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L'insolito sesso
I vetri della lunga finestra erano rigati dall'acqua piovana. Le gocce ne segnavano la superficie scivolando lente, poi più veloci quando si univano fra loro. Ciascuna mostrava a suo modo il mondo intorno. Migliaia di minuscoli specchi ricurvi riflettenti una realtà deforme: questo erano. Luisella - che detestava il suo nome trovandolo insulso - le guardava, seguendo la loro triste sorte, il loro inevitabile suicidio sul davanzale, il momento in cui cessavano di vivere come gocce, mescolandosi al bagnato informe del freddo travertino.
"Che mattinata di merda!" pensava.
Al lavoro le avevano affidato troppe commissioni, come sempre. Così era uscita di corsa salutando i colleghi con un " Ciaoooo!" e si era infilata frettolosamente in auto. Dopo aver programmato rapidamente una mappa mentale dei vari luoghi della città da toccare, aveva deciso di fare la prima tappa alle poste. Il traffico era intenso nonostante fossero le nove del mattino e l'ufficio postale dove si recava di solito, a qualche chilometro di distanza. Lentamente, si era avvicinata in zona e aveva parcheggiato. Di buona lena si era avviata a piedi pensando che forse, data la distanza dal parcheggio, non era valsa la pena di andare in macchina.
Finalmente era entrata, sudata. Cinque sole persone in fila, quasi un miracolo! Mentre era assorta nel pensiero delle rimanenti ambasciate, si era avvicinato un giovane alto e scurissimo che lentamente l'aveva oltrepassata e con nonchalance, si era appoggiato con un gomito in prossimità dello sportello. Non una parola da parte di alcuno. La tensione era diventata palpabile, mentre la prima signora della fila stava terminando la sua operazione. Il giovane accennò ad ignorare il suo turno per rubare il posto agli altri, così Luisella sbottò:
"Guardi che c'è una fila!"
Senza neppure rivolgerle lo sguardo, lui:
"E chi si muove! Anzi, io non ho fretta. Quasi quasi mi leggo il giornale! "
E così detto, estrasse dalla tasca posteriore dei jeans una Gazzetta dello Sport mal ripiegata.
La fila si snodò con ordine e, effettuato il pagamento, Luisella ringraziò l'impiegata e rivolgendosi al giovane gli disse ironicamente, andando via:
"Grazieee!"
Lui rimase incurante.
Quella maleducazione la tormentò per tutta la mattinata e la pioggia inaspettata, incupì, ove possibile, i suoi pensieri.
A casa non mangiò neppure per via del nervosismo, riflettendo sul fatto che non avrebbe considerato quell'uomo fosse stato l'unico rimasto sulla terra.
Dopo il lavoro pomeridiano, tornò a casa e si preparò ad una cena con amici.
Pur non avendo troppa voglia di uscire, si vestì con cura, indossando un elegante vestito attillato: non tanto corto, non tanto scollato.
Giunsero in sette al Black Velvet, un night discreto ed elegante, in cui si mangiava molto bene ma soprattutto, dove si ascoltava ottima musica. Si accomodarono al tavolo che avevano riservato e cominciarono a cenare. Al termine della cena, gli amici si fecero vicini alla pista da ballo mentre lei, ancora non completamente rasserenata, preferì andare al bar a bere qualcosa. Mentre stava per ordinare, sentì alle spalle la voce di un uomo che diceva al barista:
" Pago io per la signora!"
Luisella si voltò e si trovò di fronte il giovane arrogante dell'ufficio postale, che la guardò negli occhi mostrandole il suo bel sorriso.
" Mi devo scusare con lei per la totale maleducazione dimostrata questa mattina. So che non è una giustificazione, ma è stata una pessima giornata. La prego di accettare che io paghi il suo drink. Magari non le farà cambierà opinione su di me, ma mi aiuterà a sentirmi un po' meno sciocco per essermi comportato con lei in modo tanto incivile."
E ciò detto tornò al suo tavolo, continuando per tutta la sera a cercarla con lo sguardo, mentre Luisella, che da principio aveva accettato le sue scuse con riluttanza, cominciò ad osservarlo con attenzione. Aveva lui, un vestito di lino nero, che lo faceva sembrare ancora più alto e magro, e una camicia bianca, di cotone finissimo. Da quel contrasto cromatico, la sua pelle scura e i suoi bianchissimi denti risaltavano. Aveva occhi neri, grandi, e capelli ricci, cortissimi; una bocca piena e delineata con maestria: sembrava quasi arabo o nordafricano. Guardava e guardava lui, e tra una chiacchiera e un bocchiere, anche lei cominciò a sciogliere le sue riserve e mostrare il suo interesse. Ad un certo punto decise che doveva andare in bagno a sistemare il rossetto dopo la cena. Chissà come doveva essergli apparsa sciatta al bar prima, pensava, mentre si avviava alla toilette sotto lo sguardo attento di lui.
Entrando nel bagno, ricoperto di scintillanti piastrelle rosse e punti luce soffusi, appoggiò la borsetta sul lavandino e si guardò nel grande specchio che aveva di fronte. Chat Baker suonava "Almost Blue" e i lavandini bianchi e splendenti sembravano soffrire per le note trascinate della sua cornetta, le soffici asciugamani riposte ordinatamente e il bagno completamente vuoto.
"Strano", pensò.
Mentre si lavava le mani prima di ravvivare il colore sulle labbra- il rossetto sul marmo bianco alla sua destra nell'astuccio blu trasparente- qualcuno entrò, ma lei quasi non lo percepì per via del rumore che l'acqua faceva e perché, il bagliore di quei denti la forzava altrove, in un pensiero.
Era lui!
Luisella ebbe un fremito quando lo inquadrò nello specchio. Lo seguì mentre sembrava che volesse lavarsi al lavandino che le stava di fianco. Invece proseguì fermandosi dietro di lei, facendosi prossimo al suo calore. Alzò le mani come un negromante e si tenne a qualche centimetro di distanza, mentre si appropriava dell'aria che la circondava, mani aperte, dita lunghe e sottili; le vedeva Luisella nello specchio senza capire dove sarebbero arrivate. Le note del piano, lambirono i suoi seni. Dopo aver percorso come un prestigiatore metà della sua figura morbida senza mai toccarla, le sollevò una ciocca di capelli dal collo e si chinò su di esso. Luisella non lo ostacolò né lo favorì in questa operazione. Continuò ad osservarlo nel riflesso, come fosse stata alla Pinacoteca di Brera ad ammirare un'opera qualsiasi. Lui aprì con lentezza la bocca e sfoderò i bianchissimi incisivi che pareva voler affondare nei lunghi muscoli del collo di Luisella. Invece non fu nulla. In un attimo la bocca si richiuse e sfiorò con la rossa carnosità soltanto l'incavo della clavicola che rabbrividì. D'improvviso il negromante la afferrò per le spalle e la rigirò su se stessa come una pupattola. "Almost blue, Almost doing things we used to do". Luisella si ritrovò faccia a faccia con l'ipnotizzatore, terrorizzata dall'idea che quella loro solitudine era solo momentanea, che sarebbe svenuta se qualcuno fosse entrato da lì a poco, al pensiero di ciò che parevano essere le intenzioni di quello sconosciuto. Lui la puntò mirando agli occhi, poi si chinò rimanendo a breve distanza da lei e piegato su un ginocchio, le fu all'altezza del ventre. Con insopportabile lentezza, insinuò entrambe le mani sotto al leggero vestito di lei, nero, morbido anch'esso, trapunto di rilucenti paillettes e con il pollice e l'indice a guisa di pinza le sfilò lo slip: un paio di mutandine di chiffon rosa confetto, che scivolarono senza opporre resistenza, ipnotizzate anch'esse. Non contento, la guidò come una bambina, afferrandole ciascuna delle caviglie con delicatezza e decisione paterna, sollevandole prima il piede destro, poi il sinistro, avendo cura che lo chiffon non si impigliasse nel tacco affusolato delle splendide scarpe di tenera pelle. Quindi risalì dal basso, come risalendo un fiume, stringendo in un pugno le lievi mutandine, nell'altro il suo desiderio fiammeggiante.
Luisella fu sul punto di perdere i sensi. "È fatta", si diceva con terrore. Adesso tutto succederà e non voglio, non così. Nella mente, l'orrore che qualcuno entrasse, la promiscuità, il sesso, le davano la vertigine. C'erano note che suonavano in quel frattempo, ma lei non riusciva a sentirle. Quel contesto andava bene nella fantasia, ma la realtà era ben altra cosa! Inoltre, la capacità di reagire le era diventata nulla. Avrebbe subìto senza goderne neppure un attimo, continuando a rimirare come in pinacoteca l'innalzamento del desiderio di lui e la sua esplosione, facendosi piccola piccola, sempre di più, rinchiusa in un angolo del proprio essere ancora bambino, ad osservare non vista. Era ormai rassegnata alla resa, quando lui, sollevandosi al termine della certosina operazione, la guardò con occhi languidi e smarriti per un attimo infinito, poi, come se l'avesse letta nel pensiero, spostò l'attenzione sul lavandino dietro alle spalle di Luisella. Prese il rossetto nella sua confezione blu e lo sfilò dall'astuccio quasi fosse il suo sesso- Chat era tornato There's a part of me that's always true... always- con premura, dicendole mentre apriva il pugno :
"Le prendo in prestito. Se vorrà riaverle, mi chiami."
Le mutandine scomparvero ancora in quel confortevole abbraccio, e la voce maschile, profonda di lui, le percorse le schiena e si depositò sui bianchi glutei, nudi sotto al nero vestito. Le piacque indicibilmente, ma non batté ciglio. Il negromante continuava a tenerla legata al suo incantesimo. Le scrisse il suo numero di cellulare sullo specchio occupando una superficie enorme, poi ripose il rossetto dove lo aveva trovato, voltò le spalle dritte e larghe e abbassando impercettibilmente il capo mentre usciva senza guardarla, accennò ad un piccolissimo sorriso che Luisella vide nel riflesso cosparso di numeri fucsia. Almost you, almost me, almost blue.
Si affrettò a ripulire, come riprendendosi da uno stato di trance: un mucchio di fazzoletti di carta sparsi disordinatamente tra il lavandino e il pavimento, il rossetto spalmato su tutta la superficie dello specchio. Luisella che continuava a ripetere a memoria come le ave maria di un rosario il numero dello stregone, mentre scivolava sulla carta del pavimento e le volava il sopratacco della scarpa destra. Le mani le tremavano, e cercando di normalizzare il suo cuore tachicardico, passò il rossetto devastato sulle labbra sbavandolo e una ciglia finta le finì nel buco nero del lavabo risucchiata dall'acqua che scorreva, il cui scopo era quello di inzuppare il fazzoletto che doveva correggere la macchia di rossetto vicino al mento e sugli incisivi, frutto dell'incontrollato tremore.
"Devo calmarmi, devo calmarmi". Ripetendoselo incessantemente, uscì a testa bassa come un ariete, scontrandosi con una donna vistosissima che le trafisse un avambraccio con una casuale unghiata felina e due ore pomeridiane di manicure potevano andare a farsi benedire visto che ci rimise tre unghie finte. Giunse al tavolo dai suoi amici con l'aspetto di un guerrigliero vietcong abbastanza malconcio. Il negromante si era dileguato. Il seducente saxofono di Stan Getz e la brezza notturna le sfioravano i capelli, mentre la portiera dell'auto si chiudeva per riportarla a casa.
I due giorni che seguirono furono difficili. Continuò a pensarlo senza sosta. A casa, sul lavoro, in macchina, ovunque, tanto che la sua distrazione fu perniciosa. Combinò un mucchio di disastri, ma non dimenticò il numero di telefono e la determinazione a volerlo incontrare nuovamente. Il terzo giorno le consigliarono vivamente, dal lavoro, di rimanere a casa a riposarsi per un po'.
Ripassava tra le dita un quarzo levigato mentre lo pensava, con lo sguardo perso tra gli alberi, fuori dalla finestra di fronte. Rivedeva confusi e solo per istanti i suoi occhi neri e i capelli folti, i fianchi compatti, le gambe lunghe, le spalle dritte e larghe e la sua bocca piena di perle bianchissime. Per tacere della sera nel bagno del night: le sue dita che attentavano lente alle sue resistenze, alla sua convinta moralità. "Perché no", andava ripetendosi, mentre l'immaginazione smontava ogni sua intima riluttanza.
Era pomeriggio. Il sole pallido e scialbo spuntava dalle nuvole oblique e gonfie di pioggia- grossi batuffoli di piombo- e la poltrona a dondolo sulla quale era sdraiata si accendeva di rosso, ondeggiando sotto al suo corpo ansioso. Luisella reggeva in mano il telefono, mentre rendeva irriconoscibile il suo numero al ricevente. Uno dopo l'altro i numeri digitati emisero il loro unico, inconfondibile suono. Seguì un breve silenzio, poi due squilli dall'altra parte.
"Salve, mi chiamo Luisella, sono quella dell'altra sera... il Black Velvet.. il bagno... Chat Baker... l'ufficio postale... scusi, forse ho sbagliato numero..."
Fu come un lungo respiro, una sequenza di suoni ininterrotti, una voce tremante, mista al desiderio di essere tre metri sotto terra. Dall'altra parte, una calma piatta, un leggero sorriso quasi visibile e la voce lunare e maschile di uno sconosciuto che replicava:
"No no, non ha sbagliato numero, sono io che ho le sue mutandine! Crede di poter essere libera per stasera? Vorrei invitarla a cena a casa mia alle otto."
" Alle otto" ripetè Luisella, con un alito di voce.
L'uomo la fece accomodare su un divano in pelle bianca e le offrì un bicchiere di vino rosso chiedendole se andava bene, mentre le sorrideva ammirato. Lei ne fu entusiasta, anche perché non aveva né sete né fame.
Un silenzio interiore la pervadeva, mentre le parole, leggere e allegre, scivolavano tra sue labbra come pesci in acqua di mare, tappezzando qui e là le pareti dell'appartamento di quell'uomo elegante, al quale faceva domande banali e ingenue, pur di colmare quell'incombente assenza di suoni di dentro. Nulla di ciò che le veniva risposto si fissava nella memoria per via dell'emozione, escluso il suo nome: Giuseppe. "Banale quanto Luisella", pensò.
La cena raffinata, i modi educati e premurosi di Giuseppe, la aiutarono a sciogliere lentamente le sue ansie. Il vino fece il resto. Al termine del pasto, lui la invitò sul terrazzo, ma prima le chiese:
"Posso offrirti qualcos'altro da bere?"
E lei di rimando:
" Per esempio?"
Lui rispose:
" Amaro, grappa, passito, porto, cognac, ..."
"Cognac. Ma solo un goccio, grazie"
"Ai suoi ordini, madame"
Tornò con due bicchieri panciuti, dal gambo breve; in essi, mezzo dito di liquido ambrato e scuro e una bottiglia che depositò sul tavolino di fronte al divanetto di fantasia floreale nel quale Luisella si era seduta. Mentre arrivava notò - ammirando le gambe e più su le cosce- che Luisella non indossava lo slip. Ebbe un fremito impercettibile. Lei lo intuì, ma non si scompose facendo finta di nulla. Il gioco tornava.
Le si sedette accanto e le porse il bicchiere. Il vento fresco aveva denudato milioni di stelle in cielo e le aveva incollato una ciocca di capelli sulle labbra, mentre in silenzio il bicchiere tentava di raggiungerle. Lui allungò un dito e con dolcezza, la liberò dal ricciolo scuro, poi tornò sulle labbra socchiuse, le accarezzò piano e le baciò. Avvertì la vicinanza del suo calore corporeo racchiuso in un leggero vestito in morbida seta nera e una lunga collana di pietre verde mare, immerse nella profonda scollatura. Giuseppe si abbassò e la baciò lì, dove la collana scompariva, inalando un profumo prezioso e delicato che gli si fissò dentro per sempre; poi, si alzò tenendola per mano. Lei lo seguì con obbedienza. In un secondo furono nella sua camera da letto piena di delicate, erotiche stampe orientali, le pareti rosso pompeiano e un grande specchio di fronte al letto candido, come spuma di mare. Lui si tolse la camicia, mentre Luisella lo osservava rapita. E vide il suo petto ampio, la pelle scura e le braccia forti che si allungavano verso di lei. Le mani affusolate e decise, le si poggiarono sulla schiena, mentre si sentiva circondata dal suo calore. Sentiva il suo corpo aderire alle carni morbide e arrendevoli, il seno adagiato sul petto di lui; ne poteva percepire il battito cardiaco potente e poteva vedere vicinissime le vene sottili che intarsiavano quel collo liscio e maschile. Luisella glielo baciò aprendo le labbra, poi scivolandovi con la punta della lingua. Lui sospirò, la guardò fisso e con occhi luminosi, come pieni delle luci di tutto l'universo, le disse: "Amami".
La sua bocca si poggiò affamata sulle labbra di Luisella, mentre le mani calde scoprivano le spalle di lei facendole scivolare ai piedi il vestito di seta. Il corpo di Luisella si mostrò nella sua armonia e lei gli si fece più vicina come se avesse freddo. Lui la ghermì; le sue mani discesero lungo i fianchi e le afferrarono i glutei rotondi, mentre la bocca passava dal collo al seno bianco e morbido. Il desiderio urgeva. Ad un tratto lei si divincolò, sedette sul letto e lo guardò dal basso, afferrandolo dalla cintura dei pantaloni. Lentamente gliela sfilò, mentre lui la osservava ansioso. Gli sbottonò il pantalone e tirò giù la lampo; il suo slip nero fece capolino, mentre lei, impietosa, decideva con un colpo solo di liberarlo da tutti gli indumenti. In un istante fu nudo. E il suo sesso era lì sotto gli occhi di entrambi. Lei guardò Giuseppe, con occhi lucidi, poi chinò il capo e glielo baciò con determinazione, mentre lui credette di morire. Si distesero; lei lo guardò scivolare sul suo corpo: le gambe lunghe, l'addome delineato, i piccoli glutei riflessi nello specchio, e apprezzò quel peso, avvertì su sé stessa ogni parte di quel corpo perfetto che le chiedeva in un linguaggio ormai solo loro, di essere amato, senza pudore, senza riserve, senza parole. Strinse gli esili polsi tra le mani, Giuseppe, mentre la tratteneva con le braccia aperte in croce e lei lo lasciò fare guardandolo dentro, attraversando il deserto di quegli occhi neri come una notte senza luna né stelle; poi le percorse, delicato, le braccia, soffermandosi per un attimo sui seni e indugiando sui rosei capezzoli tesi dal piacere. Il ventre ebbe un sussulto mentre le mani continuavano in quel viaggio d'esplorazione; arrivarono al pube e con un gesto delicato e dolcissimo lui le dischiuse le cosce. Luisella lo lasciò fare, ormai vinta dal desiderio. La bocca di lui affondò in quell'ansa fremente e ne esplorò ogni latitudine. Il respiro di Luisella diventò pesante e le sue mani strinsero il copriletto alla ricerca di un aiuto che non arrivò. La lasciò un attimo prima del naufragio e risalì alla bocca, ansiosa di quelle labbra color rubino. La baciò con furore, mentre il suo sesso esausto si insinuò tra le bianche carni con lentezza e determinazione, come un cieco che conosce la strada. Inesorabile entrò in lei, che lo accolse con un grido soffocato e poi lo aiutò e lo assecondò come abbandonata alla marea che in breve salì travolgendoli, portandoli via in un luogo di nessuno, in un luogo bianco, pieno di stelle, mentre le mani toccavano e i corpi viaggiavano in quel luogo, insieme e solitari nel loro oceano di silenzio. Il grido di Luisella squarciò il bianco, mentre Giuseppe la seguì senza respiro, stringendola forte, spingendo il suo sesso nel ventre di lei che ad occhi socchiusi lo vide smarrito in quella tenera morte.
Si distesero abbracciati uno dietro l'altra e il sonno li vinse dopo la lunga battaglia. All'alba, lei si svegliò. Si era scoperta inavvertitamente e allontanata da lui durante il riposo notturno. Si alzò per cercare il bagno e fare la pipì. Al ritorno, sbirciò dai vetri del terrazzo per ammirare il paesaggio dall'alto. Sul tavolino i bicchieri di cognac semivuoti e la bottiglia della sera prima. La città addormentata, apparentemente sgombra dalle angosce umane che la impregnavano nelle ore diurne, era silenziosa. Lontano si sentiva passare un treno. Il cielo degradava da un azzurro carico schiarendosi in un rosa tenue. Neppure un cirro e la stella mattutina ancora ben visibile. Un giorno perfetto. Le venne in mente Lou Reed. Tornò nella calda camera da letto. Sul lungo mobile laccato di fronte allo specchio, la camicia di lui lasciava intravedere qualcosa, un oggetto che attirò la sua attenzione. Sotto al lino sottile, una teca di vetro custodiva un'impalpabile mutandina di chiffon rosa distesa nel suo piccolo letto. Nel margine inferiore dell'insolito quadretto, una breve iscrizione: "Mutandine di Donna ".
Luisella sorrise, poi osservò il corpo femminile nel riflesso dello specchio: i bianchi seni, la morbidezza delle rotondità canoviane. Provò compiacimento per quella donna dalla pelle candida e i lunghi capelli neri scompigliati che incorniciavano il viso delicato e ovale. Gli occhi a mandorla, quasi gialli, abbandonarono lo specchio per cercare l'uomo. Era disteso, esanime. Assente nel suo sogno lontano. Il suo corpo scuro, i muscoli affusolati e guizzanti rilassati in una posa naturale, rappresentavano l'emblema del corpo maschile. Gli occhi di Luisella lo percorsero tutto, fino in fondo. Lo ammirarono, quasi fosse uno dei famosi incompleti michelangioleschi, prigioniero della propria bellezza.
Quale particolare l'avrebbe riportata in futuro a quella scena, a quella notte appena trascorsa? Quale il tratto saliente? D'improvviso notò che fuori dal lenzuolo, uno dei piedi di Giuseppe indossava ancora un calzino. Blu scuro, arrotolato sulla caviglia. Un monello che dopo un pomeriggio di corse e giochi si addormenta semivestito. Si voltò infilando l'abito, quieta. Nello specchio i piccoli glutei dell'uomo dormiente erano immobili. Andò via senza rimpianti ma prima, diede un ultimo sguardo alla rossa bocca, dischiusa appena dal sonno profondo.
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