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Il tarlo di Joannes

L'ispirazione non ha limiti
né confini.




Alzi la mano chi non è mai stato sollazzato dal ritmico e volubile rodìo di quell'avido e vile insetto che passa la vita nascondendosi, senza mai alzarsi da tavola. Più che un rumore, potremmo definirlo un vero e proprio verso. La sua voce. Il suo modo di esprimersi. Di comunicare. Come il frinire di grilli e cicale; il ronzare di zanzare, mosche e calabroni; lo zillare di cavallette; il gracidare di rane; il bombire di api; il pulpare di avvoltoi; lo stridire di civette; il gracchiare di cornacchie; il bubolare di gufi; il grugare di piccioni; il goglottare di tacchini...
Tutti suoni che appartengono a quel vasto repertorio di voci della natura che ci straziano come tormentoni o ci deliziano come concerti, a seconda dei luoghi e della nostra disposizione d'animo. Ma questo poco interessa, perché la nostra storia parla d'altro.



Era stata una giornata faticosa perciò, la sera, si era infilato sotto le coperte che fuori c'era ancora un po' di luce. Il borgo era immerso in un silenzio ovattato. Profondo. Interrotto, qua e là, dall'improvviso miagolio straziato di un gatto in fuga o dal latrare sgraziato di un randagio. In lontananza. A perdersi nei campi.
E in questa atmosfera crepuscolare, così prossima alla morte, i pensieri danzavano nella mente. Talvolta leggeri e veloci come il battito d'ali di un colibrì. Spesso lenti e armoniosi come le movenze di un cigno.
A poco a poco il fluire si fece sempre più rarefatto, fino a cessare. Ma quello che sembrava silenzio assoluto era adesso rotto da un rumore familiare. Un tarlo, nascosto chissadove, stava mangiando a quattro palmenti. Ininterrottamente.
Senza prender fiato. Come fosse in arretrato di mesi.
Quel rodìo aveva qualcosa di particolare. Sembrava diverso da tutti quelli che aveva udito fino ad allora. Forse i tarli del luogo possedevano una diversa sonorità.
O forse il legno che stava demolendo era diverso da quelli delle foreste così familiari a Joannes.
Fatto sta che non gli riusciva di prendere sonno. Decise allora di alzarsi. Vagò un po' in quello spazio angusto, senza meta. La luna faceva capolino tra gli alberi e illuminava tutta la stanza con la sua luce bluastra. Filtrata dai vetri, dava a mobili e suppellettili quel risalto tipico della porcellana di Sèvres.
Guardò, scorrendole, le travi di legno per cercare di capire da dove provenisse il rumore. Accese il lume e percorse con la mano i mobili, per individuare dove si nascondesse l'ingordo insetto. Difficile stabilirlo. Ci sarebbe voluta un'ispezione più accurata che l'ora e le energie non consentivano.

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