racconti » Racconti fantastici » 2 secondi
2 secondi
Solo, finalmente solo! Sono andati via tutti, con discrezione, pavidi e tentennanti, ma sono andati via.
È la prima volta che resto solo da... ormai più di sei mesi, voglio godermi questo momento iniziando con un profondo sospiro di sollievo. Mi guardo intorno, sono in un piccolo bilocale in un grande condominio. Unica parete esterna una grande vetrata che affaccia su un terrazzo. L'ingresso dà direttamente in casa, un ampio soggiorno, in un angolo la zona cottura con a fianco un bagno, dirimpetto l'angolo notte. Non una camera da letto ma un vero e proprio angolo letto, ovverosia uno striminzito spazio dove a stento vi entra un letto ad una piazza e mezzo, senza alcun comodino, vi sono solo due piccole mensole ai lati, grandi appena da contenere un abat-jour e una piccola sveglia, nient'altro.
Il soggiorno invece è grande, quasi quaranta metri quadri, altrettanto grande è il terrazzo, non quanto la stanza, forse la metà, ma essendo collocato al trentaseiesimo piano ti da una piacevole sensazione vertiginosa.
Tutto il palazzo comprende sessanta piani e si snoda come un immenso serpente sul litorale adriatico per una lunghezza di oltre mille metri. Ormai le costruzioni si fanno con questi criteri, ovvero deturpando la natura in ogni modo.
Mi avvicino alla vetrata, sento il bisogno di respirare aria fresca, l'apro e mi sento invadere da una folata di vento. È solo un momento, quanto basta per stordirmi, poi varco la soglia e mi dirigo verso la rete di protezione che funge da parapetto. La vista è da mozzare il fiato, il mare sotto di me è di una bellezza unica. Le prime ombre pomeridiane mi permettono di scrutare senza bagliori un orizzonte di azzurro intenso.
Respiro profondamente poi, inebriato, mi dirigo verso l'unico mobile presente, una sedia a sdraio ben imbottita e con sopra un quotidiano dai lembi svolazzanti. Mi siedo accomodando la spalliera ed apro il giornale, è il Cronic, titoli e foto non mi dicono nulla, solo la data, spezzando l'incantesimo, mi riporta alla dura realtà 8 ottobre 2098.
Il sospiro che emetto questa volta è di rassegnazione. Lo richiudo, come detto, le notizie che riporta non mi dicono assolutamente nulla. Secondo la data dovrei avere novantotto anni essendo nato nell'anno duemila, il quindici luglio. Invece ho solo quarantadue anni, forse uno in meno, questo è da stabilirlo.
Dovrei dire chi sono, ma sarebbe un'aberrazione, meglio sarebbe dire chi ero, o chi sono stato fino al duemilaquarantuno, uno degli uomini più ricchi del pianeta. Questo sì, lo ricordo perfettamente, e da sicure informazioni, ancora lo sono.
Però mi trovo in un bilocale da quattro soldi in un megacondominio sulla costiera adriatica nei pressi di Pescara. Certo che se non fossi qua sarei ancora in una maledetta stanza bianca di una asettica clinica circondato da camici bianchi e verdi, monitorato minuto per minuto, con deferenza e servilismo, tanto per ricordarmi che, sebbene tutto, sia ancora l'uomo più ricco della terra, o quasi.
Non posso non ricordare il mio passato, ma non voglio nemmeno soffermarmi più di tanto sulla mia vita, ciò che conta sono gli ultimi momenti di un giorno specifico, il venti agosto del duemilaquarantuno.
La Ferrari impazzita, causa una macchia d'olio sulla pista di Imola, piomba come un proiettile contro un muretto rimbalzando come un innocuo giocattolo fino a fermarsi, già pira ardente, nei pressi di una catasta di copertoni. Le fiamme avvolgono tutto il mezzo da farlo diventare una immensa torcia. Gli uomini accorrono ma non riescono a spegnere subito le fiamme. Il serbatoio che scoppia, la mia tuta lacera espone il corpo alle fiamme, solo la testa riesce a passare indenne protetta dal casco.
Non mi accorgo di nulla, ho perso i sensi già al primo impatto. L'unica cosa che ricordo è l'urlo che ho emesso gli istanti precedenti l'impatto, poi più nulla, ho riaperto gli occhi in una sala bianca su un letto bianco cinquantasette anni dopo.
La prima cosa che ho visto è stato un volto estraneo, quello di un uomo di mezza età, calvo, triste e con occhiali da miope. I suoi occhi esprimevano apprensione e speranza, la sua bocca si muoveva su e giù senza emettere alcun suono, non era vero, erano i miei sensi ancora non pronti alla percezione.
"Signor Gomez, mi sente? Riesce a sentire la mia voce?" l'ometto calvo, miope e triste domanda insistentemente le stesse cose. Non rispondo, mi guardo intorno finché non mi approprio di tutti i miei sensi. Muovo le dita, tocco il lenzuolo, muovo i piedi, li sento freddi, muovo gli occhi, vedo altre facce apprensive, sento le voci, i brusii, i rumori di vari oggetti, tende che vengono tirate, sento la sua voce distintamente, querula e invadente. Sento gli odori, sono quelli tipici degli ospedali che ricoprono tutti gli altri, tranne quello del dopobarba dell'ometto calvo, miope e triste.
Respiro profondamente poi, infastidito, mormoro "Sì"
L'ometto calvo e miope non è più triste, sa sorridere, e con lui tutto lo staff che lo circonda. La sala si anima, un applauso scaturisce dal nulla, mi tramortisce i timpani, faccio una smorfia di disappunto, lui allarga le braccia per zittire la sala che di colpo ubbidisce.
"Signor Gomez, bentornato nel mondo dei vivi" afferma giulivo, non sa che da quel momento è iniziato il mio calvario, durato più di tre mesi, fino ad oggi, il mio primo giorno di libertà assoluta.
"Signor Gomez, buongiorno, come ci sentiamo oggi?" Sono due mesi che ogni mattina alle nove in punto gli sento fare la stessa domanda, vorrei strozzarlo ma non posso muovermi legato come sono al letto da una miriade di fili e tubicini vari. Lo guardo in tralice, come sempre, sperando di farlo desistere con velate minacce ma egli non se ne cura, ogni giorno il suo buongiorno è sempre lo stesso, ma oggi mi sento di rispondergli per le rime.
"C'è un motivo per cui dobbiamo sentirci all'unisono?" gli chiedo inaspettatamente. Raggiungo lo scopo di confonderlo, per un attimo esita a rispondermi finché se n'esce con una risatina.
"Oggi è di buon umore, signor Gomez, mi fa piacere, anche perché dovremo iniziare un'altra fase del suo recupero. È importante che sia di buon umore signor Gomez. Vedo che di nome si chiama Victor, questo è senz'altro di buon auspicio Victor, posso chiamarla per nome, vero?"
"No" gli rispondo secco rifiutando il suo approccio, e per la seconda volta in pochi minuti lo vedo confondersi nei movimenti.
"Come vuole signor Gomez, nessun problema." Afferma appena ripresosi, poi attacca imperturbabile:
" Signo Gomez, oggi la toglieremo la maggior parte dei collegamenti ai macchinari, il suo corpo ha risposto bene ad ogni sollecitazione."
"Bene, allora potrò alzarmi, sono stanco di stare sdraiato in questo letto."
"Ecco, non subito, prima devo ragguagliarla su alcune cose circa la terapia che stiamo attuando."
"Si spieghi meglio, di che terapia sta parlando?"
"Ecco, signor Comez, lei cosa ricorda del suo passato, qual è l'ultimo ricordo che ha, sa cosa le è successo?"
"Sì, ricordo fino agli ultimi istanti prima dell'impatto della macchina contro il muretto, filavo a oltre trecento chilometri all'ora"
"Trecentododici, per l'esattezza signor Gomez, poi lo schianto. Di questo non ricorda nulla?"
"Nulla, devo aver perso i sensi in quell'istante. Ho riaperto gli occhi in questo letto."
"Nell'urto la sua tuta si è strappata in più punti mentre la macchina esplodeva e si incendiava. Le fiamme l'hanno avvolta come una torcia penetrando all'interno. La tuta era ignifuga ma la parte interna era di un normalissimo materiale di plastica che si è infiammato all'istante. In pochi minuti il suo corpo è arso del tutto. Si è salvata solo la testa, protetta dal casco. I soccorritori, dopo aver spento le fiamme, hanno compiuto un vero miracolo mantenendola in vita. In ospedale, poi, ha avuto la fortuna di trovare il dottor Marconi che ha fatto il resto"
Lo seguo con attenzione. Mi sta raccontando gli eventi che mi hanno portato in questo letto, sebbene stia facendo nomi di persone che nemmeno conosco. Fa una pausa scrutandomi per bene, gli faccio un cenno d'assenso e riprende il racconto.
"Il cuore, nonostante tutto, ancora batteva, il corpo era irrimediabilmente distrutto. È stato in quel momento che Marconi ha preso l'estrema decisione..."
Sollevo le braccia, è l'unico movimento che posso fare, le guardo e sono intatte, poi guardo lui mostrandogliele. È una muta domanda a cui risponde con un filo d'imbarazzo.
"La decisione del dottor Marconi è stata quella di ibernarla in attesa che la scienza medica trovasse il modo per farla rivivere. Ciò che è successo oggi"
"Allora devo ringraziare questo dottor Marconi, quando potrò incontrarlo?"
"Ecco, signor Gomez, ciò non è possibile perché, ehm.. il dottor Marconi è intanto deceduto"
"Oh, mi dispiace, quando è successo?"
"Undici anni dopo la sua ibernazione, signor Gomez" Mentre fa questa rivelazione mi guarda attentamente, io ci metto dei secondi a metabolizzarla, infine, con un velo di sospetto gli chiedo:
"Ha detto undici anni? Non capisco.." invece ho capito benissimo, mi serve solo una conferma.
"Sì, signor Gomez, esattamente quarantacinque anni fa"
"Per quanto tempo sono stato ibernato?" non ha bisogno di calcolatrice, la sua risposta è immediata.
"Cinquantasette anni signor Gomez"
"Lei non era nemmeno nato allora?" è l'unica banalità che mi viene in mente.
"No signor Gomez, sono nato due anni dopo."
"Ma allora, avete trovato il modo di ricostruire ogni tessuto, non mi pare di avere alcuna traccia di cicatrice o di bruciatura"
"No, signor Gomez, nessuna cura, ciò che le è stato fatto è qualcosa di altamente innovativo. Ma le spiego come sono andate le cose. Durante tutto il tempo in cui è stato ibernato la medicina ha compiuto passi da gigante, che alla sua epoca erano impensabili, se non nella fantascienza più sfrenata. Dopo alcuni interventi su cavie animali, perfettamente riusciti, siamo intervenuti direttamente su di lei, e con totale successo, come può ben vedere"
"Non riesco a capire..."
"Il suo corpo era irrimediabilmente distrutto, solo la testa si è salvata, e noi, comunque, lo abbiamo interamente ibernato poi, quando ci siamo sentiti sicuri dell'intervento e appena c'è stata la disponibilità di un corpo, abbiamo eseguito il trapianto"
"Cosa avete trapiantato?"
"Il suo cervello signor Gomez, abbiamo semplicemente sostituito il cervello del donatore con il suo"
"Avete messo il mio cervello in un altro corpo? Ed è stato possibile farlo?"
"Certamente signor Gomez, e lei stessa ne è la prova vivente"
"Non immaginavo che tanto fosse possibile, stento a crederci"
"Invece sì, l'intervento è durato circa sedici ore poi l'attesa prima del risveglio"
"Allora adesso potrò finalmente alzarmi da questo letto?"
"Non subito, signor Gomez, o almeno non prima di aver preso dimestichezza con il corpo. In fondo, capirà, per il suo cervello è pur sempre un corpo estraneo, sebbene lo controlla con gli impulsi nervosi."
"Non capisco, il corpo è come una grande unica protesi, io comando e lui obbedisce, non vedo cosa ci possa essere di tanto complicato"
"Dovrà familiarizzare con il nuovo corpo. Le faccio un esempio, quando lei andrà in bagno per i suoi bisogni, il corpo compierà i normali gesti del caso ma la mente non sarà immediatamente pronta ad affrontare la situazione. In fondo le sembrerà il contatto con un corpo estraneo. Questo implicherà un lasso di tempo affinché il cervello metabolizzi la situazione e mandi i dovuti impulsi nervosi"
"E questo tempo, di cui lei parla, a quanto esattamente corrisponde?"
"Oh, qualche secondo, diciamo un paio di secondi, non di più"
"Due secondi? Beh non sono poi tanto!"
"A volte no ma altre volte possono dire tanto, dipende dalle circostanze, signor Gomez"
Nei mesi successivi la terapia è stata incentrata esclusivamente sulla pratica, come aveva anticipato il dottore, ah si chiama Mazzei, non glie l'ho chiesto ma l'ho letto sul suo tesserino, il primo notevole imbarazzo l'ho provato in bagno nel momento di orinare. Prenderlo in mano non è stato semplice, oltretutto le sue dimensioni sono maggiori delle mie, e in quel caso il tempo intercorso tra il comando e l'azione è stato ben maggiore di due secondi. Però ho anche scoperto che recandomi in bagno all'ultimo istante del bisogno l'azione era tanto simultanea che a volte anticipava gli impulsi mentali.
In cento giorni, tanto è durata la riabilitazione, ho imparato a conoscere il mio nuovo corpo perfettamente, solo una cosa ho notato e della quale non ho avuto che risposte evasive ogni qualvolta ne ho fatto menzione al dottor Mazzei ed è stata la mancanza assoluta di specchi. Infine, pochi giorni fa, alla vigilia della mia dimissione, mi ha chiarito il perché.
"Vede signor Gomez, il suo nuovo volto è l'ultimo passaggio della sua riabilitazione, prima abbiamo preferito che lei scoprisse poco alla volta il corpo lasciando il volto per ultimo, e a questo proposito desidero che lo faccia da solo, voglio dire lontano dal centro ospedaliero. Per questo motivo le abbiamo messo a sua disposizione un appartamentino non lontano da qui dove sarà trasferito tra pochi giorni. Lì potrà starci tutto il tempo che vorrà, non sarà abbandonato perché uno staff assistenziale occuperà un appartamento non lontano dal suo. È importante che lei si abitui a vivere una nuova vita signor Gomez, ha trascorso fin troppo tempo lontano dal mondo. Per questo motivo scoprirà il nuovo volto quando sarà solo, questo sarà il suo ultimo test prima di lasciarla libero del tutto"
"A proposito, non abbiamo affrontato la questione economica, riguarda tutte le spese ospedaliere"
"Vuole scherzare signor Gomez? Lei era già una delle persone più ricche del pianeta un secolo fa ed oggi, grazie alla gestione del suo patrimonio da parte delle banche che già all'epoca controllava, è forse ancora più ricco di un tempo. Semmai, se mi permette, potrebbe esprimere la sua gratitudine per il nostro centro con una donazione, le spese sono state già saldate con totale soddisfazione, ma come lei potrà ben vedere oltre a curare le persone investiamo anche nel futuro"
"Non si preoccupi dottor Mazzei, sebbene ricordi a quanto ammontasse il mio capitale immagino che oggi sia ancora più florido perciò darò disposizione che venga fatto un bonifico di un terzo del capitale a questo istituto, credo che lo meritiate"
Solo, finalmente solo, l'ultima ad uscire è stata un'infermiera, abbastanza carina per giunta, mi ha ricordato che per tutta la notte non sarà molto distante dal mio appartamento per cui non impiegherebbe che pochi minuti a raggiungermi in caso di necessità, basta che io premi un pulsante del cerca persone. Lo sguardo che mi ha lanciato andando via mi è parso alquanto significativo ma ora ho altro a cui pensare, semmai ci farò un pensierino più tardi.
Ho preso dimestichezza con il corpo in cui mi ritrovo, altezza e peso sono simili ai miei, parlo del mio corpo naturale è ovvio, e, come afferma il dottor Mazzei, anche familiarità delle parti intime. Una sola cosa non sono ancora riuscito a controllare e che spesso mi indispone ed è il tempo di reazione di due secondi che dovrebbe intercorrere tra il pensiero e l'azione. Ho notato che per alcuni movimenti il corpo agisce in modo molto spontaneo, a volte mi sembra che anticipi il pensiero, mentre altre volte reagisce oltre i due secondi fatidici. Ad esempio se ho sete e devo bere non ho bisogno di pensarlo perché il corpo lo fa automaticamente mentre se decido di fare qualcosa di non fisiologico allora devo aspettare che il comando arrivi ai muscoli interessati. Probabilmente il totale livellamento avverrà nel tempo, per ora trovo molto soddisfacente la situazione.
Ripenso al corpo in cui mi trovo, non mi sono ancora chiesto di chi fosse, parrebbe un atleta, dall'ottimo stato di conservazione, ma non ho mai approfondito. Ora ho la possibilità di farlo e, come mi è stato consigliato, dovrò farlo da solo. Non capisco il perché ma mi adeguo.
Nel bagno l'immagine che lo specchio mi rimanda, ovviamente di un estraneo, non mi dice granché, ha un volto che trovo simpatico, e non perché adesso è il mio, l'avessi conosciuto ai miei tempi lo avrei trovato simpatico. Non mi sconvolge affatto, in preda all'euforia mi rivolgo all'immagine riflessa e ad alta voce affermo: "Sì, mi sei veramente simpatico, caro sconosciuto"
"Anche tu lo sei per me!"
Giuro, nell'abitazione sono solo, la voce che ho sentito, mi raggela il sangue. Stavo per voltare le spalle allo specchio ma quella frase che ho sentito mi ha paralizzato di colpo. Lentamente mi riposiziono davanti lo specchio e provo a muovermi per vedere se l'immagine riflette i miei movimenti. Lo fa.
Improvvisamente penso di prendere il flacone del dopobarba sul mobiletto alla mia destra. Non è un gesto istintivo, ho pensato di farlo per mettere alla prova il corpo e questi reagisce con oltre tre secondi di ritardo, poi, senza alcun comando da parte mie lo riposiziona al suo posto.
Ora ho la conferma che qualcosa di strano stia avvenendo. Fisso l'immagine nello specchio e chiedo.
"A chi appartenevi in passato?" la risposta, mentalmente, non tarda ad arrivare.
"Sono sempre appartenuto a me, ieri come oggi"
"Chi sei? Come fai ad essere in questo corpo?
"Ci sono sempre stato, tu, piuttosto sei un intruso qua dentro"
"Il tuo corpo è un involucro vuoto dove è stato inserito il mio cervello"
"Questo è ciò che ti hanno fatto credere"
"Cosa vuoi dire, che non è vero, forse?"
"Tu credi che sia possibile in natura trapiantare un cervello in un altro corpo?"
"R' quanto è stato fatto, io ricordo perfettamente il mio passato e non potrei comandare questo corpo se non fossi stato inserito in lui"
"Vedo che sei convinto di quanto affermi, allora dimmi, come avrebbero fatto a inserirti nel mio corpo?"
"Non conosco i particolari tecnici, so che l'hanno fatto"
"Il cervello non è un elemento gassoso, dovrebbero aver aperto il cranio per inserirlo, e poi per effettuare tutti i collegamenti"
"Allora devono aver fatto così"
"Se così fosse dovrebbero esserci delle cicatrici, hai delle cicatrici da qualche parte che lo dimostrerebbero? Puoi toccarti, fallo, non hai che da comandare, o vuoi che lo faccia io per te? Non mi costa molto farlo, sai, guarda, sto alzando le braccia..."
"Fermati, fermati... Oh Dio! Perché non ubbidisci?"
"Perché non sei tu a comandare il corpo, lo sto facendo io, ed io sono il cervello che è sempre stato in questo corpo. Ti stupisce, vero? Ti hanno fatto credere di aver compiuto chissà quale miracolo tecnico, probabilmente per mungerti un bel po' di quattrini, o sbaglio?"
"Non capisco! Come faccio a pensare? E come fai tu a farlo? In una testa non possono esserci due cervelli, eppure sembra che tu ed io condividiamo lo stesso spazio"
"Qui ti sbagli, sono solo io in questo cranio, tu non esisti come cervello, in quanto tale"
"Non è vero, posso pensare autonomamente, quindi esisto"
"Ahahahah Ergo cogito sum, lo dicevano gli antichi romani, ma non avevano fatto i conti con la scienza, almeno quella medica"
"Cosa vuoi dire?"
"Non hanno trovato il modo di trapiantare un cervello in un altro corpo perché ciò è impossibile farlo ma sono riusciti a trasferire la memoria di un cervello in un microcip che poi hanno collocato nella mia testa collegandolo al mio cervello"
"Perché dovrei crederti?"
"Perché ne ho la prova, anzi ne abbiamo la prova, ce l'ahi anche tu. È la prima cosa che ti hanno detto"
"A cosa ti riferisci?"
"Ai due secondi, mio caro. Perché un corpo collegato ad un cervello dovrebbe impiegare due secondi per agire dal momento in cui riceve l'impulso a farlo? Anche un robot impiega meno di un secondo a farlo, è tutta una questione di impulsi elettrici. Perché invece tu dovresti impiegarci due secondi?"
"Non sempre avviene, a volte non devo attendere nemmeno un istante"
"Beh, mio caro, non mi è mai piaciuto farmi la pipì addosso, se è a questo che ti riferisci. Se ho sete, fame, sonno, caldo, freddo, e perché nò anche scopare, a proposito quando ti decidi a farlo?, non ho bisogno di impulsi, agisco istintivamente. Veramente il mio corpo lo faceva anche prima del tuo arrivo, per tutto il resto mi devo chiedere perchè tu vuoi che io faccia ciò che chiedi"
"Perché, sei tu che dai gli impulsi al corpo?"
"Non l'hai ancora capito? Tu sei solo un microcip piazzato nella mia mente e sono sempre io a comandare il corpo, i tuoi comandi passano attraverso me, perciò occorrono i famigerati due secondi. A volte i tuoi impulsi sono di tipo ordinario ed impiego anche qualche nanosecondo di meno, altre volte devo capire cosa intendi finalizzare e, pertanto, i secondi diventano anche tre e in rare occasioni anche di più. Non meravigliarti, il dottor Mazzei e tutto lo staff ne sono al corrente ma dovevano mettere le mani su un certo gruzzolo e non avevano altro modo di farlo"
"Allora tu sei loro complice?"
"No, sono un condannato a morte, ho ucciso e, secondo la legge dovevo essere giustiziato sei mesi fa, poi mi è stata fatta questa proposta. Non dovevo accettare secondo te?"
"Quindi era un tutto un complotto, fin dall'inizio?"
"Non era, lo è ancora, perché credi ti abbiano lasciato solo con me? Sai dove sono loro adesso? Nell'appartamento a fianco e ci stanno monitorando. Amico mio, siamo tutti e due nelle loro mani, essi dispongono di noi come meglio credono. A noi non resta che adeguarci, altrimenti sarà la fine per entrambi"
"Tu potevi non svelarmi nulla, non ti sarebbe costato nulla"
"Qui ti sbagli, dovevo farlo, lo avevano deciso sin dall'inizio, sei, e siamo, più controllabili in questo modo che a tua insaputa, ti rende chiaro il concetto?"
"Si abbastanza, si chiama complicità. Allora come si dovrebbe svolgere il nostro futuro?"
"Niente, dovremo solo convivere, tutto qui"
"Già, tutta la mia vita si riduce in due secondi!"
"Anche la mia, non dimenticarlo"
12345678
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati

Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0