racconti » Racconti surreale » Un incubo come tanti
Un incubo come tanti
Eravamo io, mio padre, mia madre e la mia sorllina. Un ottimo pomeriggio per passeggiare in quel bosco primaverile: il sole filtrava attraverso i rami degli abeti e colpiva il terreno creando dei magnifici motivi con l'erba.
Mio padre camminava sempre in testa al gruppo quando si andava nel bosco, lo faceva perché durante l'autunno sarebbe stato il primo ad avvistare qualche fungo, e così procedeva disegnando grandi semicerchi attorno al sentiero. Ovviamente a primavera era quasi impossibile trovare qualche fungo, ma lui comunque si trascinava quest'abitudine per tutto l'anno.
A un tratto, mentre giocavamo con dei ramoscelli, vidi che una Rolls Royce anni '50 stava venendo verso di noi, e a quel punto mi accorsi che il nostro sentiero non era più un sentiero, ma una strada di campagna piena di dossi e buche. Io, mia sorella e mia madre ci facemmo da parte sul lato sinistro della strada, mentre mio padre ancora non accennava a spostarsi. Temendo dunque per lui presi il mio joypad dalla tasca della giacca e tenendo premuto i due tasti "quadrato" e "x" lo condussi rapidamente dietro ad un albero, dopodiché lo feci accovacciare.
La Rolls in ogni caso si fermò alla nostra altezza e i due gangster vestiti di nero ci guardarono.
Senza dire una parola scesero dall'automobile e il tizio che sedeva al posto del passeggero ci si parò subito davanti, pronto a impedirci la fuga in qualsiasi momento. Il secondo gangster invece scese più lentamente e si rimboccò la camicia nei pantaloni, poi, camminando attorno alla macchina si mise proprio di fronte a me. Sembrava che volesse dire qualcosa ma non ne ebbe il tempo perché mio padre da dietro le sue spalle gli tagliò di netto la testa con un lungo coltello di ossidiana.
Allora afferrai il suo falcetto e tutti noi iniziammo a correre seguendo la strada, così subito dopo ci trovammo in un grande prato.
L'attacco a sorpresa del vecchio aveva paralizzato l'altro omino in nero, il quale sembrava il meno sveglio, e questo ci consentì di avere un discreto vantaggio. Ma quando mi girai il gangster stava già inseguendoci: non correva molto velocemente, faceva roteare il suo falcetto con una lunga corda, e quando la lanciò cadde a pochi metri da me. Mentre ritirava la corda a se adottai lo stesso sistema e la lanciai a mia volta. Lo colpii in testa conficcando la punta del falcetto di almeno dieci centimetri, e morì.
Mi girai velocemente e raggiunsi in poco tempo la mia famiglia per dire loro che il pericolo era scampato. Tuttavia anche se mi sentivano non accennavano a fermarsi, anzi mia sorella correva sempre più velocemente, così quando raggiunsi i miei chiesi spiegazioni:
-È stata colpita alla testa e si è mangiata parte del cervello, e adesso non sente dolore e riesce a sfruttare al massimo il suo corpo!-
Ormai eravamo in paese e mia sorella dopo la seconda curva la perdemmo di vista.
Temevo per lei perché correva in mezzo alla strada, e una bambina di dieci anni è piccola e fragile.
Smettemmo di correre stremati e proseguimmo a passo spedito.
A metà del paese una signora su un camioncino stava parlando con due persone:
-Povera, avete sentito? È stata investita da una macchina!-
Io guardai i miei e dissi:
-Sicuramente è lei.-
Camminammo fino a via Roma, che è la via principale, e lì più persone si erano riunite a guardare qualcosa. Riconobbi anche il mio amico che abita proprio di fronte: guardava mentre si fumava una sigaretta. Pensavo che mi avrebbe detto qualcosa ma io non lo avrei voluto, e per fortuna non si mosse, ma mi fece capire che aveva riconosciuto mia sorella.
Facendomi largo tra la gente la vidi distesa mentre piangeva e i miei genitori erano già raccolti accanto a lei. Mi coprii la bocca con tutte e due le mani e iniziai a piangere disperatamente.
Fortunatamente arrivarono i soccorsi che la anestetizzarono e dissero che ce l'avrebbe fatta di sicuro a sopravvivere, così prima che entrasse in ambulanza la abbracciai forte e lei mi baciò la guancia.
Solo allora il mio amico mi raggiunse e mi diede una sigaretta che subito accesi mentre guardavo l'ambulanza andarsene verso l'ospedale.
Allora mia madre mi guardò e mi rimproverò della sigaretta: era dietro al chiosco a cucinare crespelle al miele:
-Dai dai mamma, lasciami fumare una!-.
Il giorno dopo andai da mia sorella in ospedale; stava benissimo, e dalla gioia ci abbracciammo e piangemmo assieme.
-Dottore, anch'io ho una ferita al polso.- mi sentii dire.
-Infatti te l'ho già curata.- rispose il medico.
Guardai al polso ed effettivamente stava ultimando di isolare i cavi positivo e negativo infilati nel mio braccio.
Contento mi sono svegliato.
12
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0