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Lenìn (1929-1943) Breve storia di un ragazzo con un nome sbagliato, con l'accento sbagliato, in un periodo sbagliato

Una folla immensa, come più non ne poteva contenere il vialone centrale del paese, procede muta, a passi cadenzati.
Il corteo, facce indurite dalla fatica, occhi smarriti, rabbia e dolore nel sangue, segue una bara di legno d'acero chiaro portata a spalla da sei ragazzotti. Nessuno, nella moltitudine, si muove.
Nessuno sembra riuscire a pensare.
Antonio, il padre dell'adolescente morto, cammina come un automa, lo sguardo fisso. Assurde immagini gli sfilano davanti e lui le coglie con la lucidità momentanea dei disperati.
Torna con la mente a quella giornata dura di lavoro, di un luglio secco per le mancate piogge.

Il raccolto si prospettava magro. La famiglia, cinque figli, quattro femmine e un maschio, arrivato con un po' di stacco dall'ultima femmina, quando lui e sua moglie Maria non ci pensavano più, tirava avanti a stento. Al mattino ai campi, a piedi. Le ragazze qualche volta brontolavano, qualche altra cantavano, qualche altra ancora si raccontavano fatterelli semplici che avevano per protagonisti garzoni e braccianti giovani e forti e per scenari l'aia il fiume la fontana.
Antonio e Maria dietro, con gli attrezzi dei campi. In casa rimaneva solo Lenìn, l'ultimogenito, nato con la vocazione per gli studi, con i suoi libri, con la sua volontà di diventare dottore.
"È intelligente il ragazzo, diceva la gente, e fa bene Antonio a sacrificarsi per farlo studiare".
Maria, occhi spenti e asciutti persi nel vuoto, rigida nel trascinare passi pesanti e priva di qualunque forma di coscienza.
Lei è stata la madre che per farsi perdonare l'ardire che loro, gente umile e contadina, avevano avuto per via di questo figlio bravo e capace che era agli studi, ripeteva sempre che "il suo Lenìn era piuttosto gracile e che non avrebbe potuto sostenere gli sforzi della zappa e della vanga".
Per lui avevano comprato una bicicletta e con quella, ogni mattina alle sette, si recava al Ginnasio della città vicina. Con il caldo e con il freddo, col sole e con la pioggia, spesso anche con la neve.
La corriera c'era, ma era troppo cara e Antonio non poteva aggravarsi anche delle spese per l'abbonamento. I compagni, figli di impiegati e di professionisti, volevano bene a Lenìn e all'occorrenza gli prestavano libri e vocabolari.
Qualche volta scherzavano sul suo nome, ma lui non se la prendeva.
Anche quando la professoressa di greco, chiamandolo all'appello per la prima volta, si fermò un po' a guardarlo, quasi a chiedere spiegazioni su quel suo nome che sembrava, che era un cognome con l'accento spostato, il ragazzo disse che suo padre lo aveva chiamato così per devozione al famoso statista. E quando la professoressa ribatté arcigna che "le devozioni sono per i santi e non per i rivoluzionari", Lenìn cercò di non prendersela e restò zitto.
Poi quando raccontò la cosa al padre, questi gli disse che si era comportato bene.
Quanto al nome, lo avrebbe dovuto sempre amare e rispettare, qualunque fossero state in seguito le scelte della sua vita. Glielo aveva voluto mettere anche quando il vecchio maestro, che girava per il Fucino a istruire su lettere e numeri per un pugno di farina, glielo aveva sconsigliato.

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0 recensioni:

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10 commenti:

  • Donato Delfin8 il 28/08/2010 16:58
    Ottimo.
  • Ivan il 07/07/2010 20:19
    Una vera "CHICCA", scritto con grande sapienza narrativa, ti incolla al foglio e non ti molla più. Tornerò a rileggerlo perché merita.
    Sei davvero brava.
  • carlo degli andreasi il 27/05/2010 09:27
    un tessuto di gran pregio... con il merito di rapire immediatamente dopo due parole... questo "sguardo del gatto" letterario dove il racconto sembra provenire da una panca di un caminetto in una sera d'inverno...
  • Cesira Sinibaldi il 31/03/2010 20:47
    Fabrizio! Che bella cosa mi hai detto. In bocca al lupo per quello che sai! E serena Pasqua!
  • Anonimo il 31/03/2010 20:01
    Ciao. non so scrivere critiche, son solo capace di trasmettere emozioni (a volte);
    Il fatto è che questa tua opera mi ha ammutolito, tanto è accuratamente composta e toccante.
    Ti prego di accettare il mio silenzio come il maggior elogio che possa farti.
  • maria grandinetti il 29/03/2010 10:37
    Dammi tempo e ti porgerò una critica accurata e affilata.
  • maria grandinetti il 29/03/2010 10:36
    Ho letto con attenzione. Mi piace, ma voglio rileggerlo ancora... in ogni caso la pole spetta a llilly b!
  • Cesira Sinibaldi il 22/03/2010 14:58
    Finalmente la correzione è andata a buon fine. Grazie!
  • Cesira Sinibaldi il 22/03/2010 14:58
    Bene, corretto. Grazie!
  • Cesira Sinibaldi il 22/03/2010 14:50
    "Un automa" è l'originale... perché lo staff o chi corregge???

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