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Date da ricordare - I -
Quante saranno le date da ricordare nella vita di una persona, quelle che rimangono impresse nella mente insieme a tutte le emozioni che hanno caratterizzato gli eventi vissuti tanto intensamente?
A parer mio circa una dozzina, al massimo due, includendo ovviamente i canonici matrimoni, nascite e altri eventi lieti e tristi collegati alla famiglia. Al di fuori della stessa non penso siano poi così tanti, spesso poi sono soggetti a revisioni mentali tendenti a rimuovere ciò che la nostra coscienza reputa insignificanti o a modificarne opinioni e impressioni. Altre volte sono ricordi forzati, nel senso che a forza di sentirli dire da chi li ha convissuti, i loro ricordi diventano stranamente anche i nostri tanto che si è pronti a giurare di averli vissuti in tale modo. Ciò accade soprattutto con i ricordi della prima infanzia, quando li sentiamo raccontare dai nostri genitori più e più volte e avviene in noi una specie di lavaggio del cervello per cui da adulti crediamo in tutta onestà che siano reali e invece non ricordiamo un bel nulla.
Nel mio caso questo è avvenuto una sola volta, da bambino, e poi basta, tutti i miei ricordi successivi li ho effettivamente vissuti così come sono pronto a raccontarli.
Due date, soprattutto, non dimenticherò mai e riguardano due eventi successi alla distanza esatta di sei mesi l'uno dall'altro. 3 luglio del 69 la prima e 3 gennaio del 70 la seconda, come ho detto, giusto sei mesi esatti. In pratica la seconda è correlata alla prima e insieme puntellano un periodo della mia vita di circa diciotto mesi vissuti piuttosto intensamente.
La prima data si riferisce al giorno successivo dell'esame scritto di topografia per la maturità di geometri presso il Castellamonte di Torino, per questo è anche doveroso dire perché mi trovavo lì.
L'anno precedente, il 68, frequentavo a Matera il IV geometri e per via del mio essere sessantottino mi ero già cacciato in spiacevoli condizioni più di una volta ma nel periodo tra aprile e giugno finii di complicare la mia già complicata situazione. Si profilavano le elezioni politiche ed io come alcuni altri compagni mi detti all'attivismo politico per rimediare le mille lire giornaliere, tanta era la tariffa per noi ragazzi all'epoca, una vera manna dal cielo.
Ognuno di noi si scelse un partito politico ed io mi ritrovai galoppino nel PSU, i socialisti uniti. Non lo feci per vocazione perché all'epoca di vocazione politica non ne avevo, semmai quella del casinista, ero semplicemente amico del figlio del candidato socialista alla Camera, che, pezzo grosso del sindacato provinciale, aveva ottenuto la nomina alla candidatura battendo la concorrenza di un altro candidato.
Chi è costui? Semplicemente il mio professore di Scienze agrarie, Estimo, Economia e Contabilità agraria, quattro materie che a parte la prima sono tutte toste. Dal momento che si avvede della mia militanza nelle fila del suo antagonista mi prende sopranaso ed io, sempre alla ricerca di guai, comincio a litigarci di brutto.
Alla fine dell'anno scolastico mi ritrovo non bocciato ma rimandato a settembre in tutte e quattro le sue materie con la promessa, meschina, che alla riparazione dovevo sapere tutte le materie a menadito e sperare in una sua giornata di grazia.
Lo mando semplicemente a quel paese e a settembre non mi presento, me ne vado a Torino e mi iscrivo presso una scuola privata, inizialmente ospitato da alcuni cugini di mio padre. Dopo un paio di mesi mi trovo un lavoro presso una ditta privata di costruzioni stradali il cui proprietario è un instancabile ingegnere perché, oltre alla ditta è anche insegnante presso una mezza dozzina di scuole tra pubbliche e private.
A sentire le sue esternazioni è sempre in piedi dalle quattro del mattino e regge fino alla mezzanotte. Glie lo sentiamo dire almeno una volta al giorno e spesso mi sono dovuto cucire la bocca per non esclamare "ma il tempo di fottere, questo, quando lo trova?" per mia fortuna non l'ho mai detto.
Si arriva alla fine dell'anno scolastico con gli esami di stato. C'è la nuova riforma scolastica, gli scritti sono solo due ma per i privatisti gli orali riguardano tutte le materie.
Bene, il due luglio, dopo la prima prova di italiano, superata con estrema facilità, vi è la seconda prova, quella di topografia. Mi riesce un compito con i fiocchi, sgarro dal risultato, che prevedeva circa ventimila metri cubi di movimento terra, di soli quindici centimetri cubi. Un successo mai visto, viene pure riportato dalla stampa locale la settimana successiva.
Anche tutti gli altri compagni sono abbastanza bravi e così nel pomeriggio il nostro insegnante ingegnere ci raduna per comunicarci i risultati e per darmi la bella notizia che gli orali, da lì a tre giorni, sarebbero iniziati dalla lettera R, la mia.
Siamo tutti euforici e su di giri, dobbiamo scaricare un po' di tensione e così io e gli altri tre con cui lego più strettamente, ce ne andiamo a giocare al Bowling dalle parti di Porta Susa.
Arrivano le otto di sera ed abbiamo fame, prendiamo un'altra decisione fuori dalla norma, nei pressi del Bowling vi è un ristorante ittico, dove ti cucinano il pesce pescato vivo in un acquario al centro del locale. Dopo cena, e sono già le undici, cominciamo a dare i numeri, non sappiamo cosa fare, l'adrenalina scorre al massimo, dapprima gironzoliamo per Torino con la macchina di Giorgio, uno dei tre, gli altri sono Giacobbe, un mio coetaneo di Longarone, da noi chiamato "lo scampato", perché uscito indenne dalla famosa tragedia di un anno prima, e l'altro Lorenzo, più grande di qualche anno che già lavora ma vuole prendersi il diploma. Viene dalla provincia di Savona, Albenga per la precisione.
Girovaghiamo per la città per più di un'ora, soffermandoci nei pressi del Valentino a sfottere le belle dame ma poi, non paghi, prendiamo la fatale decisione. Perché non andiamo ad Albenga, a casa di Lorenzo a passare una bella giornata? Bastano solo dieci minuti di consultazione e la decisione è presa.
Il tempo di fare benzina e ci avviamo per Savona con la Fiat 850 di Giorgio. Non so la distanza ma so che ci vogliono più di tre ore. Scherzando e scimmiottando, alle quattro e mezza arriviamo a Savona, per Alberga ci vogliono solo altri venti minuti al massimo, è troppo presto per presentarci a casa di Lorenzo senza far prendere un colpo alla madre, già vedova. Così temporeggiamo sul lungomare dove io, con somma intelligenza mi addormento sugli scogli. Due ore dopo ci vorrà un quarto d'ora per rimettermi in sesto giacché sono diventa più rigido io delle pietre.
Ripartiamo per Alberga e ci arriviamo dopo le otto, dicendo alla madre che siamo partiti alle cinque senza incontrare quasi traffico per strada. Passiamo una bellissima giornata tra bagni e maldestri tentativi di fare dolci conquiste e, infine, verso le quattro del pomeriggio si riparte. È il 3 luglio del 69.
Come detto abbiamo passato una indimenticabile giornata, la serata lo sarà ancor di più.
Ciò che infatti non sappiamo è che proprio quel giorno a Torino c''è stata una violenta contestazione degli operai della Fiat, coadiuvati come al solito dagli studenti. I disordini iniziali si sono trasformati in aperta guerriglia e in corso Traiano ci è scappato il morto.
Verso mezzogiorno i genitori di Giorgio, non vedendo ancora il figlio né la macchina giustamente si allarmano e per prevenire brutte sorprese di tipo giudiziario, infatti temono che Giorgio e noialtri, che ben ci conoscono, ci stessimo dentro fino al collo, denunciano la sua e, di conseguenza, la nostra scomparsa alla questura.
Verso le sette di sera, ignari di tutto, in macchina non c'è la radio perché due mesi prima a Giorgio glie l'hanno sgraffignata, arriviamo alle porte della città, il traffico, che già era iniziato a rallentare da un po', si fa addirittura impossibile con una lunghissima coda. Non ci facciamo tante domande perché pensiamo al ritorno da una bella giornata di mare, la prima finalmente tanto degna, e quindi arriviamo al primo posto di blocco, tranquilli e spensierati.
Un brigadiere si avvicina all'auto e chiede i documenti di rito a Giorgio, restiamo invece sorpresi quando li chiede anche a noi, oltretutto io e Giacobbe ne siamo sprovvisti addosso. Il graduato prende perciò gli altri due documenti e si avvia presso la loro Giulietta. Un paio di minuti di conciliabolo mentre noi continuiamo a scherzare in macchina, quindi ritorna ma non è solo, con lui un brutto ceffo armato di pistola mitragliatrice e col dito sul grilletto. Dapprima non ci facciamo caso ma quando il brigadiere ci ordina di seguire le due moto misteriosamente apparse dal nulla, cominciamo a chiederci e a chiedergli il perché.
Non otteniamo risposte, solo muti e imperativi comandi sotto la minaccia delle armi. Incassiamo i nostri sorrisi e la mostra allegria e seguiamo fino alla questura centrale le due moto di scorta, uno davanti e l'altra dietro.
Nel recinto della questura si avvicinano altri due gendarmi armati che ci prendono in consegna e ci portano dentro. È una stanza piuttosto strana, non sembra una cella ma nemmeno una sala d'attesa. Non vi sono finestre ma una sola porta a vetro, con tanto di cristallo retinato. Quando restiamo soli Lorenzo si avvicina alla maniglia e dopo un paio di tentativi a vuoto ci comunica che è chiusa a chiave. Ci guardiamo attoniti l'un l'altro. Di tutta la vicenda di corso Traiano non sappiamo ancora nulla.
Dopo quasi un'ora di snervante attesa finalmente ci aprono e un paio di agenti, questa volta disarmati, ci conducono presso un ufficio, spazioso e ben arredato, è quello di un vice questore. Ci attendono in due, l'altro è un giovane commissario di P. S. iniziano a interrogarci, prima la routine delle nostre complete generalità, con tanto di rimprovero per me e Giacobbe, poi le domande si fanno più serrate,
Dove siamo stati, con chi, da dove veniamo, perché, come e quando, insomma tutta la trafila. Comprendiamo anche noi che appare del tutto inverosimile che alla vigilia degli esami orali ce ne siamo andati spensieratamente, io soprattutto, a zonzo per la Liguria. Eppure è la verità, non la nostra, e ovviamente fatichiamo non poco a farci credere.
Dopo un'ora di torchiatura ci rispediscono nella stanza di prima, con la porta bloccata dall'esterno.
Ancora un'ora di sofferenza e infine ci riaprono, un solo agente disarmato, questa volta, ci riconduce nell'ufficio di prima dove c'è solo il vicequestore ma in presenza dei genitori di Giorgio che, manco a dirlo lo fulminano con gli occhi e lanciando altrettanto sguardi assassini a noialtri. Ritengono infatti, come ogni buon genitore, che i fuorvianti siamo noi noialtri, capeggiati naturalmente da Lorenzo perché è il più grande d'età.
La vicenda termina di li a poco, con tante scuse dei genitori per il tempo fatto perdere ai questurini che in una giornata come quella si sono dovuti interessare anche della sparizione di quattro incredibili teste di cavolo, per non citare le esatte parole dei genitori di Giorgio.
Gli esami andarono bene. Mi presi il mio bel diploma, non seguii i consigli del mio ingegnere a restare a Torino presso la sua ditta. Mi scongiurò in ogni modo di rimanere dicendomi che per il servizio militare poteva anche riuscire a farmi esentare e, in ultima analisi, facendomi la residenza a Torino, mi avrebbero certamente fatto espletare la leva giù vicino casa mia. Mi disse pure che se me ne andavo via tempo due mesi avrei dimenticato tutto il mio sapere, ma io fui irremovibile. Comunque si sbagliò di grosso, non furono necessari due mesi ma appena tre settimane.
Pochi mesi prima mi avevano chiamato al distretto militare di Napoli per le visite mediche e mi fecero compilare una specie di questionario, rispondendo alla voce relativa all'Arma preferita avevo scritto Carabinieri Ausiliari presso la caserma Cernaia di Torino, sperando di restare a Torino, dove mi ci trovavo bene, in seconda scelta i Granatieri di Sardegna perché era l'Arma in cui aveva militato mio padre. Ma le cose andarono diversamente perchè gli eventi mi condussero fatalmente verso la seconda data, quella drammatica del 3 gennaio del 70.
Ma ora le mie raggrinzite dita sono stanche, di questa ne parliamo domani.
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