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L'ultima esistenza rimasta [Parte 1]
[Parte 1]
C'è troppa luce.
I raggi fendenti del sole percuotono la sua povera pelle come fossero ferri roventi lasciandogli orribili chiazze rossastre sul volto e sulle braccia. Non osa guardare in alto e tiene la testa bassa, molto bassa per non guardare il sole; se lo facesse rimarrebbe sicuramente cieco anche se si rende conto che presto non avrà più bisogno di preoccuparsi di ciò.
C'è troppo dolore.
La muta protettiva non serve più a niente, sono ormai giorni che non funziona più, forse anni, ma che importa.
Sono partiti, gli ALTRI, e parecchio tempo fa, sono andati via senza voltarsi indietro per un luogo migliore, ma non tutti sono partiti, sono rimasti solo quelli che non avevano abbastanza soldi per pagare. Ricorda persino la data della partenza, quella non l'avrebbe scordata per il resto dei suoi giorni e gli sarebbe rimasta impressa l'immagine di quell'immensa sfera che si alzava da terra e portava via per sempre quelle persone. C'era una sola caratteristica che le accomunava: la tessera di SECONDO LIVELLO spiaccicata sulla muta protettiva. Era il primo di Gennaio del 457, Seconda Era. Quando la sfera si alzò da terra senza alcun rumore lui rimase ad osservarla scomparire dopo pochi attimi di secondo. E loro? Sarebbe venuto a prenderli qualcuno? Sapeva già la risposta. I chicchi di grandine del diametro di circa 15 centimetri piovono sulle strade e rimbalzano sulle mute protettive, l'unica cosa che lo stato ha concesso a loro gratuitamente.
La muta non funziona più ed ora siamo nel periodo dell'anno in cui il sole emana i suoi raggi assassini. Sul braccio scoperto, fra le bolle formatesi per il calore si riesce ancora a distinguere la piccola scritta LIVELLO ZERO, ma ormai non ha più importanza.
Non vede più persone da giorni ed è ormai certo che non le incontrerà mai più, ricorda ancora il dialogo con Argon, l'ultima persona viva che ha visto, lo ha incontrato una quarantina di chilometri prima, ma ormai non riesce più a distinguere la distanza che ha percorso. Argon era seduto su di un grosso tubo argenteo e guardava a terra, se non fosse stato per il respiro incostante che muoveva il suo petto, lo avrebbe sicuramente ritenuto un cadavere, ed in parte lo era, in un certo senso, perché notò che aveva una protesi meccanica ad un braccio che scompariva sotto il tessuto della tuta creando un rigonfiamento che difficilmente non si sarebbe notato. Anche lui aveva una protesi meccanica, ma aveva dovuto toglierla da diverso tempo a causa dei maligni raggi solari che la portavano a temperature troppo elevate che rischiavano di rovinargli la muta.
«Hai dell'acqua? »
«No, chiedo venia... »
«Lo immaginavo: ma che importa ormai, niente ha più senso. Ci muoviamo ormai come ombre, non abbiamo più niente, per gli ALTRI neanche esistiamo più, chissà come se la stanno passando su quel nuovo trabiccolo spaziale e lo sai come lo hanno chiamato? »
«No»
«Saefty - Salvezza. È incredibile, non è vero? Prima distruggono la propria casa con le loro stesse mani e poi, costruitane una nuova, le danno il nome Salvezza, come se a distruggere la loro prima casa fosse stato un altro. Piuttosto, perché non rimani qui con me ad assopirti e ad aspettare la fine. Io sono venuto dalla parte opposta alla tua, ho camminato per quasi 60 chilometri e posso assicurarti che ho controllato ognuno dei distributori che sono lungo la strada senza spillare neanche una goccia, ma ormai la sete non la sento più, per morire non serve bere»
«No, voglio controllarli lo stesso e poi... »
«E poi... cosa?... Non credere che ci sia un poi, per noi non c'è mai stato! »
«Forse hai ragione, ma voglio lo stesso tentare, ho visto dei Box laggiù, penso che siano a circa due chilometri, forse si è salvato qualcuno... »
«Non si è salvato nessuno... ho controllato io stesso quei Box e sono pieni zeppi di cadaveri, alcuni non sono ancora marciti, mentre altri Dio solo sa da quanto tempo si trovino lì... e non sperare che le loro muta funzioni ancora, le ho controllate personalmente... »
A quel punto aveva ripreso a camminare lungo la strada, si trovava già a una decina di metri dal tubo argenteo quando Argon gli aveva urlato da dietro:
«Il mio nome è Argon! E il tuo qual è, LIVELLO ZERO? »
Lo aveva guardato senza voltarsi del tutto e lo aveva squadrato da capo a piedi; non era difficile capire come aveva fatto a scoprire il suo livello, ce lo aveva impresso sul braccio, ma la cosa che lo aveva lasciato interdetto era stata la sua richiesta: a che cosa diavolo gli serviva sapere un nome quando sei ad un passo dall'andartene all'Altro Mondo?
«Perché lo vuoi sapere? »
«Beh... visto che dobbiamo morire tutti, mi sarebbe gradito sapere il nome dell'ultima persona che incontrerò! »
Per un breve periodo che però, sotto il sole che opprimeva i loro corpi con i suoi raggi assassini continuamente e grazie al silenzio quasi assoluto che si era venuto a creare, gli era sembrato un tempo interminabile, i due si erano guardati e poi aveva risposto chinando il capo e voltandosi per riprendere il cammino:
«Marco... mi chiamo Marco»
Poi Argon era scoppiato in una risata fragorosa che quasi immediatamente si era tramutata in una rauca tosse.
«Mi prendi in giro? »
«No»
«Ma che razza di nome è? »
«Mia madre mi ha sempre raccontato che questo nome apparteneva ad un suo antenato, che visse quando ancora l'atmosfera era pressoché intatta; penso sia un nome tratto dal Sacro Testo»
E se ne era andato.
Marco cammina sempre più lentamente finché non si arresta del tutto. Marco alza la testa e per la prima volta dopo anni guarda il cielo, ma solo per un attimo fuggente perché la luce è troppo intensa. E improvvisamente si rende conto di non avere più niente, persino il cielo rifiuta il suo sguardo e lo osserva sprezzante contorcersi sulla strada.
Marco cade in ginocchio e prova a piangere ma non ci riesce, l'unico pensiero che lo sfiora è quello della sua morte incombente. Argon aveva ragione, oh si! Ce l'aveva eccome!
Marco comincia a sogghignare, ma nel silenzio più totale sembra quasi una risata fragorosa, e ridendo sussurra, pochi attimi prima di crollare al suolo esanime:
«Abbiamo perso».
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- Grazie moltissime. Penso che seguirò il tuo consiglio! Grazie ancora ciauz!!!
- Sei stato bravo a descrivere la fine del Livello Zero, ora ti proporrei di elaborare il futuro dei livelli superiori, sarebbe un bel compito di fantasia, vista la tua indiscussa bravura.
Racconto catastrofico e senza speranza ma piaciutissimo.
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