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Un Viaggio Senza Ritorno

(Trad. Eliude Santana)
Calda prigione. Misterioso carcere. Tenebre, isolamento, oppressione. Lo spazio che occupo è esiguo e limita i movimenti. Avevo tutto per essere disperato. Indubbiamente, sono un carcerato anche se qualcosa fuori i miei sensi mi dice di no. Nessuno sconforto, quindi, non ho paura. Non ho la consapevolezza di quasi niente, a parte quella di sapere di trovarmi tra le quattro mura che sembrano volermi schiacciare. Eppure, sono elastiche.
Non so chi sono, né come sono finito qui. E non ho la più pallida idea di come ne uscirò, neppure se ci riuscirò, poiché non vedo un'uscita.
Un'altra sensazione molto strana: nonostante il fatto di narrare questa storia, è la prima volta che provo un qualche tipo di percezione. Mi sento comodo, eppure, una premonizione mi avverte: qui non ci rimarrò per sempre.
Avverto la sensazione di vicinanza del tempo in cui ci sono. Se dipendesse da me, resterei. Il mio futuro è ora.
Curiosamente, anche se non ci vedo riesco a sentire. Dormo bene e ho persino dei sogni. Sono capace di inghiottire i cibi anche se non ho fame, posso pure respirare nonostante l'aria sia pressoché nulla. E infatti, l'aria non mi manca.
Non mi preoccupa per niente il fatto di essere da solo. Trovarsi con un'altra persona, qui, porterebbe sconforto. È pericoloso. La solitudine non mi da tristezza, anzi, è la mia compagna e alleata.
Si avvicina il mio giorno. Cos'è il mio giorno? Sarà quello in cui tutto cambierà. Quando perderò quest'identità e ne guadagnerò un'altra: strana, confusa, imprevedibile. Il giorno in cui ci sarò anziché ci starò. Amo questo posto, dove nulla mi disturba, e siccome non ne conosco un altro mi ci attacco avidamente. Invano.
Sento le pareti che mi schiacciano sempre di più. Mi meraviglio nel constatare che loro sono più elastiche di quanto non potessi immaginare. Nonostante la pressione che percepisco ho la certezza che non sarò schiacciato. Anche se non avessi la certezza non potrei fare niente, non posso chiedere aiuto. Non riuscirei a emettere nessun suono. Sono preoccupato, non spaventato.
Ho appena percepito un passaggio, proprio sotto di me. Vedo che il pavimento della cella comincia a spaccarsi, formando una specie d'imbuto. La pressione sul mio corpo è sempre più forte. Ho più paura di prima, non perché mi fa male: ho paura di soffrire. I battiti del cuore accelerano e rallentano a prescindere dell'intensità della compressione.
Comincio ad entrare nell'imbuto. Esattamente così. La bocca è larga ma il passaggio è troppo stretto. Inoltre, le mura della cella non sono flessibili come prima. Ho la sensazione di dover attraversare un tunnel che sembra non sopportare il mio corpo. Sono spaventato. L'imbuto si stringe sempre di più e mi ci tuffo dentro.
Provo angustia nei due sensi della parola: dalla riduzione di spazio fisico e dal tormento emozionale. Scendo lentamente, spinto dalle forze delle parti molli contro la resistenza delle parti dure. Ci sto appena appena dentro in quel tunnel.
Tra il mio corpo e le pareti non esiste spazio libero. È come se un treno attraversasse una via sotterranea che appena lo contenesse, a bassissima velocità, come se i convogli scivolassero per le pareti.
Sento il gocciolare del passaggio del tempo, e le gocce sono grosse, appiccicose e lente come quelle del sangue.
Anche così, riesco a passare. Se mi fermassi in mezzo al percorso e nessuno mi aiutasse sarebbe la fine, perché questo viaggio, l'ho sempre saputo, non avrebbe mai avuto un ritorno.
Infine, una luce al termine del tunnel. Però l'uscita non è ancora così vicina come sembra. Scendo sempre di più, spinto dalle mura dell'antico rifugio che adesso funziona come un motore.
Ed è l'uscita. Metto la testa fuori.
Che ambiente strano! Quanta luminosità! Che freddo! Non mi piace per niente e piango tantissimo.
Adesso è tardi: sono nato.

 

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4 commenti:

  • oissela il 30/01/2014 05:02
    Ben scritto e ben strutturato. Solo a metà lettura ho capito.
    Lavoro delizioso.
    Complimenti.
    Oissela
  • Astrid Basso il 06/06/2010 15:36
    Oddio! Non capivo che diavolo era... pensavo un carcerato condannato a morte che viveva la sua condizione in modo strano, anche se non ero sicura... ma mi hai fregato perché fino all'ultimo non ho capito di certo che diavolo fosse... Forte, però! Scrivi molto bene e penso che confondere il lettore fosse il tuo obiettivo, quindi ti è riuscito. Quei racconti-sorpresa che ti lasciano senza parole, sono sempre i migliori. Complimenti!
  • Anonimo il 31/07/2009 10:19
    Profunda visao da realiodade, um abraço, Miriam.
  • Franca Maria Bagnoli il 15/03/2006 16:59
    Che bel racconto! Un viaggio meraviglioso verso la vita. Complimenti, davvero. Ciao. Franca.

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