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Malinconia di un padre di famiglia

Era successo di nuovo. Si era svegliato nel bel mezzo della notte, quando un flebile raggio di luna penetrava al di sopra dell'anta della finestra, e andava a posarsi sul viso di sua moglie, che ignara del suo sguardo stava sdraiata a qualche centimetro da lui. Ancora una volta, come uno scienziato al microscopio osserva il brulicare di essere infinitamente piccoli, cosi' lui si soffermava sui particolari, infinitamente piccoli, del viso di lei. La vita per lei era stato un peso insostenibile, gli occhi, gravati appunto da questa fatica, si erano piegati all'ingiù, cosiccome la bocca, che ormai sollevava a fatica quei pesanti macigni chiamati guance, per formare il sorriso, la tipica espressione della felicità. Da tempo lei aveva perso la felicità, e con lei la forza di sorridere. L'aveva persa quando era stata imprigionata in una vita di routine, sempre uguale, grigia e muta come una proiezione dei fratelli Lumiere. L'aveva cercata, questa gabbia, ma quando l'aveva trovata ci era morta dentro. Cercava nonostante tutto di coprire il tutto, con maschere fatte di mezzi sorrisi forzati, di capelli tinti ma con evidenti segni di una tipica ricrescita senile, di creme per la pelle gettate lungo i grandi solchi lasciati sul viso dalle rughe, di reggiseni fatti a posta per rendere meno calanti i propri di seni... Poi succedeva ancora ogni notte che spostasse lo sguardo sullo specchio, dove riflesso vi era lui e nient'altro che lui. Guardava i suoi occhi vispi e attenti, guardava i suoi capelli ancora tutti biondi, le sue labbra carnose che chiedevano vita, la sua barba ancora rara come quella di un giovine. Poi, in una sorta di estasi trasformava la figura della moglie in quella dell'amante, con cui solamente il giorno prima era stato a letto, la malinconia se ne andava e cominciava piacevolmente a ricordare quel viso ancora vivo, nonostante l'età, quell'espressione di pieno appagamento, quelle rare rughe tipiche di chi nella vita aveva sorriso, ma non ancora abbastanza da arrendersi. Da lei si aspettava qualsiasi cosa, anche che si svegliasse all'improvviso per obbligarlo a guardare la luna dietro l'anta, che era molto pi? bella di lei, e non andava certo persa. Tornato alla realtà, ma ancora con quel senso di felicità nelle membra si alzava, accendeva la luce del corridoio di modo tale che potesse riuscire a guardare i visi dei suoi due ragazzi. Ogni volta però gli crollava il mondo addosso. Mentre dopo essere uscito dalla stanza della moglie, la decisione di voler divorziare era ormai presa, guardando le espressioni dei figli, gli veniva una forte fitta al cuore. Si diceva che se quelle facce, colpite quando pi? erano innocenti, riuscivano a non smuovere la sua decisione, avrebbe svegliato sua moglie, preso le sue cose e le avrebbe detto "Voglio il divorzio, addio" e sarebbe andato via per sempre da lei... ma non sarebbe mai riuscito ad andare via da loro, i suoi figli. Li immaginava in un tribunale, stretti stretti alla loro mamma mentre lo guardavano con occhi stracolmi di odio, per poi sfociare nella disperazione di calde lacrime. Immaginava un giudice che sentenziava che lui avrebbe potuto vedere i suoi figli una volta alla settimana, anche se il merito della vita agiata, dei valori che avevano, persino della loro personalità, erano solo suoi. A questi pensieri scendeva una lacrima sul suo viso, la malinconia tornava prepotentemente, una malinconia che lo trascinava a letto ancora affianco alla moglie dormiente, consapevole che ciò che era successo quella notte, si sarebbe ripetuto ancora, ancora ed ancora...

 

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2 commenti:

  • Anonimo il 11/02/2011 10:35
    Che tristezza.
    Bello, complimenti.

    Suz
  • Anonimo il 20/04/2010 13:24
    In questo racconto si sente il peso della libertà negata da se stessi...
    I tuoi racconti mi piacciono e non