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Ritorno a Bacu Abis (Un tuffo nell'infanzia)
"Mamma! Mamma!". La voce quasi disperata di Alessio mi fece trasalire. Disfacevo le valigie in quella che era sempre stata la mia camera da letto.
Eravamo appena arrivati a casa dei miei genitori, dopo un lungo ed estenuante viaggio. Mi voltai per capire cosa stesse succedendo. I miei pensieri erano altrove in quel momento e la tristezza mi spaccava il cuore in tanti piccoli pezzi, come le tessere di un puzzle difficile da ricomporre.
- "Mamma, Senzanome non ha più voce!"
Alessio era il maggiore dei miei tre figli, dieci anni appena compiuti, ed ora stava lì, rosso in viso, in preda ad un'eccitazione che non riusciva a contenere.
- "Mamma, forse sta morendo".
Aveva le lacrime agli occhi e la voce gli si bloccò in gola.
- "Calmati, su, e dimmi cos'è successo". - gli risposi, nel vano tentativo di tranquillizzarlo.
Nel frattempo anche Max e Lulù irruppero nella stanza col viso sudato e lo sguardo quasi incredulo.
Max, 7 anni, il più piccolo della nidiata, mi si buttò tra le braccia e, con un filo di voce, languì: - Mamma, credi che Senzanome morirà? Quando i cani non abbaiano più vuol dire che devono morire?"
Lulù mi guardò solamente, senza dire una parola. Fin da piccolino aveva imparato a controllare i suoi impulsi. Mi guardava e basta, ma dal suo sguardo capivo cosa frullava nella sua testolina di capelli castani fitti fitti. Mi prese per mano e mi portò fuori. Gli altri due ci seguirono in silenzio. Mettere la testa fuori della porta di casa, alle tre del pomeriggio in un paese al sud della Sardegna, in piena estate, vi assicuro che è come metterla dentro un forno caldo, soprattutto se nei dintorni c'è qualche incendio e quel pomeriggio bruciava la pineta sul colle di fronte.
In quei giorni le nuvole di fumo deturpavano l'azzurro del cielo, come una macchia d'inchiostro su una tela immacolata.
Entrammo nell'orto. Ci avvicinammo alla cuccia del cane e restammo tutti e quattro a guardare, mentre la povera bestiola tentava di abbaiare. Dalla gola gli usciva solamente un guaito rauco, come uno a cui siano state tagliate le corde vocali.
Lo guardai e mille pensieri cominciarono ad affollare la mia mente.
Guardavo Senzanome ed ascoltavo i suoi rauchi mugolìi. I bambini lo accarezzavano, gli parlavano, ma la bestiola non saltava, né abbaiava, come solitamente faceva al nostro arrivo, per la contentezza. Pareva non stare più nella pelle, si agitava, tremava quasi, ma niente salti né abbaiare di gioia.
Lasciai i ragazzi nell'orto e tornai dentro, per avere delle spiegazioni da mia madre.
Mio padre dormiva. La mamma, una donna quasi sulla settantina, una chioma di capelli ancora quasi tutti neri, finiva di sistemare la cucina.
Ascoltai il suo racconto, allibita, senza riuscire a pronunciare una sola parola, tanto mi sembrava assurdo ed inumano quello che le mie orecchie udivano in quel momento.
- "Il cane - cominciò a raccontare la mamma - una certa notte ha cominciato ad abbaiare e da allora non ha più smesso. I vicini di casa hanno cominciato a lamentarsi ed un giorno, tuo padre l'ha slegato e se n'è andato con lui verso la campagna. Dopo circa due ore è tornato, da solo, senza cane.
A mia madre raccontò di averlo preso a bastonate per ammazzarlo e di averlo lasciato là, convinto di aver risolto così il problema. Ma dopo due giorni, aprendo l'uscio di casa, mio padre se lo vide lì, quel cane che egli credeva morto, col pelo nero tutto arruffato, attaccato al cancello dell'orto, nel tentativo forse di entrare.
- "Stava lì" - continuò mia madre -" in silenzio a guardare il suo padrone, a testa bassa, come se volesse scusarsi di qualcosa che aveva commesso".
Il cane che voleva scusarsi! Così mio padre lo legò di nuovo al suo posto, nell'orto e lì era rimasto, Senzanome e... senza voce.
Fu così che lo vedemmo la prima volta, legato a quello stesso palo, tre anni prima, arrivando in vacanza dai miei. Appena lo videro, i bambini fecero i salti di gioia e corsero subito dalla nonna, come puffi saltellanti, per sapere come si chiamasse quel batuffolo tutto nero.
- "Non ha un nome, vostro nonno non gli ha dato un nome. Io lo chiamo cucciolo". - rispose la nonna.
- "Ma non può esistere un cane senza nome! - esclamarono i bambini. - Tutti hanno un nome!"
- "Ma come fa un cane senza nome! - sentenziò Max - "Senza nome... Senza nome. Ecco! Senzanome!"
Fu così che quel cosino tutto nero e peloso divenne, da quel giorno, Senzanome.
Naturalmente non rivelai mai ai bambini il motivo per cui quella povera bestiola non riuscisse più ad abbaiare. Dissi loro che forse si trattava di una malattia. Senzanome morì qualche anno dopo e questa volta per davvero. Così pure mio padre.
Qualche giorno dopo, l'arrivo di mio fratello Luigi fu, come sempre, una festa. Dopo pranzo i bambini vollero andare a giocare fuori.
Quel giorno faceva particolarmente caldo, così raccomandai di stare all'ombra del boschetto d'eucalipti dietro l'orto. Dopo una decina di minuti, uscita a dare un'occhiata, venni investita da una folata di fumo nero che quasi mi tolse il respiro. Non ci volle molto per capire cosa stesse succedendo.
Corsi a prendere i bambini, mentre intorno, dopo un attimo, fu un susseguirsi d'urla e di viavai. Per la strada alcuni correvano, mentre qualcuno urlava: "Il fuoco! Il fuoco!"
Corsi a chiamare mio fratello e gli raccomandai di portare i bambini, miei e suoi, dal fratello maggiore che abitava nella parte alta del paese, lontano dal bosco. Ero spaventata, agitata. Corsi al telefono, feci il 115 e chiesi, con voce concitatissima, immediati soccorsi, perchè il paese era già circondato dalle fiamme su tre lati, a mo' di ferro di cavallo. Al di là del filo qualcuno mi rispose, con una voce asmatica, che i pompieri erano già impegnati in un incendio molto grosso sulle colline di Iglesias, ma che avrebbero fatto il possibile per mandare un'autopompa. Non c'era tempo da perdere! Guardai Luigi che era tornato subito giù, e, senza parlare, uscimmo a dare una mano.
Tutto il vicinato si era mobilitato, chi con secchi, chi con delle pompe, per cercare di arginare le fiamme, per fortuna basse e che avanzavano lentamente, prima che arrivassero al boschetto di eucalipti. Bruciavano le siepi, gli orti ed i prati d'erba ormai secca. Il fumo non permetteva di distinguere bene le persone poco lontane e si respirava un'aria davvero poco salùbre.
Trovai una lunga gomma attaccata al rubinetto nell'orto di un villino a 30 metri dalla nostra casa.
Aprii l'acqua e diressi il getto verso la siepe di canne che aveva cominciato a bruciare. Mi sentivo il viso pieno di fuliggine, il fumo mi dava fastidio alla gola e avevo perso di vista mio fratello. Girai l'angolo della casa e dietro il muro esterno scorsi una bombola di gas. Sperai ardentemente che fosse vuota. Provai a sollevarla... niente da fare: quella era piena e pesante. Poco dopo sopraggiunse un tizio, l'afferrò e la portò via. Mi sentii alquanto sollevata!
Avevo già visto parecchi incendi, più o meno lontani; c'ero passata anche in mezzo una volta, ma non mi era mai capitato fino ad allora di dovermi improvvisare pompiere!
Ad un certo momento, nella confusione, sentii una voce maschile che gridava: "C'è Alina? C'è qualcuna che si chiama Alina qui?".
Sentendo il mio nome, mi diressi di corsa incontro a quell'uomo, per dirgli che Alina ero io. Sentivo salirmi dentro una paura folle. Mia madre? I miei bambini? Il tipo mi disse che mia madre mi cercava disperata. Corsi allora verso casa e per strada vidi la mamma che guardava da tutte le parti col viso stravolto. La raggiunsi e l'abbracciai forte, cercando di calmarla. Tra le lacrime mi disse che mi cercava da più di mezz'ora, ma che nessuno mi aveva vista. Così aveva temuto il peggio. Le spiegai che ero dietro la casa vicina e che là nessuno poteva vedermi. La tenni stretta a me. Le sue lacrime mi straziarono. Non l'avevo mai vista così disperata, seppur mille volte l'avevo vista piangere.
All'arrivo dei pompieri, nel nostro rione le fiamme erano spente, solo qualche focolaio qua e là.
Amavo ed amo ancora molto l'avventura, ma non ricordo di aver mai urlato da bambina, come faceva Grisou: - "Da grande voglio fare il pompiere!"
Quel ritorno in Sardegna, fu per me, quell'anno, un catapultarmi nel passato. In un passato ancora molto presente nella memoria. La tristezza con la quale avevo affrontato quel viaggio era più viva che mai. Un mese prima avevo dovuto dire addio all'uomo che amavo, ed ero uno cimitero ambulante.
Ero tornata per rivedere la mamma e per far godere ai piccoli un po' di mare. Rivedere quei luoghi mi riportava alla mia infelice infanzia. Pensavo e ricordavo. Quella mia bella terra, che non era più casa mia, ma che mi possedeva come un amante mai dimenticato!
Ricordavo anche le corse sui prati, i giochi coi barattoli per le strade, quando queste non erano ancora asfaltate, i piedi neri (mi piaceva molto correre scalza), coi quali tornavo sempre a casa e le bonarie sgridate di mia madre che non voleva che io togliessi i sandali. Ma il "gusto" della terra sotto i piedi mi dava un'esaltazione particolare. E le corse pazze in bicicletta, per la quale andavo matta. Ritornavo alla mia infanzia rubata, all'adolescenza non vissuta, alle sfrenate risate a scuola con le compagne, al geghegè ballato alla squillante voce, che usciva dalla radio, della Rita Pavone degli anni Sessanta, quando mio padre non era in casa naturalmente.
Ritornavo a tutti i miei pensieri rimasti chiusi dentro, alle emozioni e desideri tenuti sempre nascosti ed alla mia grandissima voglia di vita, smorzata da quel padre così padrone, così rabbioso, così feroce ed egoista da non sapere regalare neanche un nome.
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0 recensioni:
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- Non posso che ringraziarti per aver la pazienza di leggere i miei scritti e per le tue parole.
Ricordi che affiorano alla mente, ora che i miei genitori non ci sono più e qualcuno fa ancora male.
Anonimo il 20/05/2011 21:12
questo racconto è garbato pieno di sensibilità e di amore... la descrizione di questo cane... la figura dei tuoi genitori... piacevole il tutto complimenti
- Sì Salvatore, non c'era allora la sensibilità verso gli animali che c'è adesso. Forse nessuno l'aveva mai insegnata a nessuno. Ma la sensibilità mancava anche in altre cose importanti. Grazie del tuo commento.
Anonimo il 21/12/2010 23:48
credo che noi diamo tutto l'affetto che non hanno ricevuto, conosco il modo che i nostri anziani esprimevano verso gli animali, anche se il rispetto dei vicini ha sempre fatto desiderare ma era ciò che pretendevano per continuare a sorridere, forse noi ne avremo fatto a meno di sorridergli. ciao Salva.
- Fantasia solo la parte riguardante il nome del cane. Realtà tutto il resto della narrazione. Ho volutamente introdotto il racconto con una parte inventata. Non volevo lasciare quel povero cane senza un nome.
Ti ringrazio, Ugo, per i tuoi commenti lusinghieri ed apprezzati sulla mia opera. Certo, la passione è parte integrante del mio scrivere, guida la mia penna e mi catapulta nel racconto anche nelle parti inventate come se fossero veramente vissute personalmente.
- L'ossatura, la veemenza di narrazione, il tema del racconto introducono totalmente il lettore nella scena e lo integrano con la sofferenza dei personaggi. Anche se non fosse stato un fatto suo veramente accaduto, è palese l'abilità dell'autore a muoversi e a far muovere ogni cosa come vuole. La tensione emotiva è assicurata fino all'ultimo rigo e non è facile per una narrazione così lunga. Lo scrivere di Ada Firino non ha nulla di metodico, scorre con originalità e garbo; evidente è la passione che mette nella sua penna, la dirige sul foglio con amore e per il piacere di sentirsi gratificata nel rileggersi.
- Sì, Aldo, non dimenticherò mai la disperazione di mia madre di quel tragico giorno e le sue parole. Mi disse che mi credeva morta nell'incendio, perché nessuno mi aveva vista. Sì, forse... vittime di un sistema, ma che produceva altre vittime, quelle che dovevano subire. Grazie per le tue parole. Un caro saluto.
- Il racconto è bellissimo, leggendolo sembra proprio di trovarsi lì, la figura di tua madre piangente e il vostro abbraccio è commovente. È un ricordo vivo di quelli indimenticabili... la descrizione di tuo padre ci fa comprendere come il tuo carattere si è formato... purtroppo a volte i nostri vecchi avevano un modo piuttosto singolare di dimostrare il loro affetto... erano anche loro vittime di un sistema arcaico che li voleva così... padri padroni!
Complimenti sinceri.
- Grazie Umberto, detto da te, è un gran piacere per me.
Anonimo il 20/10/2010 09:35
Hai prorpio del talento a scrivere racconti e la tua esperienza viene momentaneamente "rubata" da chi la legge. Mi é piaciuto moltissimo il tuo racconto, sei veramente molto brava. Complimenti.
Un abbraccio.
- Ti ringrazio, Roberta, sei gentile.
Anonimo il 19/10/2010 13:40
È davvero bello Ada...
Molto triste ma davvero ben scritto..
- Ti ringrazio Anna, fa venire i brividi anche a me a rileggerlo!
- è bellissimo, Ada cara una storia a tratti tristi e nostalgici, mi hai fatto venire i brividi... molto bellooooooooo

- Si, una storia triste. Questo racconto mi ha fatto vincere il 2° premio l'anno scorso in un concorso "Racconti di viaggio Avventure e disavventure", ma avrei preferito avere qulcosa di più allegro da raccontare. Grazie Nunzio.
Il racconto era più lungo, per pubblicarlo qui ho tagliato alcune parti non significative.
Anonimo il 15/10/2010 16:21
Una storia triste, molto ben scritta e raccontata.
Ciao!

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