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L'ultimo discorso
Un piede dopo l'altro, Eritros salì in cima alla torre bianca, la più alta tra quelle della fortezza di Kelemos.
Lì sopra, dove neanche le aquile osavano arrivare, chiunque poteva osservare per miglia e miglia fino all'orizzonte.
A sud si stendevano le vaste pianure di Fost, ricoperte dai candidi fiori azzurri, e dal biondo grano d'estate. A nord, le alte montagne di Visuria, con la sommità che sembrava toccare il cielo. I grandi Laghi a ovest. Le verdi foreste di Loom a est.
I più grandi poeti e filosofi avevano implorato gli antichi re del passato per poter osservare, anche solo per un attimo, il mondo da quel punto.
Eritros saliva sulla torre fin da bambino, sotto gli occhi attenti di suo padre il re, per poi perdersi nel paesaggio. Ogni volta, lassù, gli era sempre sembrato di essere parte del tutto, di essere in ogni cosa. In ogni fiore, in ogni animale. In ognuna delle migliaia di spighe di grano. In ognuna delle piccole pietre delle montagne. In ogni singola goccia dei laghi e in ogni foglia delle foreste. Si sentiva completo.
Ma ora, ora non era più così. Il suo sguardo era puntato in un'unica direzione, in unico punto, a nord!
Laddove le montagne si aprivano, come per concedere l'onore di passare, il più grande esercito che mai aveva messo piede nel mondo stava avanzando verso Kelemos.
Eritros si era già scontrato con le grandi orde del Signore Dimenticato, su, nei freddi forti del Nord. Ma in confronto a questo esercito, sembrava di aver combattuto con piccole bande disorganizzate.
All'inizio, quando erano ancora tanti, i Difensori avevano resistito per lunghi mesi nel tentativo di impedire al grande esercito di sfociare verso il sud, di aprirsi un varco.
Eppure, più nemici uccidevano, più ne comparivano. Tutti e sette i forti del nord caddero in rovina, infine stremati dalle gelide giornate dell'inverno, non restò altro da fare che ritirarsi, di fuggire, di scappare. Verso Kelomos! Verso l'ultima resistenza!
E ora, migliaia e migliaia di Orchi delle caverne, coperti dalle più nere armature, si ponevano di fronte al forte.
Poco a poco l'esercitò divenne più grande, sempre più grande, una enorme macchia nera che riempiva tutto.
Dopo gli Orchi arrivarono le macchine di assedio, fatte di legno e acciaio. A centinaia si posizionarono tra le prime file, spinte dai buoi dalle lunghe corna. Ognuna di esse sembrava osservare la fortezza, ognuna di esse non aspettava che sgretolare le bianche mura di Kelemos.
Dietro le file c'erano gli stregoni al servizio del Signore Dimenticato. Con le loro lunghe tuniche nere e la pelle raggrinzita, cantavano una lunga cantilena che manteneva aperti portali magici, da cui usciva ogni sorta di demone.
Eritros aveva visto abbastanza. Il Signore dei Difensori volse lo sguardo all'interno della fortezza.
Trentatrèmila uomini delle tre razze libere: Elfi, Nani e Uomini, stavano aspettando. Gli uomini e i nani a stento riuscivano a non far tremare le loro armi, soltanto gli elfi sembravano mantenere un certo contegno.
Trentatrèmila vite che si sarebbero spente, trafitte dal metallo.
Il silenzio prima della tempesta!
Il vento, fino ad allora fermo, cominciò a soffiare da est, investì Eritros, alzandogli il mantello e scompigliandogli i lunghi capelli. I freddi occhi azzurri del cavaliere si volsero verso l'alto, verso il cielo coperto dal mare di nubi.
Tutto accade all'improvviso. Il vento si tramutò in musica e il cielo diventò il suo spartito. Una voce antica come il mondo gli sussurrò all'orecchio, una voce forte e carica:
... continua a sperare...
... continua a combattere...
... finchè avrai forza, alza la tua spada...
... finchè avrai fiato, grida contro i tuoi nemici...
... finchè avrai sangue, resta in piedi...
... e infine muori da eroe...
A Eritros sembrò perdere i sensi, gli sembrò di navigare nel vuoto. Una fiamma si accese dentro di lui, un fuoco che lo ardeva, che gli dava forza, coraggio, volontà. I suoi occhi si tramutarono in globi infuocati, le sue mani divennero morse di acciaio. Prese il suo scudo, con impressa l'aquila blu, simbolo della sua casata, e indossò l'elmo bianco, con le striature verdi. Infine si volse verso i suoi uomini.
Senza volerlo, incominciò a paralare. La sua voce, piena di coraggio e determinazione, fece tremare le montagne e dall'alto del bastione giunse a ogni soldato.
<<Difensori! Uomini! Padri! Mi riferisco a tutti voi, mi riferisco a ognuno di voi. Oggi noi moriremo. Oggi noi cadremo.>>
Le anime di ognuno degli uomini presenti fu scossa da un brivido di consapevolezza.
<<Noi non siamo destinati a sconfiggere costoro, noi non siamo abbastanza forti. Ma verrà il giorno in cui l'esercito che avete di fronte sarà rivolto in fuga, porgendo le schiene a coloro che alzeranno le spade a difendere la libertà.
Verrà il giorno in cui questo nero esercito sarà decimato e verrà distrutto. Ma quel giorno non è oggi!>>
Eritros osservava dall'alto della torre tutti i soldati, ne poteva sentire la paura, il timore.
<<Eppure è così che volete morire? Porgendo al vostro nemico una spada tremante e uno scudo poco saldo? Con animo flebile e paura negli occhi volete affrontare la vostra ultima battaglia? Così da cadere dimenticati, o peggio! Essere ricordati come vigliacchi?>>
L'attenzione di tutti era oramai rivolta verso Eritros, verso il Comandante.
<< Oppure potremmo morire circondati da montagne di cadaveri. Potremmo morire con la spada insanguinata ancora stretta nel nostro palmo, potremmo morire guardando il nemico in faccia, mostrandogli come sanno sacrificarsi uomini liberi.>>
L'atmosfera stava cambiando nel forte, brusii, voci, soldati che guardavano le loro armi con nuovi occhi, altri che prendevano una posizione più eretta.
<<Allora ditemi, cosa avete deciso? QUAL È PER VOI IL MIGLIOR MODO DI MORIRE OGGI?>>
Un coro di urla si levò in risposta, armi levate al cielo, a Eritros, al loro Comandante.
L'uomo dagli occhi di ghiaccio sorrise e si voltò con aria di sfida all'esercito invasore.
<<E così sia! Forza amici miei, forza miei soldati, stringete la lancia, impugnate la spada, posizionate il vostro arco. Che costoro pentano amaramente il giorno in cui decisero di invaderci. Che il Signore Dimenticato frema per il numero di perdite che gli infliggeremo oggi. Fate sì che il nostro sacrificio non sia dimenticato in futuro, fate si che i menestrelli e i cantastorie si contendano i nostri nomi e le nostre gesta con le canzoni più belle, che le dame di corte abbelliscano i loro appartamenti con gli affreschi più decorati. Fate in modo che i vostri cari non rimpiangano la vostra dipartita e che il tempo porti con se noi stessi.>>
Tutti si preparano, indossando gli elmi, impugnando le armi, alzando gli scudi. Tutti con lo sguardo rivolto verso nord, verso l'invasore e non c'era più paura nei loro occhi, ma solo una fredda determinazione.
<<Perché io vi dico che oggi non moriamo per noi stessi, non cadiamo per le nostre vite o per la nostra sopravvivenza. Moriamo per la libertà, per l'onore e la gloria e l'eternità sarà la nostra ricompensa>>
Eritros alzò la sua lunga spada al cielo, e come per risposta, un raggio di sole squarciò la barriera di nuvole illuminandolo, e la sua spada brillò intensamente. Tanto che tutti la videro, amici e nemici.
<<PER KELEMOS, PER TUTTI I POPOLI LIBERI!>>
L'urlo dei soldati si alzò al cielo, e mentre le truppe nemiche si avvicinavano nell'imminente attacco, quell'urlo vagò per tutte le terre del mondo, portato dal vento. E lo stesso Signore Dimenticato lo sentì, e un brivido di paura e vergogna gli scese lungo il corpo.
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