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Il destino

Giovanni salì a casa. affranto. Nella buca della posta aveva trovato la lettera di licenziamento. Era stato assunto da un'agenzia di lavoro interinale ma gli avevano assicurato che c'erano buone prospettive per un lavoro a tempo indeterminato. "Che è successo?" - gli chiese la moglie, nel vederlo tanto stravolto. Giovanni le porse la lettera e, a capo
chino, sussurrò: " Era destino! Me lo sentivo" "Ma che c'entra il destino, Giovanni? - disse la moglie - Le buone prospettive di un lavoro stabile erano false prospettive e bugie. Lo sai che oggi buona parte del lavoro è precario. Perché l'economia tiri ci deve essere la flessibilità, dicono.
E la flessibilità vuol dire che ti piegano come vogliono. Ti prendono e ti lasciano. Ti mandano dove servi e quando non servi più ti mandano a casa. Se tiri in ballo il destino, ti passerà la voglia di lottare perché le cose cambino" Giovanni tacque. Sua moglie aveva ragione; si sarebbe messo subito alla ricerca di un altro lavoro. Qualche mese dopo, Lisa, la moglie di Giovanni, che lavorava in un'industria tessile, fu messa in cassa integrazione. In casa piombò la disperazione. Con lo stipendio ridotto d Lisa e con la pensione di 700 euro mensili della mamma di Lisa che viveva con loro, ce l'avrebbero fatta a tirare avanti un mese, a pagare le bollette della luce, del gas, del telefono e a mantenere agli studi due figli, Laura che faceva la terza media e Roberto che era già al primo anno del triennio dello Scientifico? Giovanni si chiuse in se stesso. Non usciva più di casa. Non cercava più il lavoro.
"Dai, Giovanni! - diceva Lisa - cerchiamo di non farci travolgere dallo sconforto. A costo di andare a lavorare come domestica, voglio sfidare quello che tu chiami destino. Non è lui che ci costringe a camminare dove vuole. Giovanni ormai era in uno stato di depressione profonda.
Era convinto che non ci si potesse opporre alla mala sorte e, con puntiglioso masochismo, cercava tutto quanto potesse confermare la sua tesi. "La sai, Lisa, quella storia di Puskin?". - le chiese un giorno a bruciapelo, uscendo dal suo mutismo. "Quale storia?" - domandò Lisa.
"La storia del cavallo. Ad un uomo era stato detto che il suo cavallo l'avrebbe ucciso. L'uomo abbatté il cavallo e si sentì al sicuro. Passò tanto tempo e un giorno l'uomo capitò in una radura. Fra l'erba di un verde giovane spiccava il teschio bianco di un cavallo. L'uomo si avvicinò e, come una molla, dal teschio scattò un serpente velenoso che morse l'uomo facendolo morire in pochi istanti. Il teschio era del cavallo che aveva ucciso. "Giovanni, ma questa è una storia inventata! Bella ma un'invenzione artistica, non un fatto - disse Lisa. Se io ti uccidessi o tu uccidessi me, in tribunale che diremmo? Che era scritto nel libro del destino? Ci riderebbero in faccia e un bell'ergastolo, a me o a te, lo darebbero di sicuro", "Anche questo sarebbe stato scritto nel fato e niente potrebbe cambiarlo". Giovanni si impuntava, più per spirito polemico che per convinzione. "E i nostri figli? - incalzò Lisa - Li ha partoriti il destino? Le doglie le ho sofferte io e i figli li ha voluti il nostro amore, non il destino". Giovanni tacque. Capì che non poteva offendere sua moglie negando il loro amore e facendo dei loro figli i figli del destino. " E dì un po'? - riprese Lisa - se io ti tradissi, diresti che era destinato così?" Giovanni scoppiò a ridere. "Ti darei un sacco di botte".
Come farei a caricare di botte il destino?" Rise anche Lisa ed entrambi conclusero che il destino, se c'è, è un mistero.

 

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