora in quel giorno, per tutti i fulmini dello Stade, noi saremo presenti! - concluse, assumendo una posa da super eroe.
- Che onore! - fece una riverenza al suo indirizzo, e poi gli sorrise di nuovo - Beh allora, visto che mi hai detto subito di sì senza avermi dato il tempo di provare a convincerti, penso sia ora di tornare in ufficio, adesso... - Mirco allargò le braccia come a dire "Eh insomma, lavora un po' anche tu!".
- Ci becchiamo sul pianerottolo, allora! - disse poi il Cherubino, ridandole definitivamente l'ovalino dell'Inghilterra, e facendole un inchino.
Francesca annuì, e salutandolo con la mano tornò verso Christine, che era rimasta lì a qualche metro di distanza ad aggeggiare al cellulare ("Per non disturbarvi, no?" disse alla ragazza italiana).
- Che ti ha detto, the blonde guy? - le chiese la ragazza inglese, mentre si avviavano verso gli uffici.
- A dir la verità, l'ho invitato io a venire al mio compleanno, sabato - disse l'ingegnera italiana, con un sorriso da tonta (ma felice) sulle labbra - Lui, e suo fratellone! - continuò, mentre Christine la guardava con una faccia che voleva dire "Addirittura!".
- Francèèèè! - Mirco stava correndo verso di lei urlando il suo nome, così Francesca si voltò.
- Dimmi Mirchè! - gli rispose, pensando a cosa mai volesse dirle.
- Tra un'oretta ho finito, e... - stavolta fu lui a diventare rosso in volto - ... Se vuoi, ti posso dare un passaggio a casa, più tardi...! - le chiese, con un po' di fiatone.
- Passaggio? - un passaggio in macchina da Mirco Bergamasco...? Oh God! - Beh... Fa sempre comodo! - disse, facendo spallucce, e diventando anche lei altrettanto rossa.
- Tanto, adesso so dove abiti, no? - le fece l'occhiolino, mentre l'amica inglese di Francesca rideva sotto i baffi, osservando la scena - Ah, che idiota che sono... - disse poi, tendendo la mano a Christine -... Mirco Bergamasco! - la ragazza inglese rispose, ridendo, alla stretta di mano, dicendogli il suo nome.
- Ben... Torno dentro! - salutò le due con la mano, e corse di nuovo verso lo stadio - A più tardi, Francescolin! - urlò verso la vicina, mentre correva.
Christine e Francesca lo guardarono allontanarsi, ammirandone l'andatura da corridore.
Più che idiota - disse poi Christine, mentre tornarono al lavoro - Mi è sembrato davvero simpatico...! A little bit crazy, ma simpatico! - Francesca rise, pensando al suo "little bit crazy" vicino.
Inutile dire che quell'ultima ora in ufficio sembrò non passare mai. La ragazza italiana guardava febbrilmente l'orologio, e a ogni ticchettio delle lancette il suo cuore aveva un tuffo: disegnava in silenzio sulla tavoletta, con l'amica inglese che ogni tanto sospirava, osservando come la sua collega fosse distrutta dall'attesa di un semplice passaggio. Chissà... Magari era l'ansia di rivedere quello che sarebbe stato il suo "autista", a preoccuparla.
- Toc toc! - bussò verso l'ora di andarsene, il signor Bourgogne - Lavoratrisci: a casà! - sorrise a entrambe, poi si concentrò sulla ragazza italiana, che sembrava impazzita: rimetteva i fogli che erano sulla sua scrivania alla rinfusa dentro la borsa, si sistemava i capelli, si aggiustava la maglietta...
- Non sc'è mica bisognò di tutti questi preparativì per venir in macchinà con mè, sai? - la prese in giro il capo.
- Ah.. Già, capo, non torno a casa con lei! - si precipitò a dire Francesca, avviandosi verso l'uscita, seguita dall'amica inglese, che quando passò accanto a Bourgogne iniziò a parlargli sottovoce...
- Torna a casa con mr. Blonde Guy! - disse all'uomo francese, che rise.
- Blonde? Ah! Il piccolò Bergamascò! - stette lui al gioco, osservando le ragazze che prendevano le scale per scendere - Buona fortunà! - disse poi a Francesca, che si girò di scatto.
- Eddai! È solamente un passaggio in auto, SOLO UN PASSAGGIOOO!! - esclamò la ragazza, agitatissima, uscendo infine dagli uffici.
- Noi sappiamo che è solo un passaggio! - le urlò l'amica inglese, ancora dentro l'edificio - But... You? - aggiunse, salutando poi il capo e avviandosi verso l'uscita.
La ragazza italiana si diresse verso lo stadio, decidendo di darsi una calmata. Fece un respirone, ma continuò tuttavia a camminare a passo svelto. Arrivata davanti ai cancelli, già aperti, si appoggiò ad un lampione fischiettando "Ireland's Call".
Vide uscire diversi giocatori, che parlottavano fra di loro: tuttavia, quando alcuni di essi la videro (come Roncero e Beauxis, ad esempio) la salutarono allegramente. Mirco non la fece attendere molto: arrivò per ultimo, ma solo d0po una decina di minuti da quando era giunta davanti ai cancelli.
La salutò con la mano, per poi avvicinarsi a lei: aveva i capelli ancora bagnati, e si trascinava pesantemente il borsone sulla spalla, mettendo la lingua fuori dalla bocca come se fosse stato un cagnolone stanco dopo una corsa in campagna, e la ragazza lo guardava ridendo fra sé e sé, stringendosi nel cappotto per ripararsi dal freddo. Tuttavia, ridere le scaldò il cuore.
- Scusa se ti ho fatto aspettare... - le disse il rugbista biondo, mentre camminavano verso la Smart grigia del ragazzo, parcheggiata non molto lontano dalla loro posizione - ... Ho fatto il mio meglio per non arrivare troppo tardi! - aggiunse poi, quando arrivarono alla macchina, cercando le chiavi nel borsone.
- Ma figurati... Per un passaggio al calduccio di una macchinina con il freddo assurdo che fa, avrei potuto aspettare per ore! - Cosa?! Ma se aveva fatto fatica ad aspettare per un'ora e dieci minuti! E anche stavolta, l'istinto le avrebbe imposto di dire che avrebbe aspettato LUI e il suo passaggio per ore, ma un'altra volta, fu quel minimo di dignità che ancora aveva a vincere.
Il tragitto fu animato dalla conversazione: si descrissero le loro rispettive giornate (entrambi furono d'accordo sul fatto che, visto il loro amore smodato per le rispettive professioni, il lavorare era un piacere e un divertimento), e pensarono a quello che avrebbero dovuto fare una volta arrivati a casa (quella sera al Bergaminor toccava la lavatrice mentre alla ragazza mettere le sue cose a posto negli armadi); parlarono anche del compleanno di Francesca, e lei disse che avrebbe voluto festeggiarlo in un posto molto carino in cui Christine era già stata un paio di volte, e Mirco disse che le avrebbe regalato una maglietta personalizzata dal loro negozio con su scritto "Attenzione: i miei vicini sono due rugbisti (di cui uno bellissimo e simpatico e l'altro burbero e con il naso storto - questa scritta l'avrebbe aggiunta il ragazzo biondo, con tanto amore, per rendere davvero suo il regalo). Non smisero di parlare nemmeno per un secondo, e una volta arrivati a destinazione rimasero in macchina per un altro po', ridendo, scherzando... trovandosi bene come al solito.
- ... Ti giuro! Prima di dire che Mauro è simpatico passaci insieme un paio di giorni! - continuò a dire Mirco una volta che furono in ascensore.
- Ma dai! Sono sicura che se non viveste più insieme ti mancherebbero sia il suo vocione che le sue strigliate! - e diede una spinta leggera sulla spalla del rugbista (non smuovendolo di un millimetro, ovviamente), che la guardò con aria scettica al pensiero della nostalgia di suo fratello in caso si separazione.
- Dame retta... So quello che dico! - precisò il ragazzo, quando furono arrivati al loro piano.
- Allora se vuoi facciamo cambio: io ti lascio il mio appartamento e io vado a vivere con il Maurone nazionale... - Francesca rise, e Mirco le fece un "no" secco con la testa.
- Scappa finchè sei in tempo! - disse lui, mentre un colorito roseo si faceva strada sulle sue guance... - Piuttosto, se vuoi mi trasferisco io da te...! Sono valido come casalingo, sai? - la ragazza ci pensò su un attimo, e poi tirò un'amichevole borsata all'amico.
- Sì! Certo! Così mi incanti con il tuo sguardo da cerbiatto e mi costringi a fare tutti i lavori di casa! - mentre continuavano a ridere, la porta di casa Bergamasco si aprì.
- ... Ce n'hai messo di tempo per... oh! Bon soir, mademoiselle! - in accappatoio bianco, infradito e con i capelli bagnati, si affacciò il rugbista dai boccoli scuri: il sorriso killer sulle labbra, gli immensi occhi concentrati su di lei.
- ... Ehi, flanker! - lo salutò Francesca, dopo qualche secondo (per riprendersi, ovviamente).
- Toh! Stavamo giusto parlando... male di te, fratelun! - e con una mano Mirco diede un pizzicotto sulla guancia a Mauro, che per tutta risposta gli diede uno schiaffetto.
- E te parea che non parlasse male di questo povero, indifeso e stanco essere... - il ragazzone padovano si portò una mano alla fronte improvvisandosi attore drammatico, e Francesca si avvicinò a lui per poi accarezzargli i capelli.
- Piccolino... - disse la ragazza, mentre Mauro faceva la faccia da cane bastonato (gli occhioni da cerbiatto erano la specialità di Mirco, però!) e Mirco si dava una manata sul viso scuotendo la testa, di fronte alla sceneggiata del fratello maggiore. Tuttavia, l'atmosfera era allegra e distesa.
- Penso sia ora di andare a finire di vestirmi, che dite? - sia Francesca che suo fratello minore annuirono (Chissà come mai, lo stadista biondo lo fece con più convinzione...) e lui fece per tornare in casa, dopo aver fatto il baciamano alla ragazza - Au revoir! - e poi, rivolto a Mirco - Tu vieni? - gli disse.
- Sì... arrivo, arrivo! - si voltò infine verso l'amica - Ci vediamo... Presto, allora? Se anche domani vuoi un passaggio, beh... - arrossì leggermente - ... Basta che mi aspetti fuori dallo stadio...! Nessun problema... Tanto la terza linea torna a piedi, anche se grandina! - entrambi risero, e Francesca salutò Mirco con un sorriso e agitando la mano.
Quando però il ragazzo ebbe già messo un piede dentro casa... Francesca lo fermò, chiamandolo.
- Ehm... M-Mirco? - disse, con un po' di tremolio nella voce.
- Dime! - il ragazzo si girò, e la sua frangia si mosse con lui. Il colorito del volto della ragazza stava attraversando tutte le gradazioni del rosso: dal rosa salmone al rosso carminio, fermandosi sul rosso fuoco.
- Senti... Ieri sera, ricordo perfettamente di essermi addormentata in salotto, sul divano... - parlò con un filo di voce, guardandosi le scarpe - ... Eppure mi sono svegliata... Nel mio letto! - anche Mirco cominciava a cambiare colore... - Tu... Voi, ne sapete qualcosa...? - Eccoci: gli aveva chiesto, in modo ovviamente più "polite", quello che l'amica inglese le aveva consigliato di dire. Era giunto il momento di salutare il mondo e ritirarsi nella cripta della vergogna.
- Beh... - il ragazzo biondo, dopo un secondo di silenzio, rispose, grattandosi la nuca - ... Mi sono appisolato un sacco di volte sul divano, e so come ci si possa sentire dopo averci passato un'intera nottata... - sorrise, un po' imbarazzato - ... E non volevo avere sulla coscienza la tua schiena distrutta, ecco... - la ragazza lo ascoltava, attenta - ... Ti ho portato in braccio io in camera, e Mauro... Lui ha tirato giù le coperte, perchè non avevo abbastanza mani per farlo da solo...! - aggiunse, per poi scoppiare a ridere insieme all'amica, divertita da questa tenera spiegazione.
- Che dire... - rispose Francesca, allargando le braccia e tornando vicino a lui - ... Grazie di esservi preoccupati per me...! - Mirco le sorrise, felice di essere stato utile. La ragazza poi si mise in punta di piedi, per arrivare con il viso all'altezza di quello del rugbista biondo, e gli schioccò un bacio su una guancia - Questo è per il maggiore... - disse, e poi gliene diede uno anche sull'altra, rimanendoci per qualche secondo in più - ... E questo è per te... - concluse, per tornare di nuovo alla sua altezza regolare ed entrare in casa sua, lanciandogli un'ultima occhiata ed un sorriso, contornato dal rossore delle sue guance.
Anche Mirco rientrò in casa, un attimo dopo, con un'espressione tranquilla e dolce sul volto.
- Perchè c'hai messo tanto...? - lo interrogò, curioso, il fratello maggiore, temendo il peggio.
Il ragazzo biondo si avvicinò a lui e, con un discreto ribrezzo, si baciò la mano e diede un buffetto sulla guancia di Mauro.
- Questo è per te, da parte sua... - gli disse, e poi, con un sorrisetto beffardo sul viso, mentre si avviava verso la sua stanza - ... Ma sappi che ha baciato me sulle guance, per due volte! Uno a zero, ciccio! - e alzò il braccio in segno di vittoria.
- ... Sbruffoncello! - lo additò il Bergamaior, parlando fra sé e sé, e ridacchiando.
Non senza un minimo di gelosia, però.
Cap IV. Beautiful day
Il giovedì e il venerdì di quella settimana vennero portati via dal vento d'inverno che soffiava su Parigi. Non passava giorno in cui Francesca non vedesse i fratelli Bergamasco: incontrava Mauro di mattina quando se ne andava di casa, e Mirco quando usciva dal lavoro (perchè ormai era il suo passaggio fisso per tornare in Rue de Silly), e più che passava del tempo con loro, più che la ragazza si rendeva conto di quanto quei due fossero inimitabili, unici, simili ma anche, per certi aspetti, diversi da come se li era sempre immaginati.
Ed ora, fra progetti, rugbisti e colpi di scena, sabato 5 dicembre, era finalmente arrivato.
Verso le 9 la porta dell'appartamento dei Fratelli d'Italia (come a volte li aveva chiamati Francesca per farli voltare in un sol colpo) si aprì lentamente, con un lieve cigolio: da essa uscirono Mirco e Mauro, parlottando in silenzio. Erano entrambi pronti per andare allo stadio, per l'ultimo allenamento mattutino prima della partita contro il Bayonne, in tuta blu a strisce rosa sulle spalle e sui pantaloni. Il maggiore dei fratelli aveva in mano una busta da lettere ed un bigliettino, e si avvicinò alla porta di casa della vicina, inginocchiandosi di fronte ad essa.
- Non muoverti come un elefante in cristalleria come al solito, toso! - sussurrò Mirco guardando il Bergamaior che faceva scorrere la busta e con il biglietto sotto la porta.
- Ha parlato la delicatezza in persona...! - ribattè Mauro, mentre il fratello minore si metteva un dito davanti alle labbra per intimargli di stare zitto - ... Ben! Missione regalo, parte uno: compiuta...! - si alzò dalla posizione in ginocchio, battè (piano, ovviamente) il cinque col Bergaminor e, dopo aver preso anche lui il borsone, presero l'ascensore, per poi uscire dal palazzo e avviarsi verso il Jean Bouin.
Fu la suoneria del cellulare con la batteria iniziale di "Walk This Way" degli Aerosmith a svegliare la nostra eroina. Allungando pigramente il braccio sul comodino, prese il telefono e rispose, senza badare a chi la stesse chiamando.
- Pronto...? - disse, con uno sbadiglio.
- Happy birthday to you! Happy birthday to you! Happy birthday to youuuu! Happy biiiiiiiirthday toooooo youuuuuu! - il familiare suono della voce della sua amica inglese risuonò dall'altra parte, con tono allegro, mentre intonava il coretto di compleanno.
- Grazie carissima...! - replicò Francesca, mettendosi a sedere sul letto per alzarsi - Complimenti, sei la prima in assoluto a farmi gli auguri... Dovresti andarne fiera! - aggiunse, andando verso la cucina e accendendo la luce.
- You're welcome, dear! - rispose l'amica dall'altra parte - Allora? Hai tutta una giornata per decidere cosa metterti stasera... Ti porterò in un posto meraviglioso! Vedi di non vestirti troppo elegante per quei due però eh... - ridacchiò Christine.
- Gnegnegne... - rispose la ragazza italiana, ridendo anche lei. Nel percorso dalla camera al corridoio vide qualcosa di bianco vicino alla porta di casa: attratta dalla curiosità, si avvicinò, continuando a parlare.
- Per farti gli auguri, mi sono svegliata really early stamattina... Ma visto che devo anche andare a comprarti il regalo... Beh, it's not wasted time! - disse poi l'ingegnera inglese.
Francesca ci mise un po' a rispondere: aveva raccolto quella macchia bianca sotto la porta, e aveva visto che era una busta accompagnata ad un biglietto.
- ... CHRIS!!!! JE VOIS LA VIE EN ROOOOOOOOOSE! - Urlando come se fosse impazzita, la ragazza italiana iniziò a cantare la vecchia canzone di Edith Piaf, saltellando e ballettando per tutto il corridoio.
- What the...? - la ragazza inglese parlò con un tono interrogativo.
Ci volle un po' prima che Francesca smettesse di cantare e tornasse a parlare normalmente.
- I ragazzi! - esclamò, felice e con il cuore a mille - Mi hanno regalato due biglietti per andare a vedere la partita di oggi dello Stade contro il Bayonne allo Stade de France!! - continuò, sempre saltellando in giro per casa.
- Wow!! Now, that's a present! - anche Christine sembrava contenta per l'amica - And... Il secondo biglietto a chi lo daraiiiiiii? - la supplicò.
- Uhm... Fammi pensare... Fammi pensaaaare... - fece attendere un attimo l'amica inglese, tenendola sulle spine - ... E va bene! - si sentì un "Yeah!" di esultanza dall'altro capo del telefono.
- Well... Adesso devo proprio andare, ho tanto da fare! - la salutò l'amica - La partita è alle... Uhm, 16 e 25, quindi ci vediamo davanti allo Stade... Alle 14 e 25, perchè non ho intenzione di perdermi la festa e i balletti delle ragazze pon pon, right? - Francesca rise, e confermò l'appuntamento, poi riattaccò.
Si rigirò i tagliandi (di colore rosa, ovviamente) fra le mani, e vide che i posti erano in una posizione di tribuna, comoda e dalla quale la partita sarebbe stata ben visibile in ogni suo minimo dettaglio. Non aveva ancora guardato il foglietto che accompagnava i biglietti: era chiuso a metà, e sopra c'era scritto, in una calligrafia svolazzante e marcata, "Auguroni tosa!", e sotto una freccetta che invitava ad aprire il foglio. "Arriva davanti agli spogliatoi prima della partita, ti aspettiamo!" e sotto, le firme/autografi dei due rugbisti. Non solo andava a vedere una partita della sua seconda squadra preferita, ma era stata anche invitata ad entrare dove pochi possono andare, vicino agli spogliatoi! Con il solito e ormai inseparabile sorriso ebete, continuò a saltellare per casa, per poi fiondarsi a cercare nel suo guardaroba qualcosa di rosa da mettere quello stesso giorno, anche se sapeva che sarebbe stata un'impresa impossibile, dato il suo disgusto per il rosa, ma... Il rosa-Stade era diventato da un po' uno dei suoi colori preferiti.
Attese con trepidazione il momento di recarsi allo stadio: le fece fatica anche cucinarsi da mangiare, quindi optò per un po' di pasta surgelata, un "4 salti in padella" francese. Trovò una sciarpa e un paio di guanti rosa, e se li mise come bandiera per quel pomeriggio: uscì di casa, ma una volta arrivata in fondo alle scale (era troppo in fibrillazione per aspettare l'ascensore) si ricordò di aver lasciato sul tavolo, per la fretta, i biglietti... Così, tornò rapidamente su in casa sua e prese la busta contenente lo splendido regalo dei Bergabros, ridendo fra sé e sé.
Davanti allo Stade de France si era radunato un mare di persone allegro e colorato, che si divideva fra il rosa, il blu, il celeste e il bianco: ci volle un po' per riuscire a riconoscere la sua amica Christine, avvolta anche lei in una bandiera rosa con tre fulmini blu disegnati sopra, ma che tuttavia, sotto di essa, indossava la maglia a strisce bianche, verdi e rosse dei Leicester Tigers.
- Solo tu puoi venire a vedere una partita di Top 14 francese con la maglia dei Leicester Tigers addosso! - Francesca la prese in giro non appena si riunirono in fila di fronte ai cancelli dello stadio per entrare.
- Beh, ho pensato che magari ti avrebbe aiutata a distinguermi in questo... Sea of pink! - si giustificò Christine, prendendo dalle mani dell'amica il proprio biglietto.
- Mi sono scordata di dirtelo - aggiunse la ragazza italiana una volta che furono entrate - Dobbiamo andare giù, verso gli spogliatoi! - concluse, con un po' di agitazione nella voce.
- What!?! A fare cosa? - si stupì la ragazza inglese, intanto che Francesca la prendeva per un braccio e la trascinava verso quella che sembrava l'entrata dei locali riservati alle squadre.
- I Berga mi hanno detto di andarli a trovare prima del match... - continuò, sorridendo e diventando rossa in volto.
- Oh... Understood... - rispose Christine, con un sorrisetto malizioso.
Non fu difficile trovare l'entrata per i corridoi interni dello stadio: uno degli addetti fu anche così gentile da indicare loro il percorso da seguire per arrivare direttamente nella parte riservata agli Stadisti. Arrivarono in un lungo corridoio con le pareti piastrellate di bianco, sul fondo della quale si trovavano due porte. Proprio quando le due amiche si stavano avvicinando ad esse, da una delle porte si affacciò un volto familiare: quello di Mirco Bergamasco, che agitando la mano in loro direzione, fece cenno di raggiungerlo.
- Auguri Francescolinaaaa! - la salutò il ragazzo biondo, con il solito, adorabile e solare sorriso, dandole un leggero pizzicotto sulla guancia con le grandi mani.
- Grazie Mirchè...! - rispose Francesca, arrossendo di fronte al tre quarti ala del suo cuore.
- Insomma... Piaciuto il regalo eh? Modestamente... è stata una mia idea, per una volta! - si passò le mani fra i capelli, e arrossì anche lui.
- Vuoi scherzare?! Appena ho visto che dentro la busta c'erano due biglietti per la partita di oggi ho iniziato a cantare e ballare come una scema, da sola... - gli rispose la fan, ridendo.
- Bene bene... Son contento! - Mirco si sentì fiero della sua geniale idea - Mauro si sta finendo le fasciature... Quindi, se passi dopo la partita ti saluta anche lui prima di stasera... - con un cenno del capo alluse al fratello maggiore, probabilmente a sedere da qualche parte dello spogliatoio dello Stade, dal quale proveniva una confusione assurda.
- Un'altra volta qui fuori dagli spogliatoi? Che onore! - rispose Francesca, contenta.
- Che pensata geniale eh? Questa però... è stata di Mauro! - entrambi risero, poi una voce dall'interno, con accento francese, lo chiamò per nome - Mi sa che è arrivato il momento di finire di prepararsi! Tu non puoi vedermi dalla vita in giù - Mirco era affacciato solo con il busto e le braccia - E ti assicuro che sono ancora in mutande, quindi sarà meglio che mi muova! - aggiunse, destando il riso anche nell'amica inglese di Francesca.
- D'accordo... Saliamo anche noi allora... Ci vediamo dopo, comunque vada! - Mirco le fece il segno di ok con la mano, ma quando fu sul punto di andarsene, il rugbista biondo la trattenne per un braccio, facendola sussultare.
- Ehm... Mi sono scordato di dirti che ti farò un altro regalo, oggi, se sarà possibile... - il Bergaminor le sorrise, arrossendo.
- Un altro regalo?! - gli chiese Francesca, stupita.
- Già... - dentro di sé, prese il coraggio a due mani e continuò a parlare - ... Quindi, sappi che se segnerò una meta, beh... - fece un sospiro - ... la dedicherò a te...! - finì il discorso, e la ragazza lo guardò, ammirata, nei dolci occhi verdi, sorridendogli.
- Non mi starete mica viziando, con tutti questi regali, eh...? - riprese Francesca, mentre Mirco rideva.
- Macchè... Solo un pochino! - le fece l'occhiolino e le scompigliò i capelli castani, prima di rientrare nello spogliatoio, continuando a guardarla.
Christine la scosse per un braccio, risvegliandola dal torpore di quell'attimo, e la invitò a tornare sulla loro strada per arrivare alle tribune.
La partita iniziò alle 16. 25, come da programma: lo stadio era gremito e animato dai cori dei tifosi di una parte e dell'altra. Gli Stadisti erano attivi e agguerriti, una macchina da rugby forte e coordinata, ma contraddistinta tuttavia dallo stile elegante e preciso dei francesi nel loro gioco. Francesca era presissima dal match: si alzava in piedi, gridava i nomi dei giocatori ("EDDAI BEOUXIS!! E CORRI UN PO'!", ad esempio), si rigirava fra le mani i guanti rosa e abbracciava l'amica inglese ad ogni punto segnato dalla sua squadra. Osservava con attenzione i suoi vicini di casa, coinvolti in numerose azioni, e le sembrò anche che, ogni tanto, almeno uno dei due la guardasse, come a sincerarsi se fosse ancora lì. Quando l'agitazione e l'adrenalina erano al massimo, arrivò il momento più bello della partita (per lo meno per la nostra eroina...): Bousses passò un pallone rapidissimo a Mirco che, scattando sulla fascia, si gettò in una folle e velocissima corsa, dribblando da solo un paio di avversari per finire a tuffarsi in meta, scivolando di qualche metro sull'erba. La ragazza italiana si alzò in piedi, urlando di gioia e arrivando anche a festeggiare con gli sconosciuti vicini di tribuna. Qualche secondo dopo la meta, dopo gli abbracci con i compagni di squadra e il cinque scambiato con il fratello maggiore, il Bergaminor si guardò intorno, fino a puntare il dito proprio in direzione della sua amica: Francesca vide un sorriso aprirsi sul volto del rugbista biondo, e riuscì quasi a leggere nel labiale le parole "Te l'avevo detto, no?". Il gioco fu dominato dallo Stade: si arrivò al punteggio di 34 a 10 per i padroni di casa, e dopo la meta del tre quarti ala biondo, la scalata della squadra di casa fu inarrestabile, tanto che nello stadio si potevano sentire praticamente solo i cori della tifoseria rosa-azzurro, mentre i supporters del Bayonne osservavano un certo silenzio.
A fine partita, ancora elettrizzate dal risultato (persino Christine adesso era diventata completamente rosa, legandosi la bandiera a mo' di mantello), si diressero verso gli spogliatoi, non appena la folla si diradò un po' dalle gradinate.
- I have to go, now - disse la ragazza inglese, quando furono per entrare nei corridoi interni - Stamattina ho dovuto fare mille commissioni, e ancora non ce l'ho fatta a comprarti il regalo, sai? - Francesca la guardò con aria di rimprovero, ma entrambe poi risero.
- E vuoi lasciarmi da sola davanti ad uno spogliatoio brulicante di rugbisti sudati e affaticati da un match di Top 14? - le rispose l'ingegnera italiana, mentre l'amica imboccava la strada per l'uscita dello stadio.
- Come on... Non aspetti altro! - l'amica le fece l'occhiolino ed una linguaccia - A stasera! - e poi sparì dietro un angolo.
Nel suo tragitto lungo il corridoio, fu fermata da un giocatore dello Stade che le venne incontro, con ancora indosso la maglia con Bianca di Castiglia in pop art su sfondo indaco, un enorme sorriso sul volto affaticato e i boccoli scuri e bagnati che si agitavano durante il suo avvicinarsi.
- Ma guardala lì, la tosatèla ventiseienne! - esclamò Mauro, con i meravigliosi occhi che gli ridevano ancora per la felicità della vittoria, abbracciandola e tirandola su di qualche centimetro - Vieni un po' con me, tu! - la mise giù, senza che potesse dire una parola, e la trascinò con sé vicino alla porta dello spogliatoio, che aprì leggermente.
- Stadistes! Fate un po' gli auguri a questa ragazza qui, che oggi compie gli anni! - disse la terza linea, rivolgendosi ai compagni di squadra ancora intenti a festeggiare la vittoria sul Bayonne. Si levarono numerosi voci che auguravano buon compleanno in lingue diverse: si distinse l'"happy birthday" degli inglesi e scozzesi come Haskell e Taylor, i "feliz cumpleaños" degli argentini come Leguizamon, e infine, i "joyeux anniversaire" di Beouxis, Bousses, Szarzewski e gli altri.
Francesca si nascose dietro al Bergamaior per l'imbarazzo, ma poi, ridendo, si sporse e salutò i giocatori con la mano, ringraziandoli.
- E non si dica che Mauro Bergamasco non festeggi i compleanni degli altri in grande stile! - disse la ragazza, stringendo una delle grandi braccia del flanker azzurro, mentre lui sorrideva compiaciuto, non senza un po' di piacevole smarrimento per Francesca. A loro si unì Mirco, che si avvicinò a loro, circondando con un braccio le spalle del fratello maggiore, affacciandosi oltre la sua spalla.
- Ehi! Contenta del mio... secondo regalo? - la salutò il ragazzo biondo, che si era tolto la maglietta e se l'era messa in testa come un turbante multicolore, destando un'altra improvvisa risata nella ragazza, divertita da quella vista.
- Ma che scherzi?! Sono saltata in piedi e ho urlato per la felicità insieme a tutta la tribuna...! - Mirco la guardò, arrossendo leggermente e sorridendole, ascoltando la voce piena di emozione della fan, che ricordava il momento della sua meta.
- E bravo il mio fratellino che va in meta per una ragazza! - disse Mauro, tirando il naso al biondino, che era ancora rosso in volto - Su, andiamo a lavarci prima che questa giovane donzella finga di non conoscerci per quanto puzziamo...! - continuò il fratello maggiore, facendo l'occhiolino alla ragazza.
- D'accordo... allora me ne vado anch'io...! - salutò i fratelli con un bacio sulla guancia a testa, e fece per andarsene - ... Siete meravigliosi come al solito...! A stasera, eh! E mi raccomando, punt... - non fece in tempo a finire la frase, perchè Mauro la interruppe, assumendo tutto ad un tratto un'espressione seria, mentre il fratello minore si guardava gli scarpini, distogliendo lo sguardo da lei.
- Scusaci tanto amica mia, ma ce l'han detto solo poco fa e... - disse il padovano maggiore, con la voce profonda solcata da un'espressione di dispiacere, che congelò l'allegria della loro fan.
- ... Non possiam proprio venire stasera... ordini superiori, purtroppo... - concluse Mirco, stringendosi nelle spalle, con un faccino triste. Gli occhi castani della ragazza si stavano, intanto, riempiendo di quelle che forse erano lacrime, ma che rimasero lì, senza cadere.
- Ma mi avevate detto... - disse, con voce bassa e sconsolata - ... e non potete fare proprio niente, per venire lo stesso...? - cercò di impietosirli, guardandoli entrambi negli occhi, ma tutti e due scossero la testa, con lo stesso sorriso malinconico in volto.
- Dai, ciccia... Avremo altre occasioni per festeggiare! Insomma, ci sono i terzi tempi, le partite del 6 Nazioni da febbraio, il compleanno del Mirco! - cercò di consolarla Mauro, scostandole un ciuffo di capelli che le era caduto sulla fronte a coprirle gli occhi.
- Per stavolta vi perdono, via... Ma solo stavolta! - ci tenne a precisare la ragazza, rassegnata, ma ancora triste, di fronte alla notizia della loro assenza al suo compleanno, facendo spallucce.
- E poi dai, la maglietta con la scritta personalizzata te la porto lo stesso! - disse Mirco, tirandole dolcemente il naso, mentre il Bergamauro assumeva un'espressione interrogativa.
- E che scritta sarebbe, di grazia...? - chiese il fratello maggiore, che già si immaginava quale sarebbe potuto essere l'ambito della scritta pensata dal fratellino.
- Oh, niente... - e dicendo così, salutò con la mano Francesca, entrando lentamente nello spogliatoio - ... Soltanto una battuta su un rugbista bellissimo e fighissimo e il suo antipatico fratello con il naso brutto e storto...! - e concludendo così, accelerò l'andatura verso le docce, sentendosi già il fratello che lo inseguiva.
- Scappa, scappa! Che se ti prendo ti faccio tornare moro! - il padovano maggiore scosse la testa, sorridendo, verso la ragazza, sul viso della quale un minimo di allegria stava tornando grazie alla scenetta di Mirco - E tu... Vedi di divertirti lo stesso stasera, chiaro...? - Mauro la guardò con dolcezza, e lei, per tutta risposta, annuì, tirando su con il naso. Poi, le loro strade si separarono, con la porta dello spogliatoio stadista che si chiudeva e la ragazza che piano piano tornava sui suoi passi, sospirando e rimettendosi i guanti rosa per uscire nel freddo della Ville Lumière.
Decise di prendere la Metro per tornare a casa, invece di farsela a piedi come all'andata, dato che ormai erano le 6 e una volta arrivata avrebbe dovuto pensare a prepararsi per la serata.
Durante il tragitto, accompagnato dalle inseparabili cuffie del lettore mp3 nelle orecchie (ascoltava le classiche canzoni da malinconia, perchè si sa: quando uno è triste le canzoni tristi sono le uniche in grado di comprenderci), pensò quasi ininterrottamente a quanto era stata ingenua, ad illudersi che sarebbe potuta essere così fortunata da aver invitato i Bergamasco a cena e al suo compleanno nella stessa settimana: chissà, magari il terzo tempo era davvero più importante della sua amicizia, per loro, loro con cui in quei pochi giorni si era sentita così a suo agio, tranquilla e protetta. Dopo tutto, non poteva mica pretendere che tutto ad un tratto quei due scordassero la propria vita e si dedicassero totalmente lei, in fondo, era soltanto l'ultima arrivata, conosciuta per caso ed aver scoperto, per caso, che fosse la loro vicina di casa. Ciò nonostante, non potè fare a meno di ammettere che le erano sembrati veramente dispiaciuti di non poter venire, e che avevano fatto il loro meglio per cercare di tirarla su... Quindi, decise di spazzare via quelle considerazioni negative sui suoi rugbisti preferiti, che in quei giorni si erano rivelati essere cordiali vicini di casa e amici disponibili.
Arrivata a casa, gettò sul divano la sciarpa e i guanti e si chiuse in bagno per una doccia calda, cercando di svuotare la mente e pensare solo alla serata comunque divertente e piacevole che avrebbe passato, insieme al capoccia e alla sua nuova amica inglese.
All'orario stabilito, il campanello suonò, e la ragazza italiana andò a prendere la borsa che aveva lasciato in camera, per poi uscire di casa e andare via. Sul pianerottolo, tirò un sospiro carico di malinconia guardando la porta di casa Bergamasco, mentre aspettava che arrivasse l'ascensore. Per quanto riguarda il suo apparire, aveva deciso di non esagerare con l'eleganza: era solo un compleanno qualunque, così si era messa una camicia celeste con sopra un maglioncino blu scuro, e un paio di jeans chiari. Era vestita in modo formale, ma tranquillo: senza fronzoli e speranze di trovare qualcuno, quella sera, che avrebbe potuto farle complimenti sul suo aspetto.
- Bon soir e tonti augurì, insgegnerà! - la salutò subito Monsieur Bourgogne, con un inchino, per darle poi i due baci sulle guance.
- Grazie capo... - rispose lei, sorridendo, con l'espressione leggermente infelice che l'aveva contraddistinta da quello stesso pomeriggio.
Christine era accanto al capoccia, ammantata da un cappotto rosso scuro e con un basco francese dello stesso colore appoggiato sui capelli rossicci, allegra e sorridente; poi però notò, con preoccupazione, il volto un po' triste dell'amica.
- Hey, dove sono i Bergamotti? - chiese la ragazza inglese a Francesca, riferendosi a Mauro e Mirco.
- Oggi, dopo la partita - cominciò lei, con un sospiro - mi hanno detto che stasera non potevano venire... - le disse, giocherellando con le frange della sciarpa.
- Purtroppo, poteva capitarè, cher...! - le confessò il capo, dandole poi una pacca sulla spalla - ... Sono ragassì impegnatì, e hanno molto da farè, spescie in occasionì come questa...! - cercò di giustificarli il francese, mentre Francesca annuiva, cercando di essere comprensiva - Ma adessò, via quel muso lungò: è la tua festà! - la ragazza allargò un timido sorriso sulle sue labbra, e Bourgogne le fece un cenno di assenso, per farle capire che era quello l'atteggiamento giusto da avere.
Salirono in macchina, Francesca dietro e Christine sul sedile del passeggero: doveva indicare al capo la strada da seguire. Ci misero un po' per arrivare, anche a causa del traffico che ingombrava le strade; il tragitto fu però accompagnato dalla voce a navigatore della ragazza inglese e, ogni tanto, dalle canzoni "da festa" cantate dal signor Bourgogne, ed entrambi cercavano di far tornare, sul volto della pensierosa festeggiata, almeno un'espressione divertita, e anche se a poco a poco... ci riuscirono.
Dopo aver parcheggiato, camminarono sul vialone su cui si trovava il ristorante prescelto da Christine per la serata, e arrivarono di fronte ad un locale dall'aspetto colorato e vivace, con luci gialle e verdi che si intravedevano dall'entrata a vetro, ed una grande scritta a caratteri cubitali campeggiava sopra l'ingresso: c'era scritto "Barrio Latino".
- Et voilà! Un ristorante brasiliano e messicano, con tanto di pista per balli latino-americani! What do you say? - le disse Christine, fiera della sua scelta.
- Cazpitina! - rispose lei citando uno degli intercalari del Bergamasco minore - è bellissimo!! - abbracciò l'amica, contenta e ansiosa di entrare - Per la salsa e merengue però stasera dovremo fare un po' per uno, visto che abbiamo un solo cavaliere! - aggiunse poi guardando Bourgogne, che guardava le due ragazze divertito. Insieme fecero per entrare, ma prima la ragazza inglese si ricordò di aver lasciato... Il regalo di Francesca in macchina (un pacchetto piatto e grande, foderato di carta argentata con un fiocco rosa), quindi lo riprese e riuscirono finalmente ad andare dentro il ristorante. La ragazza inglese disse il nome per cui avevano prenotato, ed un cameriere li accompagnò cordialmente al loro tavolo, che si trovava proprio davanti alla pista da ballo, uno spiazzo tondo piastrellato con mattonelline multicolori che formavano la bandiera del Brasile e del Messico, che si intrecciavano al centro della pista.
Il tavolo era circolare e tutti e tre avevano un sacco di spazio a disposizione. Sul piatto della festeggiata c'era un panino farcito riccamente con sopra una candelina, che Francesca trovò simpaticissimo e carinissimo.
- Tres bien! Ci metteremo un po' ad ordinarè, quindi che ne dirostì di aprire i regalì intonto che aspettiamò? - la incoraggiò Bourgogne, e la ragazza italiana annuì, battendo le mani felice come una bambina - Sono curiosò di vedèr cosa ti ha regalatò mademoiselle Christine! Ovviamonte aprirai prima il suò... Sai com'è, per cavallerià! - disse, volgendo lo sguardo verso di lei, mentre il cellulare, nella tasca della sua giacca, vibrò.
- Good! So... Prima il mio! - disse passandole il grande pacchetto, che Francesca guardò con interesse e poi iniziò a scartare - But... Pay attention! - aggiunse Christine, notando la veemenza con cui la ragazza italiana apriva il regalo.
- ... Sei... MATTA?!! - le disse l'ingegnera edile quasi urlando con un tono a metà fra l'entusiasta e lo sconvolto, tuttavia accorgendosi di aver alzato troppo la voce: aveva appena scartato a metà il pacchetto, e già stava sclerando per l'emozione alla vista di James Haskell sulla copertina del calendario dei Dieux du Stade del 2010, mentre monsieur Bourgogne rideva a più non posso godendosi la scena di pazzo delirio della ragazza italiana, che stava nuovamente abbracciando l'amica inglese.
- Regalo azzeccato, I would say! - rispose Christine, con un sorriso malizioso ed una piccola linguaccia - But the best is yet to come! - continuò poi, prendendo il calendario dalle mani della festeggiata e scorrendo le pagine fino a dicembre... dove si stagliavano, scultorei, i suoi adorati vicini di casa.
- Uccidimi, allora! Vuoi veramente che io muoia, amica mia?! - tutti e tre risero, e la ragazza italiana decise che avrebbe sfogliato il calendario a casa, con calma e tranquillità e, sopratutto, lontana da occhi indiscreti!
Un secondo dopo, con in mano il telefono, Bourgogne si alzò, e si rivolse alle ragazze.
- Il mio regalò è un po' grossettinò... Dobbiamo andare fuorì a vederlò, dovrebbero portarlo qui da un momento all'altrò! - diede la mano alla ragazza italiana per farla alzare, e successivamente a quella inglese, e insieme si avviarono verso l'uscita, avvertendo i camerieri che sarebbero tornati fra un minuto (Francesca notò che il capo confabulò per qualche secondo con un cameriere, senza riuscire a capire cosa dicessero).
Quando furono nell'aria fredda della sera parigina, Bourgogne cominciò a guardarsi intorno.
- Stai attontà... - le disse, sottovoce - ... Non so da dove potrebbe arrivarè! - la ragazza italiana lo squadrò con aria interrogativa. Ma si poteva sapere cosa diavolo avesse in mente...?
La risposta arrivò giusto un paio di minuti dopo, insieme al suo regalo: da lontano, vide qualcosa che si avvicinava, due sagome, una più alta e veloce dell'altra... Effettivamente, sembravano due persone, una a piedi, che correva, e l'altra... in bicicletta?! Il suo cuore accelerò rapidamente i battiti non appena si rese conto di chi erano i due che le stavano venendo incontro: non si sbagliava, no! Sulla bicicletta (con un enorme fiocco azzurro legato al manubrio), con il cestino davanti di colore chiaro (che conteneva un pacchetto rettangolare), e con il fanalino acceso, stava Mauro, in giacca, camicia bianca e jeans chiari, con un sorriso solare e meraviglioso sul volto; Mirco, in jeans scuri e giubbotto di pelle, aperto un po' per lasciare intravedere una maglietta bianca, con i capelli biondi mossi dalla corsa, lo seguiva, canticchiando la carica della cavalleria, e sembrava che stesse giocando ancora a rugby: sottobraccio teneva anche lui un pacchetto, e correva come se stesse andando verso la meta.
Appena si fermarono di fronte a lei, il Bergamaior scese dalla bici e si accertò che suo fratello fosse dietro di lui, dopo di che, al tre di Mauro...
- Sorpreeeeeeeeeeeesa! - dissero in coro, mentre Francesca ancora non credeva ai suoi occhi, e stava muta di fronte ai suoi rugbisti preferiti, incapace di parlare.
- Insommà...?! - la svegliò il capo, dandole un colpetto sulla testa, mentre Christine se la rideva sotto i baffi.
- Io... Io non... - smise di parlare e, con gli occhioni lucidi, si gettò fra le braccia del fratello maggiore, stringendolo più forte che potè: la terza linea rispose a quell'abbraccio, tenendola stretta a sé, per poi darle un bacio sulla fronte.
- Ehi tu, con quelle lacrimucce! Smettila subito eh, perchè altrimenti finite a piangere in due... - le disse poi Mauro, quando ad abbracciarla fu suo fratello minore: per un secondo, il rugbista biondo tolse il viso della ragazza dal suo petto, e con una carezza le asciugò quel paio di lacrime che non era riuscita a trattenere.
- Ma che è colpa mia se mi commuovo facilmente?! - si giustificò Mirco con l'amica ancora stretta a sè, mentre Francesca rideva, ripresasi dall'attimo di forte emozione.
L'ingegnera edile abbracciò poi anche il capo, perchè qualcosa, dentro, le diceva che il "piano" era stato architettato da lui: anche la bicicletta, azzurrissima e bellissima, era stata pensata proprio per lei, per darle almeno un po' di autonomia nel muoversi nelle aree circostanti il suo palazzo e l'ufficio.
Tutti quanti, poi, rientrarono nel ristorante, e i fratelli furono gli ultimi ad entrare, preceduti da Francesca che, però, li fermò un secondo.
- Sapevo che non potevate deludermi... - disse loro sottovoce, mettendosi, come al solito, in punta di piedi per portare le braccia intorno alle loro spalle, e baciandoli sulle guance, mentre entrambi le sorridevano e diventavano rossi in volto.
Al loro tavolo, intanto, erano stati aggiunti i coperti per i due rugbisti, che Francesca volle uno alla sua destra e uno alla sua sinistra.
- Beh, ora ti abbiamo portato il regalo del sciur Bourgogne, macinando anche una roba come... Non so, 500 metri in corsa - disse Mirco, mentre gli altri ridevano - Ora è il nostro turno per darti il regalo! - aggiunse, mentre anche suo fratello maggiore prendeva il suo pacchetto e glielo consegnava.
La ragazza aprì, per primo, il pacchetto del più piccolo dei fratelli. Sulla carta azzurrognola c'era scritto: "Io me ne sono innamorato dal primo momento in cui l'ho vista: tu no?".
Dentro una scatola, con sua grande sorpresa ed emozione, c'era una maglia azzurra, quella della Nazionale, ma non era una qualunque: Francesca se la rigirò fra le mani e, sul retro della maglietta, c'era stampato il numero 12, quello di Mirco, sui cui caratteri bianchi c'era il suo autografo, con tanto di dedica "Ad una piccola, mitica fan".
- La maglia della Nazionale?! La TUA maglia della Nazionale?!?! - esclamò Francesca incredula, stringendo a sé quella preziosa, e unica, divisa: poi si sporse verso il rugbista biondo, dandogli un altro bacio per ringraziarlo.
- 2008: Italia - Inghilterra! Sono andato in meta, ricordi...? - annuì Mirco, fiero e contentissimo del fatto che la sua amica avesse apprezzato il regalo. Mauro, invece, ad un tratto aveva assunto un'espressione preoccupata.
- Hmm... Sei sicura di voler aprire anche il mio...? Il regalo del fratelin daltronde è così bello e particolare che il mio, in confronto, non sembrerà nulla...! - cercò di distrarla dall'apertura del suo regalo ma, ormai, era troppo tardi: le mani della ragazza, guidate dalla curiosità, si muovevano per aprire la carta del pacchetto (sempre con delicatezza, visto anche lì sopra c'era scritto qualcosa: "Perchè possa, anche tu, arrivare alla tua meta").
- NON CI CREDO!!! - esultò di nuovo la ragazza, sventolando... un'altra maglietta della Nazionale che, stavolta, aveva il numero di Mauro sulla schiena, il 7 (sul quale era scritto "Italia - Galles 23 a 20: SEEEE!")! Mirco era a dir poco sbigottito, mentre Mauro si beccava un bacetto sul naso. I due fratelli si guardarono, e si intesero perfettamente: avrebbero anche potuto informarsi prima su quale sarebbero stati i reciproci regali ma, visto che la loro amica non era contenta, ma strafelice, si strinsero nelle spalle e dimenticarono quel piccolo incidente (tuttavia, dopo essersi guardati in cagnesco per una frazione di secondo).
- Due magliette sono sempre meglio di una, isn't it? - disse Christine, mentre i due ragazzi annuivano e Francesca riponeva, accuratamente, le maglie nelle loro rispettive scatole, con un grande sorriso felice sulle labbra, e gli occhi pieni di ammirazione per i suoi eroi.
La cena proseguì tranquillamente, fra risate, scherzi e fotografie (che la ragazza inglese, fotografa per passione, scattava ogni 10 secondi), fino a quando un piccolo complesso di musicisti apparve su un palchetto vicino alla pista da ballo, iniziando a suonare musica fresca, latino-americana e piena di energia, intanto che lo spiazzo di fronte al loro tavolo si riempiva di persone pronte per ballare.
- Ma qui... Si balla! - esclamò tutto contento Mauro, mentre la banda intonava "Corazon Espinado", di Santana.
- Ossignur, attenti che parte! - disse Mirco rivolto al resto della tavolata, riferendosi al fratello maggiore, che rise della sua battuta.
- Dai! Chi si unisce a me?... Mademoiselle? - disse il Bergamaior, alzandosi in piedi e prendendo la mano dell'amica.
- Oui...? - le rispose lei, scrutando i suoi occhi azzurri.
- Voulez vous dancer avec moi? - le chiese Mauro, in francese (e quindi: facendola letteralmente morire...).
- Avec plaisir, monsieur...! - gli disse, alzandosi anche lei in piedi, e poi, rivolgendosi al tre quarti ala biondo - Tu non vieni...? - cercò di convincerlo, ma questi scosse decisamente la testa, e il Bergamasco maggiore e la festeggiata iniziarono a ballare. Lo stadista la fece avvicinare a sé, con il braccio sinistro le cinse i fianchi, e con la sua destra le prese l'altra mano: fu lui a guidare la danza, rivelandosi un discreto ballerino, ma la festeggiata non fu da meno, riuscendo a seguire i suoi passi e coordinandosi perfettamente ai suoi movimenti. Il rugbista padovano teneva gli occhi fissi in quelli della ragazza e, come se le avesse gettato addosso un incantesimo, lei non distolse mai lo sguardo da quel cielo terso e da quel perenne sorriso ammaliatore.
- Esta mujer me està matando... - canticchiava (e sospirava) Mirco fra sé e sé, giocherellando con le briciole di torta rimaste nel piatto, non smettendo di guardare, nemmeno per un attimo, suo fratello e la ragazza italiana che ballavano insieme, e che sembravano divertirsi un mondo.
- E lasci che tuo fratelò si pronda tutta la glorià...? Non è da lei, Mircò Bergamascò! - gli disse Monsieur Bourgogne avvicinandosi a lui, facendo cenno con la testa ai due in pista da ballo.
- Non so ballare, proprio non ci riesco! - si giustificò il ragazzo biondo, con una faccia un po' sconsolata. Effettivamente, quello di Mauro sembrava un talento naturale.
- Non bisognà saper ballarè! - lo incoraggiò l'uomo francese - Devi solò andàr lì, pronderlà fra le tue brascià... E lasciarti andarè! - poi, a voce bassa - Lei sa ballarè... Segui leì, con nonchalance, è ondrà tutto benè! - gli fece l'occhiolino, e poi gli diede una pacca sulle spalle.
- E inoltre - si intromise Christine - Alle ragazze piacciono gli uomini intraprendenti, you know...? - gli sorrise, e Mirco, con il cuore in gola, si armò di tutto il coraggio che aveva dentro di sé, si alzò e si... buttò nella mischia (che, come si sa, non è proprio il suo ambiente di competenza).
Arrivò alle spalle del fratello maggiore, e gli picchiettò con un dito su di esse, schiarendosi la voce.
- Gradiresti levarti di mezzo e concedermi l'onore di un ballo con questa tosa qui? - fece un sorriso da furbetto, e Francesca rise di fronte a quella scena.
- Ma tu... Tu non sai mica ballar come me! - cercò di liquidarlo Mauro, scuotendo la testa.
- Eddai! Vuole solo provare! - disse Francesca, prendendo le mani di Mirco e tirandolo verso di sé con dolcezza - Ti prometto che fra un pochino torno da te, ok? - il Bergasenior cercò di impietosirla con un labbrino tremulo, e la ragazza gli sorrise - ... Sarai sempre tu il mio ballerino preferito...! - gli disse, schioccandogli un bacino sulla guancia destra.
- A te la pista, Roberto Bolle! - disse Mauro al fratello minore, dandogli una pacca sulla spalla, tornando verso il tavolo. Dopotutto, era stata una serata positiva: l'aveva abbracciata, l'aveva stretta a sé, aveva ballato con lei... Era stato benissimo, ed aveva un sorriso soddisfatto (e anche un po' sognante, forse?), così si sedette e finì di bere il mezzo bicchiere di brachetto che gli era rimasto, osservando Mirco e Francesca.
- Ohi, io mi fido di te eh... - disse il ragazzo biondo, timidamente avvicinandola a sé, come aveva visto fare a suo fratello maggiore.
- Stai tranquillo, tre quarti... - lo rassicurò, sorridendogli - ... Vai dietro alla musica e non pensare a nient'altro, ok? - Mirco annuì, concentrato.
Gli ci volle un po' per prendere il via (per fortuna non arrivò a pestare i piedi alla ragazza...), ma alla fine riuscì ad entrare nel ritmo, buttando fuori quel po' di "sabor latino" che gli scorreva nel sangue: era comunque la ragazza a guidare, ma nessuno dei due ci badò, tanto erano impegnati nel ballo e nel guardarsi l'uno con l'altra, senza considerare chi gli stava attorno.
Continuarono ad alternarsi sulla pista da ballo, prima l'uno e poi l'altro fratello: Francesca però, per evitare che i due litigassero (notò gli sguardi di sfida con cui i Bergamasco si guardavano), decise di ballare con entrambi, improvvisando un ballo di gruppo, di quelli che si fanno nei villaggi turistici, finendo per coinvolgere anche il resto delle persone che ballavano.
A fine serata, dopo i dovuti ringraziamenti al signor Bourgogne e all'amica, Francesca tornò a casa con i Bergabros, i quali misero in macchina anche la bicicletta (pieghevole, scelta apposta da monsieur Bourgogne perchè portatile): tornare a casa in bici a quell'ora sarebbe stato letteralmente distruttivo, dato che avevano ballato per tutta la sera ed erano davvero stanchi!
Arrivati al loro palazzo, misero la bici nell'atrio, insieme a quelle degli altri condomini, e salirono verso il loro piano, in ascensore.
- 'ca miseriaccia, era da un pezzo che non mi scatenavo così! - disse Mauro, con ancora un briciolo di carica in corpo, mentre il fratello minore e la ragazza italiana erano entrambi appoggiati alle pareti dell'ascensore (Francesca aveva la testa sulla spalla di Mirco, e tutti e due avevano gli occhi socchiusi dal sonno).
- Devo ammettere che mi sono divertito anch'io, già... - disse il Bergaminor con un sorriso ed uno sbadiglio, guardando con la coda dell'occhio la ragazza appoggiata su di sé.
- E pensare quanto mi avete fatto penare per riuscire ad avervi stasera... - li bacchettò lei, ripensando al pomeriggio triste che aveva passato, e Mauro le sollevò il mento per guardarla negli occhi.
- Alla fine siam venuti, quindi... Niente faccini tristi, ok ciccia? - il Bergamaior le fece l'occhiolino, accompagnandolo ad un sorriso killer, ma dolce dolce, e la ragazza gli sorrise di rimando, annuendo.
Uscirono dall'ascensore, e si diressero verso le rispettive case.
- Fermiiiii! - disse la ragazza, correndo di nuovo da loro cercando di abbracciarli tutti e due insieme - Abbraccio rugbistico di gruppo! - i due fecero finta di stritolarla, e lei rise - Grazie ancora, padovani miei... - li salutò, e si diresse verso casa, dopo aver cercato le chiavi.
- Ah, Fra! - la fermò Mauro - Domani andiamo al Bois de Boulogne a rilassarci un po', approfittando del tempo che domani sembra esser buono secondo le previsioni... - giustificò scientificamente il Bergamasco maggiore - Ti va di venir con noi? - la ragazza annuì, felice.
- Vengo, basta che mi insegnate a giocare a rugby! Così non tiro più i palloni oltre i cancelli! - Mirco rise, e Mauro fece però un'espressione interrogativa. Poi si salutarono definitivamente.
- Devo farle i complimenti, esimio collega - disse Mauro al fratello, non appena furono in casa - Non avrei mai detto che avresti vinto così la tua timidezza! - e gli diede una pacca sulla spalla, spingendolo piano verso camera sua.
- Grazie, grazie - Mirco fece un inchino - ... Ma domani, si combatte ad armi pari...! - disse il Bergaminor dal corridoio, mentre Mauro se la rideva, recandosi anche lui verso la sua stanza.
Cap V. Skies of blue, seas of green
- Vai così! Uno, due e passa! - Mirco stava correndo in uno dei prati del Bois de Boulogne, sotto il cielo terso di Parigi, sulla quale comunque imperversava un certo freddo, ricevendo e passando continuamente la palla a Francesca, che cercava di tenergli dietro e ripassargli l'ovale.
- Sì, ma vedi di rallentare, ciccio! - la ragazza aveva un fiatone impressionante, e dopo che i due, con i loro passaggi, furono arrivati oltre l'immaginaria linea di meta costituita da Mauro (in un piumino blu scuro e occhiali da sole), sdraiato con i gomiti dietro la testa, a rilassarsi sotto il timido calore di quei raggi di sole invernali, quando Francesca toccò, sfinita, l'erba con il pallone.
- Ma non sei andata mica male, sai? - la rincuorò il rugbista biondo che, al contrario di lei, non era così distrutto - Adesso ti riprendi un attimo e iniziamo con i placcaggi, tesoro caro! - le diede una pacca sulle spalle e la trascinò fuori da quell'improvvisata linea di meta, mentre il Bergamaior sorrideva, guardandoli.
- Perchè non mi date una dimostrazione voi del placcaggio, tanto per iniziare? Sono staaaaaaaanca! - lo supplicò, straiandosi a terra accanto al rugbista dai boccoli scuri.
- Camina! Non fare storie, signorinella! - le disse Mauro, punzecchiandole il fianco con un dito per farle il solletico - Prima impara a placcare e ad essere placcata da qualcuno di relativamente leggerino, e poi si passa ai pezzi grossi! - si levò un attimo gli occhiali da sole, rivolgendole uno sguardo ammiccante, che durò finchè Mirco non decise di far tirare su Francesca, prendendola per le braccia.
- Bene, visto che sua maestà si è pronunciato... - il tre quarti ala fece una riverenza al fratello, facendo ridere Francesca - ... Cominciamo! - e così dicendo, raccolse la palla da terra e iniziò a correre come un pazzo - ... Prendimi, se ci riesci! - correndo, fece una linguaccia alla ragazza, che tentò di andargli dietro, concentrando tutte le sue energie sulle sue gambe per provare ad acchiapparlo.
- Se ti prendo ti strappo i riccioli ad uno ad uno, mi stai veramente facendo dannare!! - urlava l'ingegnera edile fra un respiro affannoso e l'altro, mentre la terza linea rideva, ora seduto a gambe incrociate, gustandosi l'inseguimento: suo fratello e la ragazza sembravano davvero Lupin e l'ispettore Zenigata. Ovviamente, Mirco corse oltre il fratello maggiore, dopo aver fatto correre praticamente in tondo la povera Francesca, e una volta arrivato, posò il pallone in terra dopo aver fatto una ruota, ricadendo in piedi come se fosse stato un artista circense.
- Ma ti arrendi così, Francescuzza? - il rugbista biondo andò da lei, che era piegata con le mani sulle gambe, sorridendole, stavolta anche lui con un po' di fiatone, e lei, per tutta risposta fece finta di infilargli due dita negli occhi.
- Che te possino caricatte, Mirchè! - la risata fu unanime, sia dei fratelli che sua. Dopo di che, Mirco prese la palla e la passò rapidamente alla ragazza.
- Gradirei farti notare una cosa, cherie... - disse Mauro, ridacchiando.
- Co... Co... Cosa? - disse lei, ancora con il fiatone.
- ... Chi ha l'ovale in mano? - la ragazza toscana, con un'espressione terrorizzata in volto, guardò il Bergamasco minore, che si fregava le mani con un sorriso stile signor Burns, quello dei Simpson: Francesca cominciò a scappare ma, ovviamente, poco dopo Mirco le fu addosso, e invece di placcarla la prese al volo e se la caricò a quarto di bue, continuando tranquillamente a correre.
- MAUROOOOO!!!! DIGLI QUALCOSAA!!!! - la ragazza, picchiando con il pugno e con il pallone (ancora nella sua mano) sulla testa del Bergaminor, implorò il fratello maggiore, che si stava letteralmente rotolando sull'erba, divertito da quella scena esilarante, di dire a suo fratello di farla scendere.
- Mirco? - disse Mauro al fratello minore, asciugandosi una lacrimuccia di riso sotto gli occhiali da sole, quando questi arrivò al trotto vicino a lui, rallentando l'andatura.
- Sìììì? - disse il tre quarti, ancora ridendo e iniziando a mettere giù la ragazza.
- ... Qualcosa! - e quando disse così, Mirco corse da lui per stringergli la mano, sempre continuando a ridere, mentre la ragazza iniziava a caricare verso di loro.
- Ma bravi!!! VI FACCIO VEDERE IO ADESSO!!! - e iniziò a correre dietro a entrambi.
- Ooooops! - anche Mauro si alzò e corse via, con la ragazza alle calcagna, che stavolta fu rapida e approfittò del momento di lentezza del Bergamaior, poco dopo che si fu alzato: gli saltò in collo dalle spalle, aggrappandosi con le braccia, e il ragazzone ne fu sorpreso; Francesca, agguerrita, cercò di sporgersi per dargli un morso sul collo, ma quando il flanker ne capì le intenzioni, cominciò a rallentare e la fece scendere.
- Vaben, vaben! Hai vinto! - disse, mettendola giù e continuando a ridere, mentre lei faceva gesti di vittoria. Poi lei, saltellando, andò a recuperare il pallone e, prese un po' le distanze dai due, fece uno sprint di corsa e toccò in terra con l'ovale.
- Meta!! Vi ho fregato, fratelli Bergamasco! - fece loro una linguaccia, e poi finì per collassare a terra, distendendosi sull'erba con il pallone sottobraccio.
- Questa tecnica del placcaggio "da donna" dovresti ricordartela, fratellone... - disse poi Mirco, camminando verso Francesca e andando a sdraiarsi accanto a lei.
- Sì, come no - continuò Mauro, che inspirando ed espirando lentamente cercava di riprendere fiato - Poi mi racconti come va a finire con gente come Chabal! - i tre risero, e anche il ragazzone padovano andò a sdraiarsi sull'erba, vicino a loro.
- Che dite, forse il Nick Mallett mi prenderebbe in Nazionale? Dai, ditelo che ho un 6 Nazioni davanti! - scherzò Francesca, mettendo i gomiti dietro la testa.
- Oh, sicuramente! - disse Mirco, spettinandola - Sei pronta per reggere le bottigliette d'acqua! - la ragazza gli tirò un leggero scappellotto sulla testolina bionda, e Mauro, dall'altra parte, sorrise.
Restarono un attimo con gli occhi chiusi sull'erba, con il solo rumore del vento fra le foglie dei grandi alberi attorno a loro a risuonare nelle loro orecchie.
Il Cherubino, cercando di fare una faccia indifferente, sempre a occhi chiusi, tentò di avvicinare la mano a quella della ragazza, e quando fu per prenderla, però, si sentì un rumore: il "click" di una macchina fotografica. Tutti e tre aprirono gli occhi all'improvviso, e quello che videro fu un familiare, solare volto sorridente.
- Hello, guys! - li salutò Christine dall'altra parte della fotocamera reflex che aveva fra le mani, senza togliere lo sguardo dal mirino - Sorrideteeee! - e scattò un'altra foto, catturandoli in un'espressione di beata tranquillità, quella di chi si è appena svegliato dal momentaneo riposo di un attimo. Inutile dire, che il rugbista biondo, con un sospiro, aveva appena ritirato la mano a sé, facendo finta di niente.
- Ma ciao! - Francesca si alzò subito da terra, e abbracciò l'amica - Cosa ci fai qui?! - le chiese, mentre anche i fratelli si alzavano, rimanendo però a gambe incrociate sul prato.
- Io vengo qui every sunday, ci sono dei soggetti interessanti da fotografare...! - disse la ragazza inglese - E oggi ho trovato dei modelli d'eccezione! - disse, facendo loro cenno con la testa e sorridendo, mentre i due ragazzi sorridevano, arrossendo lievemente.
- Perchè invece non posi quella cosa lì e non mi aiuti a dare una lezione a questi maschietti qui? - la incoraggià Francesca, lanciandole al volo l'ovale della Nazionale azzurra, che lei prese prontamente con una mano, facendo attenzione alla fotocamera nell'altra mano.
- Potremmo sempre giocare a squadre miste... No? - propose Mauro, introducendosi nella conversazione fra le due amiche, presentandosi alla ragazza inglese stringendole la mano.
- Well... Il mio rugby english style è troppo superiore... - rispose lei, tirando l'ovale con lo spin al Bergaminor che era di qualche passo davanti a lei - ... Rischierei di fargli fare una figura barbina! - e così dicendo, scattò una foto all'espressione di simpatica disapprovazione dei due ragazzi padovani, che fecero una linguaccia, mentre la ragazza italiana ridacchiava.
- E vaben... Anche se non sappiamo giocare, facci lo stesso tante foto! - disse Mirco, mentre anche Mauro faceva un cenno di assenso con la testa - Allora... squadre? Oppure, ognuno per sé stesso? - Francesca scosse la testa, preoccupata.
- Nossignore! - disse la ragazza con convinzione - Uno dei due venga in squadra con me! Ad esempio Ma... - il Bergamaior la interruppe, spingendola con una mano sulla schiena verso il fratello minore.
- Sei valida come placcatrice - esordì Mauro, sorridendo - insieme al Mirco magari potresti anche battermi! - la terza linea continuò a sorridere, guardando negli occhi l'amica (reazione scontata della nostra eroina, giusto?), e fece una corsetta fino in mezzo al prato che avevano scelto come personale campo da rugby, intanto che l'ingegnera inglese continuava a scattare fotografie ridendo fra sé e sé.
Francesca, sospirando, seguì il fratello maggiore, tirando per un lembo della felpa il Bergamasco minore, che guardò la nuova amica inglese con un'espressione sconsolata: lei, per rispondergli, gli sorrise, facendogli cenno di andare dietro alla compagna di squadra, senza preoccuparsi di niente.
Di fronte al flanker azzurro, Francesca improvvisò una haka con parole incomprensibili (si capì solo una cosa simile a "Mauro puzzi e finirai per terra", alla quale Mirco scoppiò a ridere, unendosi anche lui alla danza maori), e il Bergamaior, come sfida, fece ai due avversari una boccaccia orribile che, inevitabilmente, finì nelle foto della ragazza inglese: la mini partita cominciò, così, nell'ilarità generale.
Fu il rugbista biondo a dare il calcio d'inizio: l'ovale volò oltre la testa di Mauro, che corse subito dietro ad esso, ma suo fratello minore fu più veloce di lui, entrando in scivolata come un calciatore e riuscendo a prendere il pallone, tenendolo stretto a sé, dato che la terza linea dello Stade aveva cercato di trattenerlo a terra; Francesca fu rapida e abile a raccogliere la palla dalle mani del Cherubino, che emergevano da sotto il fianco del fratello maggiore, e fu anche scattante nel correre verso la meta.
Con un movimento altrettanto fulmineo (che fu tuttavia elegante e morbido), però, il padovano con i boccoli scuri le fu addosso, attaccandole le gambe e facendola cadere a terra.
Il tre quarti ala, rialzatosi in mezzo alla confusione, fu velocissimo e riuscì a prendere la palla, che la ragazza italiana gli passò in una frazione di secondo, poco prima del momento in cui Mauro la ebbe coinvolta in quella mini ruck.
Così, quando il rugbista dagli occhi azzurri tentò di riacciuffare il fratello, quest'ultimo ormai era giù schizzato oltre la meta, tuffandosi tenendo il pallone sul petto.
Anche Christine esultò quando il ragazzo biondo finì in meta, e Francesca, lasciata libera dalla presa del Bergamaior, si alzò per andare dal compagno di squadra, cercando di sollevarlo in una simil touch e, poiché non ce la fece, fu Mirco a tirarla su e a farle fare un rapido ascensore per festeggiare i punti presi.
- Te l'avevo detto che ce l'avresti fatta - disse il fratello maggiore ancora seduto a terra, applaudendo - gioco di squadra e prontezza di spirito! - le sorrise, alzandosi e andando verso di lei, ancora abbracciata al rugbista biondo.
Francesca si staccò da Mirco e fece una riverenza a Mauro.
- Detto da te, Sommo...! - arrossì, e altrettanto fece il flanker, mentre il tre quarti ala sembrava visibilmente infastidito.
- Quando avete finito con i convenevoli, magari continuiamo a giocare... - disse il Bergaminor, con l'aria scocciata, raccogliendo da terra il pallone e andandosene, mentre suo fratello e la ragazza si scambiarono uno sguardo interrogativo, chiedendosi cosa avessero detto di male.
A calciare, stavolta, fu Mauro: la palla acquistò una traiettoria obliqua, e finì quasi per colpire in testa la fotografa inglese, che era appostata sul lato destro del prato, ma che, per fortuna, riuscì a spostarsi in tempo.
Con un grido da Tarzan, la ragazza italiana si fiondò sul pallone ma, stranamente il flanker non la placcò : decise così di passare la palla al Bergamasco minore. Ma Mauro, accelerando l'andatura, corse per un breve tratto in cerchio, arrivando davanti al fratello minore, placcandolo frontalmente in una sequenza di gesti talmente improvvisa e veloce che Mirco non fu capace di evitare la sua azione d'attacco.
- Caz...! - uscì dalla bocca del tre quarti ala stadista, quando si sentì le spalle del fratello maggiore travolgerlo, finendo a terra.
Francesca sussultò per un attimo, colpita dalla forza con cui il Bergamauro era andato incontro al di lei compagno di squadra; Christine, urlandole di correre a prendere il pallone schizzato via dalle mani del povero Mirco, la invitò a continuare il gioco.
- Corri!! Non pensare a meeeee! - gridò anche il biondino, quando Mauro si era ormai alzato (lasciandolo respirare), per cercare di raggiungere la ragazza italiana che, con l'ovale stretto fra le mani, stava ormai correndo come una forsennata a segnare i 5 punti: e ci riuscì, un attimo prima di essere placcata dal Bergamaior.
- E ANDIAMO!! - le disse il Cherubino, alzandosi per andare dalla compagna di team con un sorrisone sul viso, prendendola in collo e caricandosela sulle spalle, portandola in trionfo in un giro del prato, mentre Christine applaudiva e il flanker azzurro, con le mani sui fianchi, riprendendo fiato, li guardava ridendo.
- Adesso si gaserà per mesi, avendomi battuto... - disse fra sé e sé Mauro, tuttavia applaudendo anche lui i suoi avversari.
Mirco e Francesca tornarono dal giro, e il ragazzo biondo la mise a terra quando furono davanti al ragazzone.
- Dai su! Un'altra! Che c'è, hai paura, flankerone? - lo punzecchiò Francesca, tirandolo per la maglietta, ma lui fece resistenza.
- Mi avete distrutto anche abbastanza, per oggi...! - la frenò lui, sorridendole - Continuate a fare qualche giro di placcaggi, tu e il signorino, che non fanno male... A nessuno dei due! - la ragazza italiana fece il broncino, e Mauro le scompigliò i capelli, per poi rivolgersi alla nuova conoscente inglese - T'ho visto che scattavi un sacco! Ma se mi facessi vedere le foto, intanto che mi riposo un po'? - Christine annuì, felice che la terza linea si fosse interessata alle sue foto, e insieme tornarono verso il "bordo campo", e si sedettero con le spalle verso i due che ancora volevano giocare a rugby, perchè il sole non desse fastidio alla loro revisione delle fotografie.
Mirco decise di insegnare un gioco alla ragazza italiana: si sarebbero passati la palla per un certo numero di volte (il gioco si chiamava Placca 7), e dopo l'ultimo passaggio, chi fosse rimasto con la palla in mano avrebbe dovuto scappare, e l'altro avrebbe dovuto cercare di placcarlo.
Nella prima manche, fu il biondino a vincere, seminando la ragazza in pochi secondi ( - Così non vale!!! Te l'ho detto che sei troppo veloce!!! - si lamentò Francesca); nella seconda, invece, seppur per un pelo, l'ingegnera riuscì ad arrivare da Mauro e Christine, nascondendosi dietro di loro ed evitando il placcaggio. Fu nella terza manche, però, che si verificò davvero qualche problema.
La ragazza italiana iniziò la sequenza di passaggi, e l'ultimo toccò proprio a lei: cominciò a correre verso il confine più lontano del prato, ma stavolta, il Bergaminor decise di giocare strategicamente, utilizzando la stessa tattica che aveva usato suo fratello maggiore per placcarlo durante l'ultima partitella, così corse in cerchio davanti a lei, e dopo aver corso all'indietro per qualche metro, cercando di distrarla, sferrò il suo attacco frontale.
Il placcaggio del tre quarti fu aggressivo, probabilmente perchè non fu capace di rendersi conto della sua forza: con le grandi spalle investì Francesca, che non riuscì nemmeno a fiatare, tanto il ragazzo biondo era stato violento; la ragazza era finita con le spalle a terra, e Mirco era caduto, inciampando, su di lei, con un braccio oltre il suo fianco e il volto a pochi centimetri dal suo.
- E meno male che tuo fratello ti critica, sui placcaggi...! - disse l'ingegnera italiana, respirando affannosamente, ancora scossa dall'azione dello stadista, anche lui con il fiatone ed una strana espressione negli occhi verdi.
- Scusami... - le rispose, mentre il suo respiro caldo incontrava il viso della fan, che stava girando il volto verso il Bergamaior e l'amica Christine, per chiamarli.
- Rag... - Mirco, riportando il volto dell'amica, con un gesto dolce, di fronte al suo, le mise un dito sulle labbra, per chiederle di stare in silenzio.
- Potrai mai perdonarmi...? - continuò il ragazzo.
Si avvicinò a lei, piano, quasi per non spaventarla, fino a sfiorarle le guance rosse con le punte dei riccioli biondi: notò che il suo sguardo andava da tutt'altra parte, e dovette faticare per riuscire a piantare, finalmente, gli occhi in quelli castani della fan. Quando sentì una ventata di coraggio attraversargli tutto il corpo, finì per posare le labbra su quelle della ragazza, prima dolcemente, facendogliene sentire appena il sapore: poi le accrezzò il viso, tranquillizzandola, invitandola ad abbandonarsi completamente a lui, che la stava ormai baciando, e baciando, e baciando, fino ad arrivare al punto in cui decise di rimanere fermo in un ultimo ed intenso bacio, che sembrò durare per un'eternità, sia per l'uno che per l'altra.
Prima di quel folle gesto, una miriade di pensieri passò dentro la testa della ragazza: non poteva, non voleva! Avrebbe voluto qualcun altro al suo posto, perchè per quanto "innamorata" di entrambi, tutti i suoi sentimenti erano per uno solo dei due... Ma dal primo istante in cui il ragazzo biondo la ebbe fatta sua in quel bacio, una scossa elettrica sembrò trasmettersi dalle labbra del suo eroe alle sue, facendole dimenticare ogni cosa, trasportandola in un mondo estraneo, a mille metri da terra, dove non c'erano più il prato del Bois de Boulogne, dove tutto era sparito, e dove sopravviveva solo quel forte brivido di emozione, che batteva al ritmo del loro cuore.
Aveva ancora gli occhi chiusi quando Mirco si staccò, rimanendo, tuttavia, per qualche secondo con il volto vicino al suo, sul quale un timido sorriso si stava facendo strada.
- Placcaggio falloso? - la voce di Mauro arrivò come dal fondo di una grotta, emergendo dal silenzio; il Bergamaior si stava avvicinando a loro, e quando il ragazzo biondo sentì i suoi passi avvicinarsi, con delicatezza si alzò, facendo attenzione a non fare del male all'amica, che rimase distesa, nonostante il suo placcatore le stesse dando la mano per farla rimettere in piedi.
- Porca miseria... - furono le uniche parole che la ragazza riuscì a dire, abbozzando un sorriso, nel mentre che il flanker si accucciava vicino a lei, per sincerarsi delle sue condizioni.
- No è che... - cominciò il Cherubino, grattandosi la testa - ... A volte perdo la brocca, e quindi mi butto in azioni che magari possono essere... Insomma... - diventò rosso, e il fratello maggiore rise.
- ... Sei pericoloso, matto di un tre quarti! - gli disse il rugbista dai boccoli scuri, facendo ridere anche la ragazza, che cominciò a diventare rossa in viso almeno quanto il Bergamasco minore - Bon... Ce la fai a rialzarti? - le chiese poi Mauro, con occhio clinico, squadrandola.
La ragazza italiana, lentamente, appoggiò entrambe le mani sul prato, contò mentalmente fino a tre, e si diede una spinta per mettersi almeno a sedere: poi, dicendo un "Oh issa" si tirò su in piedi, barcollando un po', mentre Christine, intanto, correva verso di loro, con l'aria un po' preoccupata.
Ti basta come risposta? - disse l'ingegnera, massaggiandosi la schiena ancora dolorante, lanciando prima uno sguardo soddisfatto al Bergamasco maggiore, andò a raccogliere il pallone, volato a qualche metro da loro, e quando passò accanto a Mirco, diede una leggera botta in testa con l'ovale sulla sua testa riccia, guardandolo, però, con una strana e diversa luce negli occhi, che per un attimo si fissarono in quelli del ragazzo biondo.
Il rugbista biondo entrò in un temporaneo stato di trance, un po' come ogni santissima volta in cui uno dei due fratelli aveva guardato in modo particolare o aveva fatto qualcosa di carino per quella ragazza: era lui, adesso, a sentirsi strano, con il cuore che gli levitava nel petto, leggero e felice.
Aveva rischiato il tutto per tutto, approfittando della situazione senza pensare alle possibili conseguenze che il bacio avrebbe potuto avere: avrebbe potuto perderla, cercando di avvicinarsi a lei quasi con la forza... e Mauro? Li aveva visti? Non lo sapeva, e non voleva saperlo: per ora, il ricordo di quel duplice contatto con il suo corpo, prima, e con le sue labbra poi, era l'unica immagine che si ripeteva nella sua testa.
- C'è nessuno in casa? - fu di nuovo il fratello maggiore a interrompere il suo sogno ad occhi aperti bussando, con le nocche sulla sua fronte.
- Cosa? - Mirco si risvegliò, sbattendo le palpebre. Mauro gli posò una mano sulla spalla, e lo osservò preoccupato.
- Ma cos'è che avete tutti e due? Non ti ho mai visto così devastato dopo un placcaggio, per quanto duro potesse essere... - lanciò uno sguardo anche in direzione della ragazza italiana, che si stava sedendo sul prato accanto a Christine, ed entrambi lo salutarono agitando la mano.
- Niente, niente... ho battuto una testata, ma niente di grave...! - lo stadista biondo si riprese, e sorrise al fratello maggiore - Sto bene, toso, don't worry! - gli diede uno schiaffetto affettuoso sulla guancia destra, e fece una corsetta verso l'albero sotto il quale aveva lasciato il suo zaino; andò dalle ragazze con lo zainetto su una spalla, sdraiandosi accanto all'amica italiana e offrendole, sempre timidamente, un po' d'acqua, per poi tirare fuori dalla borsa un Kit Kat, dividendolo e passandone un pezzo ad entrambe le amiche (Francesca lo ringraziò accarezzandogli i capelli, e Christine con un "Thank you, dear").
Il Bergamaior osservava la scena da lontano, avvicinandosi a loro con passo calmo. L'atteggiamento di suo fratello minore non lo aveva convinto, e tanto meno la silenziosità della ragazza italiana. Guardava i ragazzi ridere, e l'amica inglese che scattava foto dei loro sorrisi pieni di vita... Qualcosa era cambiato, una strana alchimia che lui non era ancora riuscito a capire, ma che aveva captato quando aveva visto l'espressione presente nei loro occhi. Dopotutto, era un osservatore attento, specialmente ai cambiamenti che avvenivano in Mirco: lo conosceva in ogni sua minima sfaccettatura, e quello che adesso vedeva in lui era un ragazzo - un uomo, forse? - diverso, timido(ma meno del solito), assente dalla realtà (più del solito) e determinato a crescere.
- ... Se ne vuoi un pezzo anche te, ti conviene correre! - sentì gridare il ragazzo biondo, che stava sventolando in aria la carta rossa dello snack al cioccolato: qualcosa di dolce lo avrebbe aiutato a riflettere meglio, forse, quindi, con un sorriso sulle labbra corse anche lui verso di loro, arrivando a strappare dalle mani del giovane quell'ultima stecca di Kit Kat, mentre le due ragazze, come al solito, erano divertite dalle scene di cui, quasi continuamente, i due fratelli le facevano spettatrici.
Mauro, con una mano sul fianco, e con l'altra mangiando a piccoli morsi il cioccolato, cercò di guardare, senza farsi vedere, la ragazza italiana.
E lui? Come si sentiva? Sapeva che Francesca lo intrigava, lo incuriosiva in ogni suo aspetto. Aveva avuto solo un'occasione per dimostrarle il suo interesse, la sera del compleanno, quando ballavano: aveva cercato di trasmetterle quella che era la sua voglia di conoscerla, di farsi conoscere... Era andato, tuttavia, per vie leggere, senza farsi davvero avanti. Avrebbe dovuto essere più intraprendente...? Avrebbe dovuto giocare da avanti quale era, all'attacco? O avrebbe dovuto fare come suo fratello, rimanendo nelle retrovie e facendosi vedere al momento giusto, assegnando alla sua squadra una rimessa a 5 metri dalla linea di meta e a 5 minuti dalla fine? In tutti questi pensieri, non si era accorto che stava fissando la ragazza italiana.
- Ehi...? - era la voce dell'amica italiana che, adesso, lo stava svegliando.
- ... Hmm? - il padovano con gli occhi azzurri scosse la testa, e i boccoli si mossero con lui.
- Perchè mi guardi così...? - lo interrogò Francesca, diventando rossa, mentre Mirco non perdeva l'occasione di scrutare ogni possibile variazione d'umore sul volto della sua ormai ex compagna di squadra.
Uh.. Scusa, scusa, stavo pensando e mi ero un po' perso nelle mie riflessioni, tutto qui! - sorrise, e la sua meravigliosa risata cristallina fece vibrare leggermente l'aria intorno a loro: il ragazzone moro si mise a sedere e portò un braccio intorno alle spalle del fratello minore, che ora si era messo seduto a gambe incrociate - Allora... Hai già finito i dolcetti, tu? - provò a cambiare argomento, frugando nelle cose del biondino, che ora cercava di capire cosa passasse in quegli imperscrutabili occhi azzurri, mentre le amiche continuavano a sorridere, scorrendo le fotografie che Christine aveva fatto durante la mattinata.
Cap VI. The Game of Love
Nei giorni seguenti i tre vicini si incontrarono, come al solito, sul pianerottolo o nell'ascensore: gli orari erano sempre gli stessi, quasi come degli appuntamenti involontari, al quale ognuno di loro partecipava sempre con allegria.
In uno di questi incontri fortuiti, diventando rosso per quella timidezza che lo contraddistingueva, Mirco invitò la ragazza italiana a venire agli allenamenti dello Stade, di pomeriggio: quella settimana ci sarebbe stato il mach di Heineken Cup contro gli irlandesi dell'Ulster e, visto che (anche volendo) non avrebbero potuto portarla con loro in Irlanda del Nord, farla assistere al training pomeridiano sarebbe stato un buon compromesso per tenersela calma.
Ovviamente l'amica accettò di buon grado, perchè dopotutto non le sarebbe capitata troppo spesso la possibilità di vedere in campo, così da vicino, la sua squadra preferita: avrebbe chiesto un pomeriggio libero al signor Bourgogne e, se fosse stato possibile, si sarebbe portata dietro l'amica inglese, tanto per non restare da sola sugli spalti.
A proposito del bacio, nessuno aveva proferito parola: il rugbista biondo e la ragazza italiana non si dissero niente, e Mauro sembrava non essersi davvero accorto di quel che era davvero successo dopo il placcaggio aggressivo di Mirco ai danni di Francesca, se non dello stato di perenne tranquillità in cui versava suo fratello minore, ma non se ne curò molto, cercando di pensare unicamente al suo modo per conquistare l'amica.
Il martedì mattina, il giorno stesso in cui la loro vicina di casa sarebbe venuta a vederli mentre si allenavano, durante la videoanalisi con tutta la squadra dell'ultima partita dell'Ulster, il Bergamasco minore, seduto accanto ai compagni tre quarti e ali, si sporse in avanti, per richiamare l'attenzione del flanker inglese, Haskell, seduto nella fila davanti a lui, accanto al Bergamaior.
- James! - lo chiamò sottovoce, e il ragazzone biondo si voltò verso di lui, guardandolo con i vispi occhi azzurri.
- Yeah? - gli rispose, mentre Mauro, attento, continuava a seguire il video sul televisore, posto quattro file più avanti.
- Would you mind to exchange your seat with mine? - cercò di mantenere un tono basso, e il volto più cortese che potesse rivolgere ad una terza linea grande e grossa come lui.
Haskell annuì facendo spallucce, e provando a non fare troppa confusione fece cambio di posto con il Cherubino, che andò, quindi, a sedersi accanto a suo fratello maggiore.
- Tout apposée, Bergamasco frères? - chiese l'allenatore, interrompendo per un attimo la visione.
- Tres bien, monsieur...! - disse il padovano con i boccoli scuri, rassicurando il mister, che continuò con il lavoro di studio della squadra avversaria.
- Senti - iniziò Mirco, sempre a bassa voce, parlando all'orecchio del ragazzone moro - Ho provato a mantenere il segreto, ma la voglia di vedere la tua faccia diventare verde d'invidia mi tirava troppo... - il ragazzo biondo aveva un sorrisetto beffardo sul viso; il flanker padovano alzò un sopracciglio e incrociò le braccia sul petto, in silenzio, facendogli cenno di continuare.
- Domenica... - il tre quarti ala parlava con un tono misterioso e di attesa - ... non c'è stato un placcaggio come tanti altri, sai? - disse Mirco.
- Shhh!! - Szarzewski, seduto accanto a Mauro, fece segno al Bergamasco minore di stare zitto: il ragazzo biondo si scusò, e non parlò per qualche minuto.
- Ah no? - fu la terza linea stadista, ora, a incalzare il fratello per la curiosità che gli stava montando in corpo, spinto dall'idea di scoprire quale fosse quel fantomatico segreto - E cosa sarebbe successo, di grazia? - proseguì, con tono scettico e a presa in giro - L'avresti, per caso, fatta tua in un passionale e profondo bacio con la lingua...? - tirò ad indovinare, ridendo fra sé e sé, e si voltò verso suo fratello: lo stava guardando con un'espressione a metà fra il sorpreso e lo spaventato.
Come diavolo aveva...? Comunque, non gliene importò.
- Lingua? Chi ha parlato di lingua? - gli rispose, dopo essersi ripreso, con uno sguardo che, ora, esprimeva tutta la sua soddisfazione e fierezza, e le guance, rosee al ricordo di quell'effusione, erano distese nel sorriso di prima.
- ... No, dai, mi stai prendendo per i fondelli... - Mauro gli diede una spinta sulla spalla, guardandolo, adesso, con aria decisamente incredula, negli occhi verdi.
Mirco scosse la testa lentamente, e il sorrisetto compiaciuto si allargò sempre di più sul suo volto, mentre il Bergamaior assumeva, ora, un'espressione seria.
- Bello, profondo, improvviso... - disse il tre quarti ala, mordendosi il labbro - ... Un sacco di punti, insomma... - aggiunse, poi, con la sfida che si poteva leggere nel verde un po' sfocato delle sue pupille, che ora erano fisse in quelle azzurro intenso del fratello maggiore.
Mauro... Era quasi furioso, dentro di sé. Porca miseriaccia, era riuscito a farsi fregare così! Lo sapeva, lo sapeva che avrebbe dovuto pensarci lui!
Intanto, la videoanalisi era finita: tutta la squadra si alzò per andare nella sala degli attrezzi, e iniziare la sessione mattutina di palestra.
Il ragazzone padovano fu piazzato a farsi le sue belle serie di pesi, mentre a Mirco fu assegnato il tapis roulant: il flanker stadista decise di andarsi a mettere accanto a suo fratello minore, perchè questa storia del bacio... Non voleva proprio andargli giù.
- E lei...? Niente? Non ti ha detto niente? Non ti ha nemmeno preso a schiaffi, come avresti meritato? - disse il Bergamaior, con una punta di cattiveria nella voce, mentre sollevava e sollevava.
- No, assolutamente niente... - il giovane biondo era un po' dispiaciuto, ma il volto contratto dall'invidia di suo fratello non aveva davvero prezzo, quindi non ci pensò più di tanto - ... Chissà, magari potrebbe anche accadere di nuovo...! - continuò, mentre lo sguardo di Mauro diventava via via sempre più assassino.
- Avrai vinto una battaglia, ma di sicuro non la guerra, caro mio... - gli sussurrò, con un tono di voce piuttosto minaccioso; lo stadista con gli occhi verdi gli rispose con una linguaccia, ed entrambi tornarono, in silenzio, a fare i propri esercizi.
Il Bergamasco maggiore, tuttavia, non riusciva a darsi pace: doveva trovare il modo di avvicinarsi anche lui, così tanto, a quella ragazza, dimostrandole che anche lui era capace di farla innamorare.
Dunque, aveva bisogno di un'occasione per liberarsi di Mirco, per poter restare solo con lei... fece appello a tutto il suo ingegno e, alla fine, trovò la soluzione perfetta.
- Ah, senti fratelin - disse il flanker azzurro al biondino, con nonchalance, continuando con i pesi - Ci sarebbe da passare alla boutique, oggi pomeriggio, sai? - il ragazzo lo guardò, con aria interrogativa.
- E perchè non ci vai tu, allora? Io devo riportar a casa la Franceschina! - sbottò Mirco, continuando a correre, togliendosi la felpa che aveva addosso, dato che stava sudando.
- Perchè sei tu quello che sta dietro al negozio, tosatèlo! - gli ricordò la terza linea, mentre il tre quarti sbuffava - Dai... Ce l'accompagno io a casa dopo gli allenamenti, non la lascio mica sola nelle fredde e pericolose strade parigine! - il fratello minore lo guardò con aria scettica: lo avrebbe attaccato alle spalle...?
- Hmpf, e va bene... quando uno ha ragione, ha ragione... - Mauro sogghignò sotto i baffi - Ma promettimi una cosa! - chiese infine il ragazzo biondo.
- Oui? - rispose il ragazzone, posando a terra i pesi, con un leggero tonfo. Una goccia di sudore scendeva lenta fino al sopracciglio, per poi cadergli lungo la guancia.
- Non farai niente di sleale... vaben? - Sleale? Mauro Bergamasco gioca sempre duro, ma corretto... no? Quindi il padovano con gli occhi azzurri scosse la testa, e fece il segno della promessa di boyscout: Mirco si tranquillizzò, e continuò a correre.
Sleale..? Uhm. Qualcosa aveva in mente, sì... Ed intanto, si promise di non toccarla nemmeno con un dito. Poteva farla morire anche senza sfiorarla, tanto per dare uno schiaffo morale in più al fratello minore. E così, mentre il "piano" si delineava nella sua mente, continuava a sorridere fra sé e sé, assaporando il momento in cui avrebbe effettuato uno dei suoi placcaggi più duri... ma, soprattutto, il momento in cui il suo adorato fratellino lo sarebbe venuto a sapere.
Il pomeriggio arrivò presto, e con esso arrivò anche la loro amica ad assistere agli allenamenti: puntualissima, con un solare sorriso sulle labbra, avvolta in un cappotto blu scuro, quando Mirco la vide le corse incontro, salutandola da bordo campo (stava per scavalcare, quando il mister decise di fermarlo, mandando Leguizamon a riprenderlo); Mauro, dall'alto della sua eleganza e del suo charme, le fece un inchino, al quale affiancò uno dei suoi migliori sorrisi killer.
Francesca, dentro di sé, era davvero al settimo cielo. Erano pochi quelli che l'avevano fatta sentire così... cercata e voluta. In ogni momento della giornata in cui non fosse impegnata in qualcos'altro, le tornavano in mente la sensazione di coinvolgimento totale che le aveva causato il bacio del Bergaminor, quegli occhi dolci e vivi che l'avevano fatta cedere a lui... Ma, tuttavia, fece appello a tutta la sua forza di volontà per cercare di non farsi illusioni, film mentali, come era solita fare dopo il verificarsi di situazioni simili, che potevano succedere come non succedere mai più, lasciandola in un limbo d'indecisione perchè, alla fine, non sapeva realmente cos'era stato a spingere il ragazzo biondo a unire le labbra alle sue e, forse, voleva scoprirlo "solo vivendo".
Per quanto riguarda il flanker, la faccenda era ben più complicata: nel Sommo, Mauro, vedeva un uomo, un uomo capace di catturare tutta la sua attenzione sotto ogni punto di vista, perchè sarebbe stata ore ad ascoltarlo mentre parlava, a guardare quei maledettissimi occhi magnetici e ipnotici.
C'era, in quell'essere così particolare, un non sapeva cosa che lo faceva apparire protettivo, le dava un senso di sicurezza che non molti le avevano fatto provare: il Bergamaior era forte, era imponente e degno di tutto il suo rispetto e la sua ammirazione e, giorno dopo giorno, scopriva lati del suo carattere che la interessavano sempre di più.
Sin dal primo momento in cui li aveva visti giocare, e in cui li aveva "conosciuti"durante gli anni in cui si era appassionata al loro modo di vivere il rugby, non era mai stata davvero capace di decidersi su chi dei due fosse, sul serio, l'uomo che la incuriosisse e interessasse di più, e non si affezionò in maniera eccessiva a nessun di loro: adorava alcuni aspetti del biondino, così come diverse caratteristiche del padovano con i boccoli scuri e, se avesse avuto qualche certezza su chi dei due preferisse... quell'improvviso scatto di "passione" del Cherubino l'aveva completamente cancellata.
Era persa nelle sue considerazioni, nel frattempo che guardava gli stadisti allenarsi. La squadra provò varie volte la mischia ordinata(nella quale, notò, il Bergamasco maggiore diede un contributo piuttosto importante, spingendo e incoraggiando i compagni neanche fosse stato il capitano), gli sprint di corsa in meta (Mirco se la giocò alla pari con Lionel Beouxis, dandogli del filo da torcere) e, così per far svagare un po' i giocatori, l'allenatore aveva deciso di far ingaggiare loro una partita a calcio, che servì anche per migliorare il gioco al piede e il controllo del pallone.
Il momento più divertente, però, fu quando il ragazzo biondo, su assist di Bousses, riuscì a fare goal: si tolse la maglietta, fece l'aeroplanino, e si mise a fare dei versi da Hulk Hogan all'indirizzo di Francesca, che rise, e gli fece un applauso fortissimo, cercando di riprodurre il suono di una folla in delirio. Mauro, che era il portiere a cui il tre quarti aveva segnato, raccolse la palla dalla rete e... Mentre suo fratello era ancora girato, gli andò vicino silenziosamente, e gli tirò una pallonata dritta dritta sulla testa.
Si sentì solamente un "AHIA!!" e poi, vedere i due fratelli rincorrersi fu una questione di pochi secondi, tutto questo sotto le risate sempre più divertite della ragazza italiana (che si stava letteralmente piegando in due, nonostante avesse cercato di avvertire il biondo dell'imminente attacco del fratello) e lo sbigottimento dell'allenatore, che cercò di fermarli.
- BERGAMASCò!! - il mister fu autoritario e non ammise repliche - 20 SGIRI DI CAMPò! A TESTà! E SONO QUARANTà! SCATTARè! - il resto dello Stade rideva almeno quanto l'amica dei due fratelli padovani, ma furono rapidamente richiamati all'ordine dall'allenatore, che chiese loro silenzio e lavoro serio.
Mirco e Mauro cominciarono così a correre, continuando a darsi qualche scappellotto a vicenda, di tanto in tanto: quando passarono davanti all'amica, lei li guardò scuotendo la testa, ma tuttavia sorridendogli. Erano buffi, simpatici e anche un po' pazzi... Ma li amava così.
Quando l'allenamento terminò, entrambi i fratelli Bergamasco scavalcarono la balaustra del bordo campo, e andarono a sedersi per un paio di minuti accanto alla ragazza, coprendosi con le loro felpe blu a strisce rosa, uno a destra e uno a sinistra, ed entrambi appoggiarono la testa sulle sue spalle.
- 40 giri di campo... Come i bambini piccini, per punizione! - li prese in giro, e Mirco le fece il verso.
- Il signor Mauracchio mi tira le botte, e io reagisco...! Mi sembrerebbe anche normale! - il ragazzone padovano si sollevò dalla spalla destra della ragazza, e rise.
- Ma va là... Non sai stare agli scherzi, scemotto! - disse Mauro al fratello minore, che lo guardò con aria scettica.
- Ciccio... Il permaloso qui sei tu eh! - rispose il Cherubino; Francesca diede un pizzicotto a entrambi, sulle loro guance rosse e ancora sudate.
- Eddai, piantatela di litigare... Andatevi a fare la doccia prima che vi prenda un coccolone per il freddo! - li incoraggiò, premurosa, e per una volta, in quella discussione i due rugbisti furono d'accordo, così si alzarono e fecero per andare via. Mirco, però, diede un bacio sulla guancia alla ragazza, prima di togliere la testa riccioluta dalla spalla: l'amica arrossì, e gli sorrise.
- Ti porta a casa la terza linea oggi, Fra... Io devo sbrigare un po' di cose al negozio! - le disse, dispiaciuto, e lei sospirò, senza smettere di sorridergli.
- Sbriga, sbriga... Prima o poi mi ci porterai, vero? Mi ci porterai e mi farai da stilista! - il ragazzo biondo annuì energicamente, mettendosi le mani gelate nelle tasche della felpa, e sorridendole a sua volta, scaldandole il cuore per qualche secondo. In attesa del Bergamaior, la ragazza italiana sarebbe andata a prendersi qualcosa di caldo al bar dentro lo stadio, continuando a lavorare al computer che, essendo uscita da poco dal lavoro, aveva con sé.
Poco prima di imboccare il tunnel per gli spogliatoi, tuttavia Mauro la chiamò.
- ... Se non arrivo entro... Facciamo tre quarti d'ora, non peritarti e vieni a cercarmi negli spogliatoi, perchè se ci sto così tanto... - le lanciò un sorriso che definirlo "letale" sarebbe stato poco... - ... Vuol dire che potrei essere svenuto, o peggio! - Mirco sbuffò, e guardò la ragazza allargando le braccia, ma quando il fratello maggiore si voltò per vedere che faccia stesse facendo, lui tornò normale, spalancandogli un sorriso da gran furbetto.
Come da programma, Francesca andò al calduccio del bar, e si prese una rincuorante cioccolata calda, rivedendo, sullo schermo del portatile, i progressi che aveva fatto nella costruzione del suo stadio in tre dimensioni. Decise di dargli un po' di colore, dando all'aspetto esteriore del nuovo Jean Bouin un velo di blu scuro metallizzato, con il disegno stilizzato dei tre fulmini, simbolo dello Stade Français, che avrebbe occupato tutto il fronte al nord della costruzione.
Guardò l'orologio, e vide che ormai erano quasi le 17 e 30: i tre quarti d'ora, quindi, erano già passati da una decina di minuti e allora, prendendo il coraggio a venti mani (no, non ne bastavano due) uscì dal bar per intraprendere la discesa che portava direttamente agli spogliatoi.
Le luci nel corridoio a piastrelle bianche erano tutte accese, ma non si sentiva volare una mosca. Con il cuore a mille, la borsa del computer portata come una ventiquattrore, arrivò davanti alla porta dello spogliatoio stadista: era socchiusa, ma prima di entrare, bussò... E non ottenne risposta, così entrò, sbirciando, onde evitare di trovarsi a tu per tu con qualche rugbista in mutande.
- M... Mauro? - l'ingegnera italiana chiamò il Bergamaior: l'unica cosa che riuscì a sentire, a ogni passo in più che faceva dentro quella grande stanza rettangolare, fu il rumore di un fruscio, uno scorrere d'acqua. Avanzando lentamente e guardandosi intorno, notò un borsone dello Stade ancora appoggiato su una panchina, la quale era a sua volta a un paio di metri da un'altra porta, di colore azzurrino.
Curiosa, si avvicinò al borsone e, sul cartellino che penzolava insieme ad un portachiavi (un leoncino di pelouche), lesse le sillabe Ma Be: non c'erano dubbi, quindi, su chi fosse il proprietario della sacca. La sua attenzione, poi, fu richiamata proprio da quell'altra apertura, dalla quale sembrava provenire quello scroscio. Con un enorme sospiro, chiamò nuovamente il Bergamasco maggiore.
- Maurone...? Sei... Sei lì dentro...? - cercò di alzare un po' di più il tono di voce, ma la timidezza e l'agitazione la stavano davvero sopraffacendo.
Contò fino a dieci, e fece qualcosa che mai avrebbe pensato di fare.
Pianissimo, appoggiò la mano sulla porta, e spinse, in modo deciso, ma lento: il suono dell'acqua che cadeva era sempre più forte, sempre più forte, sempre di più...
Ed eccola di nuovo, quella sensazione di mancamento che le aveva fatto provare il contatto con le labbra di Mirco: tuttavia, in quel momento, quel vortice di emozioni era causato da ben altro che un bacio.
Quello che vide fu qualcosa di assolutamente inusuale: in una fila di docce, separate solamente da una lastra di vetro opaco che arrivava più o meno all'altezza dell'addome, nella seconda cabina dall'entrata, stava Mauro Bergamasco.
Era girato: la testa era leggermente rivolta all'indietro e, sui capelli bagnati, muoveva in gesti lenti e incredibilmente attraenti le grandi mani, per insaponarli e, questi, piano piano, si coprivano di schiuma, il cui profumo arrivava fino a dove si trovava la ragazza; il getto della doccia gli ricadeva, piano piano, sul collo muscoloso e sulle spalle, estese in tutta la loro apertura, di una carnagione chiara, leggermente rosata sui deltoidi e sulle potenti braccia; infine, lungo il centro della schiena, gli scendeva un rigagnolo d'acqua, morbido e leggero su quella pelle quasi lunare.
Attratto dal rumore della porta che si apriva, con un movimento altrettanto tranquillo e silenzioso il ragazzone moro si voltò, continuando a lavarsi la chioma riccioluta e, quando notò l'amica, non si scompose minimamente: anzi, le allargò un sorriso carico di complicità e sensualità, e la guardò intensamente, facendo appello a tutto il suo fascino oscuro e al suo savoir-faire... Nel mentre che lo sguardo della ragazza si trovava, ora, a tu per tu con gli enormi pettorali solcati dall'acqua e accentuati dalla luce.
- Ah... Sei tu, finalmente...! - le disse, con il sottofondo dell'acqua che continuava a scorrere - Stavo cominciando a pensare che te ne fossi già andata, essendoti stancata di aspettarmi... - aggiunse, cercando di fare finta di niente, e mantenendo il più possibile il controllo sulle sue emozioni (ne aveva anche lui, eccome se ne aveva, e dovette faticare per non finire anche lui ad arrossire come era solito il fratello minore!).
Francesca non disse niente. Niente, assolutamente niente. Aveva un dio greco davanti a sé, un dio greco che la stava... aspettando? Che cosa avrebbe mai potuto dire?
- Aspettavi me...? T-tu? - era ad occhi aperti, ma quello che aveva davanti non le sembrava vero, e le parole, dalla bocca, le erano uscite quasi come un soffio impercettibile, coperto dal rumore dell'acqua.
- Piuttosto - le parlò quell'essere, con le mani ora sui fianchi, guardandola in modo sempre più accattivante - Devo venirti a prendere, o... - uscì da sotto la doccia, facendo sì che la ragazza si potesse trovare a tu per tu con quel corpo forte e impressionante... completamente nudo e grondante acqua.
Istintivamente, e mormorando un "oddio...", Francesca girò lo sguardo, e sentì, nell'arco di pochi minuti, il bellissimo suono della sua risata, che si diffuse per tutto il locale delle docce; un attimo dopo, i passi leggeri del flanker sul pavimento coperto da un velo d'acqua, e l'ultima sensazione che l'avvolse fu il tocco delle dita bagnate di Mauro, del palmo della sua mano, che passò sui suoi capelli castani, in un gesto dolce, ma pieno di un interesse vivo e sentito verso di lei.
Il respiro del rugbista le arrivò sul collo, sul quale sentì le labbra bagnate del rugbista posarsi, dandole dei silenziosi e umidi baci, senza mai smettere di tenerle la testa, sempre gentilmente, con la mano.
Le sussurrò qualcosa, mordendole piano l'orecchio, qualcosa che solo lei fu capace di decifrare.
Così, come se fosse stata prigioniera di un incantesimo, fu presa dalla foga di togliersi i vestiti di dosso, gettandoli da una parte, mentre Mauro continuava ad accarezzarla, portandola, piano piano, verso la doccia calda ancora aperta.
Quando furono entrambi sotto l'acqua, il flanker stadista mise le mani sui fianchi della ragazza, facendole salire fino alla schiena, e la strinse a sé.
- ... Baciami. - sottovoce, il Sommo disse quell'unica parola, facendogliene sentire il suono sulle labbra socchiuse e bagnate dall'acqua.
La ragazza italiana chiuse gli occhi, ma con la paura di perdere tutto quel sogno.
Abbracciò forte il collo della sua terza linea preferita, e attese quel bacio, desiderandolo con tutta sé stessa...
- Fra...? Ehilà...? - la voce del bel ragazzo padovano la svegliò da quel viaggio mentale, ed uno schizzo d'acqua (partito dalla mano del rugbista), la riportò alla dura realtà.
Francesca sbattè le palpebre, e sussultò.
- Se-se-senti! - gli disse Francesca, con un sorriso imbarazzatissimo e il volto rosso, indietreggiando lentamente verso la porta - ... io va-vado di l-là, ad aspettart-ti-ti... - la sua forza di volontà cercò di trattenere il suo sguardo dall'ammirare il fisico statuario del suo bruno vicino di casa, ma... un po' inevitabilmente, l'occhio le cadde, scendendo dai pettorali verso gli addominali...
- Aspetta, aspetta...! - la fermò Mauro, chiudendo l'acqua della doccia, e passandosi le mani fra i capelli zuppi - ... Mi passi quell'asciugamano? Quello appeso al muro, accanto a te? - sorridendole, le indicò un telo bianco su un attaccapanni; la ragazza italiana allungò una mano, e fece qualche passo verso di lui, tirandogli al volo l'asciugamano.
- Merci, mademoiselle...! - la ringraziò il ragazzone moro, mandandole un bacio, e strizzandole l'occhio azzurro come il cielo terso dopo un temporale estivo. Si avvolse l'asciugamano attorno alla vita, salutando con la mano la ragazza, che uscì rapidamente dalla porta.
- ... Maurone mio, complimenti, complimenti... - si disse fra sé e sé il flanker, con un sorrisetto compiaciuto, mettendosi le ciabatte, ed estraendo da un astuccio di plastica un pettine.
"Accidenti... mi si mette pure a parlare in francese, il bastardo...! Un grandissimo, magnifico, e terribile pezzo di bastardo..." pensò l'ingegnera edile con il volto in fiamme, una volta fuori dalla stanza delle docce, lasciandosi cadere sulla panchina accanto al borsone di Mauro. Giocherellò con il portachiavi di pelouche, tirando un sospirone, e canticchiando.
- Quand il me prend dans ses bras... ll me parle tout bas, Je vois la vie en rose... - fu il dolce, ma bel canto, che persino la terza linea, aldilà della porta, riuscì a sentire.
Cap VII. Pink!
Era incredibile: nell'arco di soli tre giorni, sulla tranquilla isola che era la vita della ragazza toscana, era passato un monsone di proporzioni inimmaginabili, sconvolgendo ogni cosa... dai suoi ormoni, al suo cuore, e viceversa.
Come un fulmine (rosa e azzurro, ovviamente) a ciel sereno, aveva ricevuto un bacio da Mirco Bergamasco, che l'aveva lasciata spiazzata: avrebbe voluto resistergli, fargli capire che non poteva prendere possesso delle sue labbra in quel modo... ma nel farlo, era stato tuttavia gentile, dolce, e le aveva fatto sentire un qualcosa di molto più profondo di quanto non si sarebbe mai aspettata. Aveva ceduto alla sua intraprendenza, senza dire o fare niente, nemmeno dopo un po' di tempo, forse perchè, parlandone, avrebbe potuto rischiare di rovinare tutto, di mandare all'aria un rapporto di stima e di simpatia reciproca, che piano piano stava diventando sempre più forte.
Poi, come in una trappola, l'altro fratello, Mauro, l'aveva fatta introdurre negli spogliatoi dello Stade Français, e le aveva preparato un improvviso incontro con il suo corpo, sotto una pioggia d'acqua, figurandosi ogni sua mossa, come se fosse stato capace di controllarla con degli invisibili fili: era stata portata lì dalla curiosità e, nonostante non ci fosse stato nessun tipo di contatto con lui, il suo atteggiamento di naturalezza nel trovarsi lì davanti a lei l'aveva sorpresa.
Aveva causato in lei un'attrazione senza precedenti, ma per tutto ciò che concerneva la sua persona, e non solo per la sua fisicità: anche per il suo incredibile fascino nel saperla tenere in pugno con poche parole, pronunciate dalla sua voce suadente e speciale, e con un solo, lungo, e intenso sguardo.
Piantata sul cuore, a Francesca sembrava di avere una lancetta: a seconda delle giornate in cui parlava con l'uno o con l'altro, degli sguardi, delle parole, che aveva condiviso con i due, quella lancetta si spostava, e le indicava chi fosse il ragazzo a cui avrebbe dovuto dedicarsi, cercando di conquistarlo.
Ma, ovviamente, era ancora un po' troppo presto per parlare di amore.
Al contrario di quanto si sarebbe potuto pensare, data la sua splendida giocata contro il Bayonne, Mirco non fu convocato dal mister per il match contro l'Ulster (forse per quella scenata da bambino piccolo, o per le troppe chiacchiere in sala videoanalisi?), a differenza di suo fratello maggiore: il tre quarti sarebbe quindi rimasto a Parigi insieme agli altri giocatori che non erano stati chiamati in Irlanda.
Il resto della settimana passò in modo tranquillo e senza grandi eventi ma, negli uffici vicini al Jean Bouin, cominciò a ventilare la data in cui sarebbe stato indetto il consiglio di uomini importanti che avrebbe deciso il vincitore del concorso per la costruzione dello stadio: sarebbe stato verso la fine di gennaio, quindi, a poco meno di due mesi da quell'inizio di dicembre. Come per la presentazione del progetto e dei partecipanti ad esso, la proclamazione del vincitore sarebbe avvenuta ad una grande terzo tempo (senza i primi due, però), di nuovo con la partecipazione di tutto lo Stade e dei suoi piani alti, e sarebbero stati gli stessi giocatori a premiare il futuro capo ingegnere.
Venerdì sera, Francesca era appena tornata a casa da una pizza fuori a cena con l'amica inglese, ed era andata sul divano a rilassarsi ascoltando un po' di musica dal suo fido iPod.
"... Nothing really matters, anyone can see... Nothing really matters..."
Mentre le ultime note di Bohemian Rhapsody le accarezzavano l'udito, sentì il campanello suonare, così schizzò in piedi, svegliata dal torpore in cui si trovava, e andò a vedere all'occhiello della porta chi mai potesse cercarla a quell'ora: era il suo biondissimo vicino di casa.
- ... Disturbo? - con un viso dolcissimo e un po' dispiaciuto (non sapeva se aveva fatto bene a presentarsi lì davanti, ma ormai il danno era fatto...), il Cherubino stava, in tenuta da casa (con maglia a righe bianche e azzurre, pantaloni che cadevano morbidi sulle gambe e... ciabatte), di fronte a lei, sorridendole.
- Ma n-no, figurati Mircolin...! - lo salutò, arrossendo, facendo finta di non essere stata praticamente riportata alla luce nel bel mezzo di una pre-dormita sul divano.
- Senti... Domani son solo soletto... E quindi me ne andrò a vedere la partita alla Clubhouse della squadra, insieme a qualche compagno...! - parlò con un'unica emissione di fiato, guardando in basso e giocherellando con le dita - ... Non penso che tu abbia la tv via-cavo, ancora, quindi... Ti... Ti andrebbe di venirci... Con me? - le chiese, ora con gli occhi verdi nei suoi.
- ... Sarebbe fantastico, cazpitina! - gli disse, facendolo ridere - Grazie di aver pensato a me, biondino mio! - lo guardò, con gli occhi pieni di riconoscenza, mentre lui arrossiva sempre di più.
- Ma figurati... - le rispose, guardando di nuovo in basso per l'imbarazzo - ... Ci vediamo domani pomeriggio, allora...! Mi raccomando, ti voglio con qualcosa di rosa addosso...! - la ragazza gli fece l'occhiolino, e cominciò a chiudere la porta.
- Dimenticavo... - le disse, attirando nuovamente la sua attenzione.
- ... Sì? - Francesca, incuriosita, gli sorrise, aspettando sul ciglio di casa sua.
Mirco si sporse in avanti, dandole un fuggevole bacio sulla guancia.
- ... Buonanotte...! - concluse il ragazzo biondo, camminando all'indietro fino alla porta di casa sua, e agitando la mano per salutarla.
La ragazza italiana rimase sulla porta, a guardarlo finchè lui non tornò dentro il suo appartamento: poi, soffiò un silenzioso bacio in quella direzione.
- ... Ciao, angelo biondo. - disse fra sé e sé, e con un sorriso felice sulle labbra.
Il giorno seguente, Mirco portò con sé la ragazza, in macchina, alla Clubhouse stadista: non erano molti i presenti, ma l'atmosfera era comunque allegra e di attesa per la partita.
I due italiani si misero a sedere accanto a Messina e a Simon Taylor, e si fecero portare un bel paio di boccali di birra con annessi stuzzichini, tanto per non soffrire la fame. Arrivarono anche Szarzewski (un altro dei preferiti di Francesca...) e Bastareaud, insieme ad un'altra carrellata di giocatori con relative signore, e si piazzarono tutti nella grande sala audiovisivi situata accanto al bar dello Stade.
Gli stadisti, in campo, indossavano la maglia rosa con il disegno di Bianca di Castiglia.
Alla loro entrata nello stadio del Ravenhill, in Irlanda del Nord, si levò un applauso da parte di tutta la platea della sala della Clubhouse, e alcuni di loro gridarono "Allons enfants de la patrie!"; Mirco e Francesca un "VAI MAURO!!" quando il ragazzone padovano fu inquadrato; quando però la rete televisiva decise di far vedere Ian Humphreys, mediano d'apertura dell'Ulster, in primo piano, l'ingegnera edile scattò in piedi, dicendo: "BRAVO! BRAVO! BELLO CHE SEI, IRLANDESOTTO MIO!"... e addosso alla ragazza arrivò una pioggia di bricioli di schiacciatine e noccioline, persino dalla parte di Mirco.
- Se devi tifare per quel folletto barbuto te ne puoi anche andare all'Irish Pub a un isolato da qui! - le disse il rugbista biondo, incrociando le braccia sul petto - ... Però ci vai a piedi, tosa! - fece una linguaccia a Francesca, che si era ormai rimessa a sedere, con un faccino dispiaciuto e rammaricato.
Dimitri Szarzewski, seduto accanto a lei, vedendola così triste le fece un sorriso, e le diede un'amichevole e leggera pacca sulla spalla.
- We're just joking, chèrie! - le disse il tallonatore francese, mentre lei arrossiva - ... And, there's your boyfriend, pour vous consoler! - aggiunse, guardando Mirco che, ora, all'improvviso, aveva cominciato a fare dei versi assurdi, agitando le mani e parlando in labiale con Szarzewski, per cercare di fargli capire di aver commesso un errore.
- Non, Dimitri... - gli rispose la ragazza, diventando ora sempre più rossa - ... Mirco... n'est pas mon copain...! - disse, timidamente (pensando anche un "purtroppo, non lo è..."), e il giocatore stadista accanto a lei, biondo almeno quanto il tre quarti ala, fece scorrere lo sguardo da lei a Mirco, rapidamente, con aria perplessa.
- Non? - chiese, ridendo di fronte al compagno di squadra, che faceva l'indifferente bevendo sorsate di birra (diventando rosso sulle guance) e guardando il match, seduto vicino all'ingegnera - Je demande a mes collegues de mêlée, Mauro... - concluse, con un sorrisetto complice sul viso dai bei lineamenti: aveva appena detto che avrebbe chiesto al suo compagno di mischia, il Bergamaior, per avere conferme sul rapporto che potesse esserci fra l'altro stadista biondo e quella ragazza così timida.
"Seh... Se chiede a Mauro, magari gli dice che stanno per sposarsi..." pensò il ragazzo biondo, con un'espressione poco felice sul viso.
La partita non iniziò molto bene per i rugbisti in maglia rosa: l'Ulster era davvero determinato e fortissimo, attaccava senza sosta, sgusciando in ogni buco della difesa della squadra parigina, che con molti sforzi riuscì a fermare gli avversari, attraverso catenacci e placcaggi durissimi (furono concesse alcune punizioni davvero evitabilissime, che Humphreys mise a segno con facilità).
Il morale, quindi, in quella sala, che fino a quel momento era stata riempita da ottimismo e allegria, era a terra, e si sentiva solamente qualche borbottio proveniente dai posti in fondo alla stanza.
Anche il volto del Cherubino, solitamente solare, adesso era diventato un po' più triste: si era alzato, e stava in piedi dietro alla sedia di Francesca, con le mani sullo schienale.
Una delle cose che più colpì Mirco, di quella ragazza, fu l'inesauribile speranza con cui lei stava ora cercando di caricare gli stadisti: cercava di far sorridere di nuovo Szarzewski, scambiava chiacchiere con tutti gli altri, incoraggiandoli a non smettere di credere nei propri compagni, che avevano ancora un tempo da giocare, nonostante il punteggio, alla fine dei primi 40 minuti di gioco, fosse di 15 a 7 per gli irlandesi. Il ragazzo biondo la guardavascita ora da quello stato di dolce timidezza in cui l'aveva conosciuta e che l'aveva sempre contraddistinta, mentre si aggirava per la sa; le sembrava più bella, più divertente, più cocciuta, e lo sguardo che le rivolse, mentre stava ancora cercando di far ridere persino un omone come Leguizamon (riuscendoci, fra l'altro), fece aumentare i battiti del suo cuore, riscaldandogli le guance con un colorito roseo e vivace.
Quando il secondo tempo iniziò, l'ingegnera tornò a sedersi al suo posto, e il tre quarti ala, sempre dietro di lei, notò che la ragazza stava armeggiando al cellulare, inviando un messaggio.
- I pretendenti che scrivono? - le chiese, con un sorriso, abbassandosi dal suo metro e ottanta, e appoggiandole la testa sulla spalla.
- Non riesco a tenerli a bada, proprio! - scherzò lei, voltandosi e trovandosi (di nuovo...) a tu per tu con il suo viso angelico: tuttavia, per l'imbarazzo, tornò a guardare la partita, finendo di scrivere - ... è la Chris, che mi chiede aggiornamenti sul match, tutto qui...! - concluse, mentre anche Mirco ora si concentrava di nuovo sull'incontro di rugby.
"... Adesso o mai più, Mirco Bergamasco!" fu quello che si disse il ragazzo biondo, tirando un sospiro (proprio come prima dei calci piazzati, solo un po' più silenziosamente!): poi, lentamente, fece scorrere le braccia sulle spalle dell'amica, arrivando ad avvolgere da dietro quelle spalle da uccellino.
- ... Comodo? - gli chiese lei, arrossendo, ma tuttavia senza lamentarsi. A quelle parole, il rugbista iniziò subito a ritirarsi... ma lei, con una mano sulla sua, lo trattenne. - Tranquillo... Non mi dai fastidio...! - aggiunse, guardandolo con così tanta dolcezza, che il ragazzo padovano sentì un'ondata di calore attraversargli tutto il corpo.
- O-ok... Ma se comincio a pesare, dimmelo...! - rispose lui, con un sorriso imbarazzato, tornando ad assumere la posizione che aveva scelto.
Non si era sbagliato: tenerla, così, fra le sue braccia, era una sensazione nuova e meravigliosa. Si sentiva custode di quel piccolo corpo, e allo stesso tempo si sentiva fortunato. Se faceva attenzione, con il palmo della mano appoggiato fra il suo petto e il suo collo, riusciva addirittura a percepire il battito della sua vita.
Ad un certo punto, però (mentre il punteggio continuava a peggiorare), suonò il campanello della Clubhouse, e Francesca, contenta, si girò verso la porta: una ragazza piccolina, con i capelli rossicci e mossi, era lì davanti a Simon Taylor, che le aveva aperto, e gli stava stringendo la mano.
- She's with me, Simon! - gli disse l'ingegnera italiana, facendo cenno al rugbista di lasciarla passare.
Mirco sussultò, e lasciò andare l'amica italiana, sbuffando... quell'arrivo aveva interrotto l'idillio in cui si trovava, e l'aveva, fra l'altro, riportato di fronte alla tristezza della sala sconsolata dall'avanzare della sconfitta in Heineken Cup contro l'Ulster (tuttavia, grazie all'intervento della ragazza, l'atmosfera era un pochino più rilassata). Per cavalleria, il ragazzo biondo lasciò la propria sedia all'amica inglese, e rimase in piedi dietro le due ragazze, che ora chiacchieravano a proposito del match. Mentre Christine era impegnata a tirare accidenti agli irlandesi (da buona inglese che era), Francesca buttò la testa all'indietro, urtando dolcemente contro gli addominali rilassati dell'amico biondo.
- Ehi... Tutto a posto? Dopo tutto è solo una partita...! - lo guardò dal basso in alto, con un'espressione premurosa. Mirco rise, guardando il suo viso capovolto, e le diede uno schiaffetto sulla guancia,
- Ma figurati, tonta di una Francè...! - le fece anche una linguaccia, e lei, ora rassicurata, tornò a chiacchierare con l'amica inglese.
"Fosse il male della partita..." pensò il ragazzo biondo, sospirando di nuovo.
Verso le 17 e 30, il match arrivò alla fine: 23 a 13 per i padroni di casa, con dieci punti di differenza che avevano separato i parigini dalla vittoria, alla quale, però, non erano mai stati vicini, per tutta la durata della partita.
Tuttavia, fu ammirevole la sportività con cui i giocatori rimasti a casa si alzarono in piedi, elevando i loro bicchieri contenenti bevande di vario genere, per brindare alla salute dei propri compagni, che si erano battuti con orgoglio, ma anche per spezzare una lancia in favore dei propri avversari che, quel giorno, erano stati nettamente superiori.
La sala, piano piano, cominciò a svuotarsi: gli amici e i compagni si salutarono e, quelli che rimasero, diedero una rassettata alla stanza, rimettendo a posto le sedie.
Un quarto d'ora dopo la fine del match, a Francesca suonò il cellulare: era un numero sconosciuto, ma la ragazza rispose lo stesso, per curiosità.
- Pronto? -
- ... Va là che partitone, eh? - una voce familiare le risuonò nell'orecchio, così come il suo accento.
- No dai, non sarai mica tu... - continuò lei, incredula: pensava di aver capito chi fosse dall'altra parte, ma non ne era del tutto sicura.
- E chi vuoi che sia, tosatèla? La fatina dei dentini? - non c'erano dubbi: quella risata alla fine della frase rivelò il suo interlocutore, Mauro.
- Non ti ci vedrei mica male col tutù, sai? - gli rispose, ridendo anche lei. La partita era finita da poco, ma il ragazzone padovano aveva trovato il tempo di chiamarla. E il modo, soprattutto!
- Ci stavo pensando per il prossimo Carnevale, effettivamente... Ma se io mi concio in quel modo, tu ballerai il Lago dei Cigni con me! - risero di nuovo, e intanto, Mirco si stava riavvicinando all'amica, incuriosito.
- Ovviamente, ballerino mio! - disse la ragazza, guardando ora il ragazzo biondo - È tuo fratello...!- disse all'amico tre quarti, in labiale: il Cherubino fu sorpreso e, quando Francesca ritornò a parlare con Mauro, lui sbuffò di nuovo, pensando che quel sabato, magari, era la giornata internazionale del "Roviniamo la vita a Mirco", e tornò a rimettere a posto qualche sedia.
- Alur? Hai programmi per la serata o sarai sola come il mio sconsolato fratellino? - le chiese il flanker.
- Sola, probabilmente... la movida parigina dovrà stare senza di me, stasera! - gli rispose - Me ne starò a casa a guardare i film romantici che danno in televisione per le povere zitelle come me... - a quella battuta, il flanker stadista rise di nuovo, ma il ragazzo biondo, che stava parlando con Christine, drizzò le orecchie.
- Se fossi stata capace di teletrasportarti, ti avrei volentieri invitato come mia personale ospite al terzo tempo ma, sai com'è, è una tecnologia che non è stata ancora inventata! - le disse Mauro, facendola arrossire - ... Penso sia ora di togliersi il fango di dosso sai? Mi dispiace lasciarti, mon cherie... - il francese del Bergamaior... Argh.
- Vai pure, vai pure... E grazie di aver chiamato, terza linea! - concluse lei.
- Ma di cosa? Grazie a te...! - rispose il rugbista a telefono, con quella voce profonda e calda che si ritrovava - Un abbraccio, Franceschin...! A domani! - e chiuse la chiamata.
La ragazza rimase a guardare il cellulare per un secondo, e sospirò. Poi, d'istinto, si voltò verso l'amica Christine, che stava ridendo sotto i baffi.
- Tu... Non c'entri niente, giusto? Si sa, i numeri di cellulare si trovano sull'elenco, dopo tutto... - disse Francesca all'amica inglese, con un sorrisetto.
- Sono innocente... Like a lamb! - si difese la ragazza, facendole l'occhiolino. Aveva inconsapevolmente aiutato il flanker padovano nella sua impresa di conquista, dandogli il numero di telefono dell'amica italiana che così poteva corteggiarla anche a distanza.
Mirco, intanto, si era messo il giubbotto, e lo aveva portato anche all'amica.
- Io vado a casa...! Tu vieni...? - le chiese, con un sorriso.
- Avevo intenzione di fare una camminata con la Chris, se non ti dispiace tornare da solo... - il ragazzo biondo si strinse nelle spalle, e la aiutò lo stesso a vestirsi.
- Ci becchiam sul pianerottolo più tardi, allora...! - soffiò un bacio ad entrambe le ragazze, che lo salutarono con la mano.
Prima di separarsi, però, una volta usciti dalla Clubhouse, Francesca lo abbracciò dai fianchi, stringendolo forte.
- Grazie di nuovo, di tutto...! - gli disse sottovoce, mentre lui diventava sempre più rosso. Come risposta, le scompigliò i capelli e ricambiò l'abbraccio, e fu solo dopo quel momento che si lasciarono, diretti rispettivamente alla Smart e verso il grande viale che portava verso Rue de Silly.
Nelle chiacchiere delle due ragazze, un solo nome fu ricorrente: quello di Mirco. La ragazza parlava di lui, diceva all'amica come fosse così... così bello, sotto ogni punto di vista, dolce, generoso e gentile, divertente e fantastico. E quell'abbraccio così timido, quel pomeriggio, mentre guardavano la partita, le aveva sollevato il cuore, facendo impazzire le farfalle nel suo stomaco, e il suo sorriso... quanto le era dispiaciuto vederlo svanire ad ogni punto della squadra avversaria! Con lei era sempre carino, era sempre disponibile a portarla dovunque su quella piccola macchinina, senza farsi troppi problemi, e i loro discorsi erano così vari che si ritrovavano a parlare di argomenti totalmente diversi da quello con cui avevano iniziato, tanto erano lunghe le loro chiacchierate. Averlo accanto le piaceva, perchè lo sentiva come un sostegno, un appiglio in quel mare di sconosciuti parigini, un raggio di sole nel buio, capace di rischiararle anche la più cupa delle giornate. Quando era con lui era diversa: la sua timidezza, messa di fronte a quella del ragazzo biondo, spariva e, con lui al suo fianco, sarebbe stata capace di partire per un placcaggio persino ai danni di Sebastien Chabal. Christine, sentendola parlare così del Cherubino, sorrideva e, ogni tanto veniva fuori con frasi del tipo "Ma allora ti piace? Perchè non ti butti e vedi come va a finire?": a queste frasi, Francesca rispondeva sempre allo stesso modo.
- Purtroppo mi piacciono entrambi... Non riesco a non essere imparziale, e a non voler bene allo stesso modo sia a lui che a Mauro! - era la risposta che dava la ragazza italiana, facendo ridere Christine, di fronte alla sua "indecisione".
Ma, ora, Mauro non c'era e, quindi, quell'assenza sarebbe stata l'occasione perfetta per riuscire a capire qualcosa di più sui suoi sentimenti verso il Bergamasco minore.
Quando le due amiche arrivarono a casa di Francesca, si separarono, dandosi appuntamento a lunedì.
- Vedi di non fare troppo chiasso, tonight - Christine avvisò l'amica italiana - Se devi scassare la porta di casa Bergamotto... Cerca almeno di non farti sentire! - e fece una linguaccia all'ingegnera, che le rispose allo stesso modo.
In ascensore, la ragazza italiana si appoggiò con la testa alla parete, e sospirò. Aveva passato un pomeriggio stupendo, senza pensieri, dedicandosi unicamente al rugby e... Insomma. Al rugby!
Appena uscita dall'ascensore, cercò le chiavi nella borsa quando, come altre volte, sentì la porta di casa Bergamasco aprirsi alle sue spalle: con un tuffo al cuore, fece finta di fare l'indifferente, infilando la chiave di casa sua nella serratura.
- Ti ritiri nei tuoi appartamenti? - le chiese Mirco, sorridendole. Era leggermente rosso in viso, e addosso aveva una maglietta dello Stade, nera con la scritta argentata "Dieux du stade". I capelli spettinati e le guance con l'alone rosa lo rendevano davvero tenero, a vedersi.
- È stata una giornata faticosa, piena di... emozioni...! - gli rispose, voltandosi a guardarlo. Il ragazzo biondo si passò una mano fra i capelli, e fece un paio di passi sul pianerottolo, verso di lei.
- Già... Nonostante la sconfitta...! - il suo sorriso si spense per un attimo, ma subito dopo tornò a splendere. La ragazza lo salutò con la mano, facendo per entrare in casa, ma lui la fermò.
- ... Rimettendo a posto la dispensa ho trovato un articolo molto interessante, sai? - la ragazza italiana si fermò, e lo guardò incuriosita.
- Cioè? - gli chiese, ridendo.
- Una bottiglia di Piave Merlot di... Un po' di tempo fa...! - disse entusiasta: Francesca lo squadrò, divertita dall'amico.
- E... Allora? - gli rispose, sorridendogli. Cosa stava cercando di dirle...?
- Mauro mi ucciderebbe se l'aprissi solo per me, quindi... - la ragazza rise - ... Ti andrebbe di berne un paio di bicchieri? E poi so che non ami il vino... Però... - arrossì di nuovo, guardandola negli occhi - ... Dai, tanto per non farsi fare cazziatoni da mio fratello! - e scoppiarono a ridere, stavolta, entrambi. Francesca diede uno sguardo alla sua porta di casa, e poi guardò di nuovo il ragazzo biondo. Che fare? In fondo si trattava solo di qualche bicchiere di vino rosso (e veneto quanto i fratelli Bergamasco, fra l'altro)... Cosa sarebbe potuto succedere di male?
La ragazza accettò quindi l'invito, ed entrò nell'appartamento di fronte: Mirco si offrì di farle da cicerone, e la guidò dentro la Bergamaison.
Rispetto a quello in cui viveva lei, quello dei Bergabros era molto grande: si accedeva direttamente sulla cucina (un grande locale con i mobili dai colori chiari, e con un piccolo tavolino quadrato al centro), che dava su un grande corridoio (dal quale si poteva accedere a tutte le altre stanze), il quale percorreva tutta la casa terminando in un salotto circolare; quella sul lato interno era la parte di Mirco, mentre Mauro si era accaparrato la parte affacciata su Rue de Silly. Grandi finestre, dalle quali a quell'ora della sera si intravedeva l'illuminata Parigi, si alternavano alle parti di muro bianco lungo il corridoio, sulle pareti del quale erano appesi manifesti incorniciati (Francesca ne notò uno della Coppa del Mondo di rugby del 2007 e uno con un articolo sulla vittoria del Bouclier de Brennus da parte dello Stade Français); passarono anche nelle camere dei fratelli, diverse fra loro: quella del Bergamaior era ordinata, con l'unico elemento di disturbo costituito da qualche vestito appoggiato su una sedia, le coperte del letto (un letto da rugbista, quindi bello grande!) erano nere, e i cuscini erano bianchi e, accanto alla scrivania (sul cui tavolo erano appoggiate riviste e libri di ogni tipo) c'era un grande armadio bianco, sul quale, dall'alto in basso, era stata scritta una poesia in francese, con un pennello nero; la stanza personale del ragazzo biondo, invece, aveva il muro tinteggiato di un azzurrino pastello, allegro e vivace, e il letto a due piazze appoggiato al muro aveva delle coperte gialle, sulle quali erano sparsi un sacco di pelouche (quando vide il pupazzo di Simba del Re Leone, la ragazza italiana lo prese e d'istinto lo abbracciò, dicendogli "Ma ce l'ho anch'io questo pupazzotto qui!", mentre Mirco se la rideva), e su una bacheca sopra la scrivania c'erano un sacco di fotografie, di amici, partite.
Alla fine del giro, arrivarono nel salotto: sull'ultima parete della casa c'era il camino, acceso, a emanare un piacevole calore in tutta la stanza; il televisore, accanto ad esso, era sul canale delle notizie sportive, sul quale stava andando in onda un servizio sul campionato francese di calcio; al centro stava un grande divano bianco, poggiato su un tappeto persiano dai colori scuri, rettangolare, rischiarato a tratti dall'ardere vivace del fuoco.
L'ambiente era accogliente e familiare, e Francesca se ne rese conto ancora di più quando, per qualche minuto, rimase sola a guardarsi intorno, dato che Mirco era tornato in cucina a prendere la bottiglia di vino e i bicchieri. La ragazza guardò le foto di famiglia messe sopra il camino, e un sorriso si dipinse sul suo volto alla vista dei suoi fratelloni, da bambini, vestiti da Zorro (Mauro) e da Pierrot (Mirco), catturati in un attimo di una festa di Carnevale.
- ... Che carini, vero? - il ragazzo biondo apparve alle sue spalle, porgendole un calice di vetro - ... Come al solito, però, uno si rovina nel crescere! - la sua amica rise, e prese il bicchiere dalle sue mani. Avrebbe voluto dirgli che erano così teneri da piccoli... E che da grandi erano... Beh, ci sarebbero state tante cose da dire, ma lei non le disse.
Si misero a sedere sul divano, e il rugbista biondo abbassò il volume del televisore.
- Piuttosto - gli disse la ragazza, mentre lui le versava il liquido color rubino nel bicchiere - Tu e il vino andate d'accordo? - il tre quarti ala ridacchiò, e dopo aver riempito a metà entrambi i calici, appoggiò una gamba sull'altra, e si accomodò meglio.
- Sono un po' avvinazzato, effettivamente... - le sorrise, annusando il vino dal bordo del bicchiere - ... in realtà, il vino mi piace perchè ogni bottiglia è diversa dall'altra... un po' come le persone! - le disse, muovendo armonicamente il bicchiere, facendo areare la sostanza che vi era dentro.
Aveva un'aria professionale, e la ragazza lo guardava ammirata: sapeva il fatto suo, e in quei gesti teatrali assomigliava al fratello maggiore. Tuttavia, era molto affascinante.
- Uhm... - continuò lei, bevendo un piccolissimo sorso di quella bevanda: aveva un gusto molto forte, un po' aspro, ma dopo qualche secondo, il sapore le risultò gradevole e morbido. - E questo vino qui? Chi ti ricorda? - gli chiese, sedendosi leggermente di lato, girata verso di lui.
Mirco bevve dal suo calice, e si "assaggiò" le labbra, come se stesse spargendo sulla sua bocca il gusto di quel Piave Merlot: un gesto davvero sexy agli occhi della ragazza, fra l'altro...
- Così, di primo acchito - iniziò a parlare, e continuando a sentire l'odore del vino - Potrebbe sembrare il Maurone... deciso e un po' acidino! - la ragazza rise, ma lo ascoltò ancora con attenzione - Ma assaporandolo meglio... Sì, è mio papà! Tosto e ruvido al primo impatto, ma dolce e buono, una volta che l'hai conosciuto! - il ragazzo biondo vuotò d'un fiato il quarto di bicchiere rimasto, e il calore avvampò le sue guance.
- ... E io...? - gli disse l'ingegnera, bevendo piano il vino - Che vino sarei? - il tre quarti rise, e riempì nuovamente il suo bicchiere, aspettando che la ragazza finisse il suo per versare dell'altro Merlot anche a lei.
- Difficile da dirsi, così su due piedi...! - Mirco le sorrise, e poi la squadrò con gli occhi verdi - Prima di tutto, un bianco... Un bianco... Frizzante, fra l'altro! - bevve ancora del Merlot Piave, e continuò a parlare - Ma non troppo... Al punto giusto, insomma... Di quei vinelli che piacciono alle donne! - Francesca lo ascoltava, bevendo anche lei - ... Beh, bianco e frizzante, è comunque il mio preferito, sai...? - arrossì, ma anche grazie al vino, non si notò molto: l'amica guardò in basso, giocherellando con il bicchiere, e sorrise.
- Se mai dovrò bere di nuovo, caro mio - gli rispose la ragazza, osservando nuovamente le sue mosse - Voglio che ci sia tu accanto a dirmi cosa devo bere! - il rugbista biondo annuì, ridendo, e bevve di nuovo.
Stettero un attimo in silenzio, a guardare la televisione. Poi, fu Mirco a riprendere la parola.
- E insomma? Che voto dai a questo bel rosso veneto? - le chiese, riferendosi al Piave Merlot.
Francesca si bagnò le labbra con un altro sorso di vino, e facendo dei versi simili a quelli di un gran degustatore, espresse il suo responso.
- Un bel 10 pieno, non glielo toglie nessuno...! - gli disse, e poi, fra sé e sé - ... I veneti li preferirei biondi, o almeno bruni, però... - il ragazzo biondo la guardò con aria interrogativa, mentre continuava a bere.
- Hmm...? Hai detto qualcosa? - la ragazza arrossì, e fece cenno di no con la testa - Parlando di voti... Ti fa di fare un giochino? Tanto per passare il tempo! - la ragazza si mise a gambe incrociate sul divano bianco, e lo guardò incuriosita - 10 più! Un gioco stupido e divertente che si fa con gli amici quando uno è un po' più alticcio... - Francesca ridacchiò, e annuì.
- Regole? - gli chiese, bevendo ancora un po'.
- A turno, si racconta il bacio più bello che ti sembra di aver dato o ricevuto... - la ragazza lo ascoltava attentamente - ... E l'altro deve dargli un voto! Ti va? A volte i risultati sono esilaranti! - cercò di incoraggiarla e, lei, poggiando il bicchiere su un tavolino lì vicino, si mise più comoda.
- ... Per prendere un voto più alto, valgono le dimostrazioni pratiche? - ma cosa stava dicendo? Sarà stato il vino, probabilmente, a farla parlare così: fatto sta che Mirco fu d'accordo, ma decisero di assegnarsi una sola dimostrazione a testa. Era una partita da giocare bene, quindi.
Cominciò il rugbista biondo, raccontandole del suo primo bacio.
- ... Ero agitatissimo, quasi tremavo! E fra l'altro, c'era Mauro in macchina, la macchina nuova appena presa subito dopo la patente, che scalpitava per andarsene e andare a fare colpo sugli amici al campo... - la ragazza lo ascoltava, ridendo - ... Così, visto che io non mi decidevo, fu lei ad avvicinarsi piano piano a me, e a darmi un bacetto velocissimo sulla bocca! - lo stadista biondo, mentre l'amica ancora rideva, si avvicinò al suo viso, e le stampò un bacio sulle labbra, che durò una frazione di secondo. Probabilmente, non se ne accorse nemmeno: se fosse stata nelle sue piene facoltà di intendere e di volere l'avrebbe trattenuto per la maglietta, e avrebbe continuato a baciarlo, come lui aveva fatto quella domenica mattina al Bois de Boulogne.
- Un 8 se lo merita tutto, per l'originalità e la velocità...! - il biondino fece il segno della vittoria con la mano destra, e sorrise, esultando.
- Battimi, se ci riesci! - Mirco bevve un altro po' di vino, e attese il turno della ragazza.
- Allora, vediamo... - con l'indice sul mento, Francesca pensò a come controbattere - ... Avevo 16 anni, e quel ragazzo era il mio migliore amico... - iniziò a parlare: il tre quarti azzurro, voltato verso di lei, aveva il viso poggiato sul palmo della mano - ... Ma lui a me piaceva, così decisi di tentare il tutto per tutto! - il Bergaminor annuì, perchè sapeva quanto fosse importante non lasciarsi scappare ogni occasione d'oro.
- E che hai fatto? Gli sei saltata addosso? - l'amica rise alla battuta del rugbista, e scosse il capo.
- Non esattamente...! - gli rispose, muovendosi un po' verso di lui - L'ho coccolato con qualche bacio in giro per tutto il viso... - quando fu accanto al suo tre quarti ala preferito, senza pensare a quello che sarebbe potuto succedere, lo baciò sulla fronte, scostandogli dolcemente i capelli biondi che cadevano su di essa - ... poi, qui... - gli diede un bacio sulla guancia, e poi uno all'angolo della sua bocca - ... e infine, qui - spinta da una forza misteriosa, che lo portava verso di lui, lo baciò sulle labbra.
Non fu un semplice bacio: fu una presa di possesso delle labbra di Mirco Bergamasco che, senza muovere un muscolo, rispose al bacio, reagendo quasi mangiandole la bocca, vittima e assassino di un gioco che lui stesso aveva cominciato. Complice l'assenza di giudizio dettata dal vino, si ritrovarono coinvolti in un qualcosa di intenso e avvolgente, allungato dal sentore di alcool al quale, però, nessun dei due sembrò fare molto caso.
L'unica cosa di cui si resero conto, fu di nuovo l'insieme di passione e di palpitazioni che entrambi sentirono nel proprio animo, sia durante che dopo quell'improvvisa effusione.
Stavolta, a causa del Piave Merlot, i sensi di Francesca erano annebbiati, così come le sue emozioni. Fu travolta da un'unica ondata di ebbra felicità, che le invase il petto e la testa, facendola di nuovo fluttuare a qualche metro dal divano su cui erano seduti.
Ad accusare più il colpo, quella volta, fu il rugbista.
Quando l'amica si staccò da lui, rimase a guardarla, mentre un sorrisetto si faceva strada sul suo volto.
- Facciamo... Facciamo che hai vinto tu, stavolta? - le disse, con le guance in fiamme. Lei, sorridendogli a sua volta (e probabilmente non del tutto conscia di quel che aveva appena fatto), alzò le braccia al cielo in segno di trionfo, e tornò a sedersi a un po' di distanza da lui.
Il ragazzo biondo prese il telecomando, e cercò un canale un po' meno noioso di quello delle notizie alla televisione, arrivando a sintonizzarsi su uno su cui stavano stavano dando un film: neanche a farlo apposta, trovò Il Favoloso Mondo di Amelie, un film sognante, pieno d'amore e sorprese.
Mentre guardavano il televisore, la ragazza italiana sospirò.
- C'è qualcosa che non va...? - le chiese il rugbista biondo, continuando a guardare la tv.
- No, anzi... - mormorò lei, guardandolo - ... è solo che tutto questo mi sembra strano... - continuò a parlare, mentre Mirco, ora, si era voltato verso di lei.
- Che c'è di strano? - le disse, intenerito dalla sua aria così indifesa e stanca, un po' sbracata sul divano e con gli occhioni castani socchiusi.
- Ho sempre sognato di avere una vita così, in una città straniera e bellissima, a fare un lavoro che mi piace, circondata da persone stupende... - dicendo così, si avvicinò a lui, e arrivò a poggiargli la testa fra il collo e la spalla, facendo sorprendere piacevolmente l'amico, che alzò il braccio, dolcemente per non farla spostare da lì, mettendolo sullo schienale del divano - ... E adesso che ci sono in mezzo... Non mi sembra neanche vero...! - aggiunse Francesca, chiudendo gli occhi e portando la mano destra sull'altra, lontanissima, spalla del tre quarti.
Lo stadista sorrise, e la guardò, ferma sul suo petto.
Sentiva qualcosa dentro, qualcosa che doveva assolutamente uscire fuori. Ma non doveva scordarsi di come era partita tutta quella storia... con una scommessa. Non avrebbe dovuto farsi coinvolgere, non avrebbe dovuto fare niente, perchè sarebbe stato il primo a soffrire se avesse dovuto ingannarla con la storia della sfida fra lui e suo fratello.
Così, si fece coraggio, e tentò di far andare quella situazione nella direzione in cui lui voleva: decise di parlarle, una volta per tutte. Chi se ne fregava della scommessa, chi se ne importava di una stupida lotta con Mauro! Non poteva perdere la possibilità di dirle tutto quello che aveva nel cuore.
- Franceschin...? - iniziò timidamente a parlare, facendo lentamente calare il braccio, per cingerla vicino a sé.
- Hm...? - rispose lei, come dall'oltretomba, in uno stato di sonno praticamente già avviato.
- Senti... Ma se tu mi piacessi... Se tu mi piacessi, veramente, dico... - la strinse, facendole sentire la sua presenza - ... pensi che le cose potrebbero funzionare, fra noi? Certo, è poco che ci conosciamo, ma da parte mia... Sappi che ogni giorno io tengo sempre di più a te, e... - si fermò, interrotto da un rumore... No, non era un rumore: era un suono, il suono del suo respiro, lento e tranquillo.
Si era appena addormentata su di lui, e ora non sapeva davvero cosa fare. Riportarla a casa sua? No, l'avrebbe svegliata, ed era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare. Così, spense il televisore, e non si preoccupò nemmeno del camino acceso: anche lì, gli ultimi tizzoni ardenti si stavano spegnendo.
Abbracciandola, contento di stringere a sé quell'essere umano così particolare, le accarezzò i capelli, e piegò la testa, anche lui, su un lato.
- Buonanotte, piccoletta. - sospirò, felice, e chiuse gli occhi verdi.
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